CUNEO - Memoria e Ricordo, in cosa simili e in cosa diversi?

L’analisi delle due grandi tragedie della nostra storia deve tenere conto della verità storica delle relative specificità

Federico Mellano 30/01/2023 11:03

In questo periodo dell’anno si intrecciano tre ricorrenze che, ancora a ottant’anni di distanza, accendono un notevole dibattito sul peso che esse debbano avere nella “religione civile” italiana e, di conseguenza, nell’opinione pubblica. Si tratta della commemorazione dei caduti sul fronte russo, delle vittime della Shoah e dei massacri delle foibe. Partendo dal presupposto che ogni vicenda tragica del passato non debba essere giustificata né minimizzata in alcun modo, è necessario comunque comprendere le specificità storiche di ognuna, per evitare di semplificare il passato. In particolar modo ci soffermeremo sugli ultimi due fatti storici, ricostruendone il contesto.
 
Il “Giorno della Memoria” è una ricorrenza internazionale, fissata in Italia dalla Legge del 20 luglio 2000 con l’Istituzione del “Giorno della Memoria” in ricordo dello sterminio e delle persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, e dagli Stati membri dell'ONU, in seguito alla risoluzione 60/7 del 1º novembre 2005. Essa si celebra il 27 gennaio poiché in tale data, nel “lontano” 1945, le truppe sovietiche liberarono il campo di sterminio di Auschwitz, in cui trovarono la morte circa un milione e mezzo di esseri umani. Il “Giorno del Ricordo” è una solennità civile nazionale italiana, istituita con la Legge del 30 marzo 2004, che vuole mantenere la “memoria delle vittime delle foibe, dell’esodo giuliano-dalmata, delle vicende del confine orientale”. 
 
Il “Giorno della Memoria” è dedicato ai più grande genocidio della storia umana, la “Shoah”, termine ebraico che indica la catastrofe. Definito impropriamente “Olocausto”, che nel linguaggio giudaico indica il sacrificio di una vittima a Dio, lo sterminio della popolazione ebraica, perpetrato dal regime hitleriano, è stato oggetto di un lungo dibattito storiografico. Oggi molti storici considerano questo drammatico evento un unicum nella storia di tutti i tempi. Questo perché da un lato lo sterminio degli ebrei sarebbe stato il solo ad essere condotto per motivi puramente ideologici, e dall’altro aveva “nelle intenzioni di Hitler, un carattere globale e universale, prevedendo l'eliminazione totale del gruppo vittima”. Altri storici invece, propendono a considerare la Shoah un evento estremo più che unico, in quanto “sintesi assoluta e perfetta di tutti gli elementi e i momenti che compongono il processo finalizzato al genocidio”. Va inoltre considerato che lo sterminio nazista fu eseguito applicando fedelmente il metodo scientifico. Fu un genocidio industriale, che aveva messo in campo tutti gli sforzi dell'apparato nazista, sacrificando talvolta le priorità belliche in nome di un’ideologia sterminatrice.
 
Dal punto di vista storico, quella che noi chiamiamo Shoah fu pianificata nella Conferenza di Wannsee, nei pressi di Berlino, il 20 gennaio 1942. In tale circostanza, alti ufficiali, burocrati, gerarchi di partito nazisti programmarono la cosiddetta “soluzione finale del problema ebraico”. Organizzatore dell'evento fu Reinhard Heydrich, vice comandante delle SS tedesche e capo del servizio di sicurezza del Reich che, con l'aiuto del suo braccio destro Adolf Eichmann, aveva stilato una lista di tutti gli ebrei presenti in Europa, che sarebbero dovuti essere eliminati. Sul documento si legge che in Italia ne erano stimati 58 mila. Ma all’epoca il nostro paese non era una nazione sovrana, alleata della Germania? Il fascismo, alle origini, non si era dimostrato assolutamente antisemita. Al contrario alcune personalità di spicco del mondo ebraico italiano avevano appoggiato l'ascesa del Duce. Tra di loro vi era Ettore Ovazza, banchiere, imprenditore e fondatore della rivista “La Nostra Bandiera”, che rappresentava il punto di vista degli ebrei fascisti. Sua sorella, Carla Ovazza, sarebbe stata la madre di Alain Elkann. L'iniziale adesione di Ettore al fascismo non lo salvò dal tragico destino che condivise insieme a tantissimi italiani di regione ebraica. Ettore e i suoi familiari furono barbaramente uccisi; i corpi, fatti a pezzi, furono bruciati in una stufa di una scuola di Verbania.
 
