Il 5 marzo 1922 nasceva Pier Paolo Pasolini, uno dei protagonisti più discussi della cultura italiana del Novecento. Impossibile ricondurlo ad una definizione, imbrigliarlo in un’etichetta. Anticonformista è forse l’aggettivo più trasversale e più neutro che si possa usare per lui, riduttivo in ogni caso. Amato, odiato, gettato nella polvere, innalzato sugli altari è stato, oltre a tutto il resto, un osservatore lucido e spietato della società italiana del secondo dopoguerra. Lo scrittore e critico letterario Walter Siti, che ne ha curato le opere complete per la collana “I meridiani” di Mondadori, maledice “la sua sfortuna (o fortuna, chissà) di essere diventato un bersaglio, triturato da un meccanismo che non gli ha consentito di darci quel che il suo sicuro insaziabile talento avrebbe potuto; compiango il suo esser diventato un mito”.
Un mito che nell’anno del centenario della nascita è stato onorato con molte celebrazioni a Roma, Bologna, Milano, in Friuli, in Veneto…convegni, mostre, conferenze, proiezioni, pubblicazioni. Pochi giorni fa è stata nuovamente chiesta la riapertura delle indagini sul suo assassinio, avvenuto a Ostia il 2 novembre 1975. L’avvocato Stefano Maccioni spiega che Quella notte all’Idroscalo di Ostia, Pino Pelosi (unico condannato in via definitiva a 9 anni e 7 mesi) non era solo. Ci sono almeno 3 tracce, 3 ‘fotografie’ di persone e ciò giustifica il perché, dopo quasi 50 anni, è ancora possibile arrivare a una verità giudiziaria. Una verità che si baserebbe su dati scientifici, sulla presenza di 3 Dna: da qui si deve partire per svolgere le indagini per accertare a chi appartengono.
Pasolini scriveva a Italo Calvino nel 1974: “Lo so bene, caro Calvino, come si svolge la vita di un intellettuale. Lo so perché, in parte, è anche la mia vita. Letture, cerchie di pochi amici e molti conoscenti, tutti intellettuali e borghesi. Una vita di lavoro e sostanzialmente perbene. Ma io, come il dottor Hyde, ho un’altra vita. Nel vivere questa vita devo rompere le barriere naturali di classe. Sfondare le pareti dell’Italietta e sospingermi in un altro mondo: il mondo contadino, il mondo sottoproletario e il mondo operaio. L’universo contadino (cui appartengono le culture sottoproletarie e, fino a pochi anni fa, quelle delle minoranze operaie) è un universo transnazionale, l’avanzo o il cumulo di civiltà precedenti, tutte molto analoghe fra loro… è questo illimitato mondo contadino prenazionale e preindustriale, sopravvissuto fino a solo pochi anni fa, che io rimpiango”.
Un brano che illumina il percorso filosofico e letterario dell’autore, che offre un’indispensabile chiave di letture delle sue opere: “Gli uomini di questo universo non vivevano un’età dell’oro. Essi vivevano l’età del pane. Erano cioè consumatori di beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita”.
È l’universo contadino che Pasolini conobbe a Casarsa, in Friuli, dove si traferì con la famiglia nel 1927 e dove rimase a lungo negli anni della guerra. Un mondo dove i rapporti tra le persone, nelle piccole comunità, erano ancora sinceri, dove le passioni erano sanguigne, dove il fatto stesso di parlare in friulano era un modo, seppur inconsapevole, di opporsi all’omologazione imperante, al pensiero unico legato al consumismo. Il rimpianto di quell’universo, tuttavia, “non mi impedisce affatto di esercitare sul mondo attuale così com’è la mia critica: anzi, tanto più lucidamente quanto più ne sono staccato, e quanto più accetto solo stoicamente di viverci”.
L’abbandono dei modelli tradizionali e l’adozione dei modelli della “acculturazione consumistica” conducono alla perdita dei valori fondanti dell’umanità (libertà, parità di diritti, solidarietà), sostituiti dai “valori” della nuova società dei consumi, che Pasolini definisce “il più repressivo totalitarismo che si sia mai visto”. A Casarsa, a vent’anni, comincia ad avvertire anche che “un continuo turbamento senza immagini e senza parole batte alle mie tempie e mi oscura” (lettera a Fabio Mauri, 1943). E nel mondo contadino friulano, prima ancora che nelle periferie romane, potrà vivere, per la prima volta, la sua libertà sessuale. Una libertà che è stata indicata spesso come la causa della sua morte, alla periferia di Ostia. Forse, però, dietro la sua morte ci sono ben altri scenari, legati alle oscure trame che hanno percorso l’Italia agli inizi degli anni Settanta. La libertà di Pasolini che faceva paura agli autori di queste trame, non era quella sessuale, ma quella di pensiero.