BORGO SAN DALMAZZO - Il 5 dicembre del 254 il martirio di San Dalmazzo, che darà il suo nome all'antica Pedona

La storia dell'evengelizzatore, vittima secondo la tradizione di un agguato avvenuto nella zona del 'Ciadel', tra Borgo e Roccavione

La cripta della chiesa parrocchiale di San Dalmazzo, a Borgo San Dalmazzo
Una raffigurazione del trasporto delle spoglie di San Dalmazzo

Andrea Dalmasso 05/12/2020 09:07

Era il 1569 quando Emanuele Filiberto di Savoia concesse l’autorizzazione per lo svolgimento della Fiera Fredda: con questo evento i sindaci di Borgo San Dalmazzo Dalmasso Fenoglio e Biagio Pasquerio intendevano rendere omaggio al patrono della città, che già da diversi secoli aveva cambiato nome in suo onore. Il primo documento in cui compare il nome di “Sanctus Dalmatius” per identificare il Comune nato come Pedona è infatti datato 1098. Da quel 1569 la Fiera è diventata un appuntamento tradizionale non solo per la comunità di Borgo San Dalmazzo, ma anche per gli abitanti delle valli: l’evento è sopravvissuto a guerre e pestilenze, rinnovandosi e arrivando fino a noi. Quest’anno avrebbe dovuto svolgersi l’edizione numero 452, ma l’emergenza sanitaria ha costretto l’organizzazione ad annullare, per la prima volta nella sua storia, tutti gli appuntamenti “in presenza”, compreso il mercato straordinario del 5 dicembre per le vie della città (l’Ente Fiera ha comunque organizzato una serie di iniziative “a distanza”). Anche durante i periodi più bui degli ultimi secoli, seppure in forme e versioni ridotte, la Fiera Fredda era sempre riuscita a resistere, mentre quest’anno sarà costretta a fermarsi, almeno per quanto riguarda la forma che tutti conosciamo.
 
Quella del 5 dicembre che fu scelta ormai 451 anni fa non è di certo una data casuale: si tratta infatti del giorno in cui nel 254 dopo Cristo venne martirizzato San Dalmazzo. Le notizie sulla nascita e sulla vita del Santo sono frammentarie e in alcuni casi discordanti. La sua biografia più accreditata si poggia sulla cosiddetta “Homelia in dedicatione”, un testo tramandato attraverso una copia del XVI secolo, in passato attribuito al vescovo Valeriano di Cimiez (documentato tra il 449 e il 460) e oggi più prudentemente attribuito ad un ignoto autore attivo tra la fine del V e l’inizio del VI secolo, originario della Gallia meridionale: forse un Vescovo, visto il contenuto del testo che fa riferimento alla consacrazione di un nuovo edificio dedicato al martire. 
 
Secondo la tradizione Dalmatius Cornelius Adamanus (il futuro San Dalmazzo) nacque da una famiglia romana di militari di carriera (o comunque funzionari già convertiti al Cristianesimo) di stanza a Forum Germanorum – l’odierna San Lorenzo di Caraglio – nella provincia romana delle Alpium Maritimarum. Secondo lo storico Ferdinando Gabotto il luogo di nascita fu Forum Germarzorum, oggi San Damiano Macra. Una volta cresciuto, il giovane intraprese un’attività da sacerdote ed evangelizzatore itinerante, agendo nella zona delle Alpi Marittime, della Provenza e della Pianura Padana, dove la sua opera missionaria raggiunse le attuali città di Pavia e Milano, Alba e Bene Vagienna. Il futuro Santo rimase poi vittima, insieme a trenta dei suoi seguaci, di un agguato organizzato dai pagani sulle rive del torrente Vermenagna, nel punto dove esso confluisce nel Gesso (la zona del “Ciadel”). La tradizione colloca come detto al 5 dicembre 254 la data del martirio: secondo la leggenda le comunità cristiane di Pedona e Castrum Auriatensium – le attuali Borgo San Dalmazzo e Roccavione – si contesero le spoglie del defunto, il cui corpo venne così caricato su un carro trainato da due buoi, con l’accordo di seppellire il martire dove questi avrebbero terminato la loro corsa. Attraversato il torrente Gesso, gli animali andarono ad arrestarsi proprio sull’altura dove oggi sorge l’abbazia a lui dedicata. 
 
