Da qualche anno, con una notevole accelerazione dal 2020, alle immagini di valli e montagne desolate, inospitali, povere, si sono sovrapposte nella nostra mente immagini nuove, decisamente più allettanti. Quasi un ribaltamento di prospettiva. Le località di montagna sono viste oggi come luoghi più sicuri e salubri per difendersi dalla pandemia e per trascorrere periodi di quarantena. Grazie alle misure del PNRR e della Strategia Nazionale per le Aree Interne, sono viste anche come beneficiarie di cospicui contributi pubblici e, quindi, come luoghi in cui diventa più facile realizzare progetti o trovare sbocchi lavorativi. Un nuovo Eldorado? Sicuramente un nuovo capitolo di quel processo di invenzione “iniziato attorno alla seconda metà del XVII secolo, quando le Alpi sono diventate oggetto d’interesse di geografi, geologi, naturalisti e filosofi; più in generale di studiosi, artisti e viaggiatori. A partire da quel periodo l’incontro tra l’immaginario intrinseco agli elementi dell’ambiente montano e l’immaginario dei cittadini ha innescato una molteplicità di inediti processi di simbolizzazione e di rappresentazione dai quali hanno preso vita una serie di azioni e di comportamenti intrapresi dagli stessi cittadini in quell’ambiente”.
Così scrive Christian Arnoldi, in un volume di grande interesse, “Tristi montagne. Guida ai malesseri alpini” (Priuli e Verlucca, 2009). L’autore, sociologo che collabora con il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige, esamina in modo più dettagliato alcune valli del Trentino, ma il suo studio contiene riferimenti a tutto l’arco alpino e offre spunti di riflessione preziosi anche per le nostre valli: “La montagna, come luogo ideale, come coacervo complesso di attributi e di valori, è stata «immaginata» ovvero costruita artificialmente ad opera dei ceti intellettuali cittadini quale scenario proprio dei valori che le sarebbero stati assegnati un po’ come si assegna una parte in una pantomima di paese: a te un cappello a larga falda, magari con la piuma o la penna, una pipa e sarai «il montanaro» – eroe culturale portatore di valori sani, complice austero e benevolo del desiderio di schiere di cittadini di adire periodicamente alla montagna per tornare alle origini, rigenerarsi, ripulirsi, ritrovare se stessi…”.
Le montagne, infatti, sono percepite come lo scenario ideale del benessere, in particolare da quanto si è intensificata la preoccupazione per la crisi ambientale del pianeta e si cercano modalità di vita più green, soprattutto nel tempo libero: “Le Alpi non avrebbero nulla a che fare con il degrado, la violenza, il disagio; esse sono un luogo pacifico, tranquillo, salubre sia dal punto di vista climatico, sia dal punto di vista sociale. Sono caratterizzate da una dimensione umana semplice e accogliente; sono regolate e sorrette da valori condivisi forti come la solidarietà, il rispetto reciproco, l’operosità, la dedizione al lavoro e alla famiglia, la cura per le proprie abitazioni, per l’ambiente e più in generale per il paesaggio”. La ricerca del benessere si esprime attraverso attività sportive (trekking. mountain bike), pratiche di meditazione e di “ritorno alla natura”, come il “forest bathing”, riscoperta di alimenti tradizionali, di antichi mestieri. C’è da chiedersi se qualcuno pensi al benessere delle persone che in montagna ci vivono, per le quali le montagne non sono una fuga dallo stress cittadino, ma un impegno quotidiano. Dovrebbero preoccupare i dati forniti da Arnoldi sul disagio psicologico tra gli abitanti delle valli alpine, dove si registra, anche in Piemonte, un tasso di suicidi quasi quattro volte superiore a quello nazionale. Le cause e le responsabilità di questo disagio sono complesse, ma coinvolgono tutti: “Lo spazio immaginato, infatti, ha condizionato profondamente lo spazio vissuto, al punto tale che l’insieme di tutte le visioni e le rappresentazioni della montagna si ritrovano mescolate e intrecciate nelle valli e nei villaggi. Esse danno vita a differenti realtà, ragione per cui oggi la montagna si presenta ai nostri occhi come un luogo stratificato e complesso, composto da più dimensioni e da più spazi esistenziali, all’interno dei quali gli abitanti vivono una condizione di vita paradossale e schizoide, estremamente pesante e stressante, che chiameremo di intermittenza esistenziale”. Vale la pena approfondire l’argomento leggendo il libro di Arnoldi.