L'atteggiamento clemente dei fascisti nei confronti degli ebrei, quindi, non durò a lungo. Con l'emanazione delle leggi razziali del 1938, una serie di restrizioni avrebbe coinvolto decine di migliaia di persone: l'espulsione degli ebrei stranieri, la revoca della cittadinanza per coloro che l'avevano ottenuta dopo il 1918, il divieto di matrimonio misto e l’esclusione degli ebrei dall'esercito, dall'insegnamento e dalle principali cariche pubbliche. Va comunque ricordato che alla discriminazione non seguì un vera e propria persecuzione. Anzi, in alcuni teatri di guerra, le truppe italiane cercarono di proteggere gli ebrei dalla furia nazista. Tale fu il comportamento tenuto dagli uomini della Quarta Armata, che presidiava il Delfinato, la Provenza e la Savoia. 
 
Ma il vero dramma ebbe inizio in seguito all'armistizio dell'8 settembre e all'occupazione tedesca di gran parte dell’Italia. Il nuovo Governo fascista repubblicano, nato in seguito alla liberazione di Mussolini da parte delle SS il 12 settembre, collaborò attivamente con i tedeschi nella persecuzione antiebraica. Al congresso del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, il numero due del regime di Salò, “rigetta sugli ebrei le responsabilità della guerra e prospetta le misure punitive: queste sue affermazioni - scrive lo storico Mimmo Franzinelli - vengono salutate da applausi e commenti compiaciuti”. Gli ebrei furono equiparati ai cittadini di nazione nemica. Alle parole seguirono i fatti. Le autorità fasciste collaborarono nell'arresto, nella deportazione e, talvolta, nell'uccisione stessa di ebrei. A Ferrara, il 14 novembre 1943, gli squadristi trucidarono per rappresaglia undici persone sulle mura del castello Estense: due di loro erano ebrei, Mario e Vittore Hanau, padre e figlio. E, insieme a loro, tanti altri fecero la stessa fine, uccisi non da tedeschi, ma da italiani. Gli ultimi proprio a Cuneo, il 26 aprile del 1945, sei ebrei fucilati dalle Brigate nere in fuga, sotto le arcate del Viadotto Soleri. In definitiva, la Shoah deve essere vista come un fenomeno di natura europea, più che strettamente tedesca, dato che i nazisti poterono contare sul collaborazionismo nelle zone occupate. Nello stesso tempo, non vanno dimenticati quanti, mettendo in gioco la propria vita, nascosero i perseguitati e diedero loro ospitalità.
 
La vicenda storica delle foibe non è meno complessa. Il dramma iniziò dal settembre del 1943, in seguito all’Armistizio di Cassibile, e fu caratterizzato dalla discriminazione, dalla persecuzione, fino all’uccisione e all’occultamento dei corpi  nelle famigerate cavità carsiche da parte dei partigiani comunisti jugoslavi. Anche in questo frangente è stata evidenziata da alcuni storici la partecipazione di alcuni italiani nelle uccisioni. Per quale motivo una tale persecuzione nei confronti degli italiani - che per secoli avevano vissuto pacificamente in Istria, nella Dalmazia e nel Quarnaro? Tutto ebbe inizio nel 1941, con l’occupazione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse. L’Italia fascista acquisì il controllo dell'area costituente la provincia di Lubiana, dell'area accorpata alla provincia di Fiume e delle aree costituenti il Governatorato di Dalmazia. Nelle zone occupate, “il Regio esercito si dedicò allo sterminio dei prigionieri, agli incendi di interi villaggi e all’istituzione di campi di concentramento”, scrive Mirella Serri. Interi reportages fotografici mostrano prigionieri fucilati, decapitati, impiccati non solo dai tedeschi, dalle milizie collaborazioniste degli ustascia e dei domobranci, ma anche dai soldati italiani. Ad Arbe, in Croazia, nel 1942 fu addirittura istituito un campo di concentramento in cui trovarono la morte oltre 3.500 slavi. Con l’8 settembre la zona passò direttamente sotto il controllo tedesco che istituì la Zona d'operazioni del Litorale adriatico o OZAK, comprendente le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, e amministrata dal Gauleiter Friedrich Rainer. In questo periodo, nelle zone occupate dai partigiani, iniziarono subito le ritorsioni contro gli italiani. D’altro canto, le truppe fasciste della Milizia di difesa territoriale collaborarono spesso con le SS tedesche, comandate da Rainer e da Odilo Globočnik, nelle sanguinose rappresaglie. Dopo il ritiro delle truppe tedesche, le uccisioni a danni degli italiani si acuirono. La maggior parte delle vittime, comunque, scrive lo storico Raoul Pupo, “non finì i suoi giorni sul fondo delle cavità carsiche, ma incontrò la morte lungo la strada verso la deportazione, ovvero nelle carceri o nei campi di concentramento jugoslavi”. Secondo gli storici le vittime furono tra le 5.000 e le 11.000 e la persecuzione fu così feroce da determinare l'esodo giuliano dalmata, ovvero l'emigrazione della maggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana dalla Venezia Giulia, dal Quarnaro e dalla Dalmazia. 
 
Le vicende storiche della Shoah e delle foibe furono insomma molto diverse, ma altrettanto drammatiche. Va comunque sottolineato il carattere specifico della prima, vista come tragedia di massa, industriale e totale. 

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