Secondo le ricostruzioni storiche dopo il martirio sul sepolcro del Santo e dei suoi compagni venne eretta una chiesa sepolcrale, "la memoria", venerata con grande devozione dalle popolazioni vicine. Tra il 450 e il 480 San Valeriano, originario probabilmente di Pedona, divenne vescovo di Cimiez, nella zona di Nizza, e fece costruire un’aula basilicale (che da allora prese il suo nome) che inglobava la “cella memoriae”, incrementando così ancor di più il culto per san Dalmazzo. Nel VII secolo, sotto il regno dei Longobardi, si ebbe un ampliamento dell'aula Valeriana e una risistemazione della "cripta", che presenta tutt'oggi elementi architettonici tipici longobardi, alcuni dei quali conservati nel Museo Civico di Cuneo. La vita monastica fiorì, con l'ordine benedettino che organizzò a Pedona una grande Abbazia.  
 
Tra il 904 e il 906 i Saraceni invasero Pedona provocando danni alla chiesa e all'abbazia. In seguito a questi attacchi Audace, Vescovo di Asti (dalla quale Pedona dipendeva), fece trasferire le spoglie del Santo a Quargnento. Nel “Planctum super Pedonam” (Pianto sopra Pedona) un monaco dell’abbazia riportò il dolore e gli effetti dell’ascesa saracena sulla popolazione e sulla città di Pedona. Gli edifici vennero devastati, la popolazione fu ridotta in schiavitù, gli archivi e i documenti della zona vennero distrutti e i campi non vennero più coltivati, inoltre le chiese furono spogliate delle loro ricchezze. I territori si erano talmente spopolati che i Vescovi-Conti, lasciata la spada con la quale avevano combattuto contro i Saraceni, furono costretti - cosa all’epoca inaudita per degli ecclesiastici di quel rango - a lavorare la terra con le proprie braccia. Tra il X e l’XI secolo iniziò poi un lento processo di cacciata dei Saraceni: le terre cuneesi vennero allora spartite tra i signori piemontesi e il monastero perse parte della sua influenza, perdendo il suo potere. I pochi abitanti rimasti nella zona di Pedona si strinsero attorno alla chiesa ricostruita di San Dalmazzo, e a poco a poco formarono un nuovo insediamento che, successivamente, prese il nome attuale. Esso sorse spostato rispetto all’antico abitato, che si trovava sui margini del fiume Stura: Borgo San Dalmazzo è infatti più vicina al fiume Gesso. Il territorio intorno all'abbazia dal 1060 passò sotto il controllo della contessa Adelaide di Susa, ma nel 1089 venne restituito a Oddone II (Vescovo di Novara). Quest’ultimo, nel 1150, fece risorgere e ricostruire l'abbazia in stile romanico, nel periodo di nascita dei primi Comuni. Nel 1174 le spoglie del santo patrono della città ritornarono da Quargnento, dopo la minaccia degli abitanti di Borgo di non pagare le decime al Vescovo, a meno che egli non avesse restituito i resti di San Dalmazzo alla sua città “di nascita”. La struttura della chiesa attuale è appunto quella romanica del secolo XI, che è possibile ritrovare in larga parte intatta, come dimostra la facciata tornata alla luce nel 1982. Le aggiunte delle varie epoche sono evidenti all’interno.
 
Nel 1569, infine, arrivò l’istituzione della fiera in onore di San Dalmazzo nel giorno del suo martirio, con il benestare di Emanuele Filiberto di Savoia: un appuntamento che in questo 2020, per la prima volta in 451 anni di storia, sarà costretto a rinunciare ai suoi “riti” tradizionali.
 
FONTI
 
- A. M. Riberi, "San Dalmazzo di Pedona e la sua abbazia", Torino, 1929
- G. Coccoluto, Primi insediamenti monastici sui versanti liguro-piemontesi delle Alpi Marittime, Tesi di laurea discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Genova (A.A. 1981-1982)
- C. Tosco, "San Dalmazzo di Pedona. Un’abbazia nella formazione storica del territorio dalla fondazione paleocristiana ai restauri settecenteschi", Cuneo, 1996
- E. Micheletto, "La chiesa di San Dalamzzo a Pedona, archeologia e restauro", Cuneo, 1999
 

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