“Chi sa veramente raccontare le storie delle persone, a New York o a Pradleves, racconta la stessa storia” scrive Sergio Berardo nella densa e imperdibile prefazione di “Abeio Abeio. Neoruralismo e follia”, un dramma di Diego Anghilante edito da Araba Fenice. E nella storia di Lauren, il protagonista, ritroviamo sogni, speranze, delusioni, paure di tanti giovani. Ma la storia di Lauren ci interessa in modo particolare perché ambientata nelle nostre montagne, perché affronta un tema che pochi oggi vogliono affrontare nella sua complessità e urgenza: quello dei giovani che cadono in quella che Berardo definisce “la trappola di un’equazione da principiante: Occitania= ruralità a tutti i costi, con tutto il suo corollario di equivoci e forzature”. Sopraffatti dai meccanismi inumani del consumismo e dalle retoriche incrociate di “progressisti” e “conservatori”, alcuni giovani, soprattutto se la loro famiglia ha origini contadine e/o montane, si aggrappano al ritorno alle radici come possibile alternativa e risposta alla mancanza di senso della loro vita. Magari dopo aver fatto qualche esperienza in una grande città o all’estero, risucchiati da un vortice globalizzante che spesso non fa che suscitare o acuire la nostalgia della propria terra.
Si fa strada in loro l’idea di quanto sarebbe bello vivere in mezzo alla natura, in una casetta in pietra, con due caprette, con le api, con l’orto e le marmellate…Questo immaginario, se e quando si trasforma in esperienza sul campo, diventa delusione e frustrazione, perché si scontra con una realtà che non è affatto bucolica. Vivere in montagna è sempre più difficile, perché le comunità sono troppo esigue e mancano i servizi essenziali, perché dopo l’estate con i turisti viene l’inverno della solitudine, perché le regole del mercato globale hanno stritolato l’agricoltura e bisogna avere un carattere davvero inossidabile per resistere. Ci sono state negli anni tante sperimentazioni, qualcuna con esito positivo, ma molti sono stati anche i tentativi a vuoto, i fallimenti, le rinunce, i disincanti. La chiave del successo, dove c’è stato, è la consapevolezza delle difficoltà da affrontare. Prima di affrontare una nuova vita in un contesto complesso e fragile come quello della montagna, che si conosce poco o nulla o comunque solo dai ricordi di qualche familiare, è necessario fare un accurato percorso di preparazione.
Occorre informarsi su tutti gli aspetti che possono interagire con il proprio progetto di vita e verificarne sempre con attenzione la sostenibilità, non solo in termini economici, ma anche e soprattutto psicologici. Un check delle proprie attitudini e skills è quantomai utile: saper affrontare gli ostacoli, spesso da soli, sapersi adattare alle circostanze, saper interagire con un ambiente che è, nei fatti, meno accogliente di quanto si immaginasse. I compagni di viaggio di Lauren, oggi, sono spesso quelli che Sergio Berardo chiama “nerd neorurali: quelli dei bandi europei, degli interreg, delle birre artigianali, delle nuove comunità di paese così finte da indurti a verificare se a reggere le facciate delle case non siano delle travi e tutto non sia il set di un film-documentario bucolico 2.0”. Con la sua solita verve graffiante, Berardo non risparmia altri epiteti ai neorurali e a chi scopre la montagna soltanto per portare a casa i soldi dei bandi: “vecchi recampus neoruspanti panati nella paglia passati dagli Stones a Mario Piovano per sembrare più montanari” o “nuovi alternativi che si muovono come tursiopi tra le correnti delle burocrazie e le onde del neomecenatismo”.
Nel testo di Diego Anghilante i personaggi sono presentati con grande cura: pensiamo allo zio Minic, a Toni, a Pierin, fino ai personaggi minori come le maestre o la giornalista o i turisti francesi. Un eccellente caratterista, si può ben dire. Il trittico familiare composto da Lauren e dai suoi genitori Toumé e Coustanso, è semplicemente straordinario. Juanet è uno dei personaggi più interessanti e realistici: la sua descrizione, attraverso le parole di Lauren, ricorda alcuni giovani un po’ eccentrici che si possono trovare nelle valli: “lui sa fare mille mestieri, leciti e meno leciti: il maestro di sci, il contadino, l’antiquario, l’accompagnatore, l’affarista, il bracconiere, il gigolò…lui non morirà mai di fame… è un mito, a modo suo…c’è in lui una vitalità, una capacità di sopravvivere…” Anghilante è molto bravo anche nel costruire dialoghi gustosi: gli incontri tra Lauren e Toni sono memorabili, con le pirotecniche sequele di insulti in lingua occitana. Molto divertenti anche i dialoghi tra le api degli alveari di Lauren, osservatrici “terze” di quanto sta accadendo tra i vari personaggi del dramma, ma alla fine coinvolte anche loro nel crollo del sogno del protagonista. Di grande efficacia il dialogo comico tra Lauren e Dando Suzano, un’anziana con problemi di udito e il dialogo tra Lauren e un impiegato dell’Agenzia delle Entrate, che scappa in preda al panico di fronte alle intemperanze del giovane. Il personaggio più sbiadito (volutamente, credo) è Caterina, una ragazza di cui Lauren si innamora, ma che decide quasi subito di non accompagnarlo nel suo viaggio alla ricerca delle radici, preferendo un contratto in un supermercato e poi un lavoro all’estero. Una fra i tanti che dicono di amare molto la montagna, di sentirsi “montanari” dentro e che poi non resistono all’impatto della vita reale in montagna. Significative le parole che rivolge a Lauren: “l’estate non è ancora finita, ma il paese si è svuotato, e io…non ce la faccio, mi prende l’angoscia…sempre quelle montagne di fronte, a chiudere l’orizzonte. Ho bisogno di stare in mezzo a tanta gente...