“Ti capises niente ‘d Piemontèis” è la tipica frase che mi dice mio nonno. Ma non ha tutti i torti. Io non ho mai imparato il piemontese. Certo, lo capisco, ma non lo so parlare perché nessuno l’ha mai parlato con me. Il mio non è un caso unico nel suo genere, è la situazione di quasi tutti coloro che hanno meno di 30 anni nelle nostre zone. Siamo nati in Piemonte, parte della nostra famiglia parla il dialetto, ma noi no.
Oggi, 17 gennaio, è la giornata nazionale del dialetto e delle lingue locali. È stata istituita nel 2013 dall’Unione Nazionale Pro Loco d’Italia (Unipli) per sensibilizzare istituzioni e comunità locali al fine di valorizzare i dialetti, veri e propri patrimoni culturali. “Ogni singola espressione in dialetto è veicolo delle conoscenze e delle tradizioni dei nostri territori. Dialetti e lingue locali sono pertanto indispensabili alla trasmissione di tali patrimoni culturali fra le generazioni”, ha detto il presidente dell’Unipli Antonio La Spina.
Oggi sono oltre 7mila le lingue parlate nel mondo, ma la sopravvivenza di molte di queste sarebbe a rischio. L’allarme riguarda anche l’Italia. Secondo gli esperti tra i dialetti in pericolo ci sarebbe anche il Piemontese. Non è una questione solo linguistica, il Piemontese porta con sé da secoli anche la tradizione e la memoria culturale delle nostre zone. La scomparsa dei dialetti è iniziata con la nascita dello stato italiano nel 1861 e con la creazione di una lingua nazionale standard. Chiunque tra il 1960 e il 1968 avesse una televisione ricorderà benissimo le lezioni del maestro Alberto Manzi. Dal lunedì al venerdì andava in onda il programma “Non è mai troppo tardi. Corso di istruzione popolare per il recupero dell’adulto analfabeta” con l’obiettivo di insegnare a leggere e scrivere agli italiani totalmente o parzialmente analfabeti. Poi l’industrializzazione, l’emigrazione di massa e la globalizzazione hanno accelerato questo processo. Recentemente, con la diffusione della tecnologia, dei social network e l’introduzione di un lessico in parte dominato dalla lingua inglese, i giovani hanno sempre più abbracciato lingue lontane dal dialetto di origine.
I dati Istat più recenti pubblicati nel 2017 ma riferiti al 2015 evidenziano che il 45,9% della popolazione in famiglia parla prevalentemente italiano, mentre il 32,2% parla sia in italiano che in dialetto. Solo il 14% usa principalmente il dialetto e il 6,9% utilizza un altro idioma. “La diffusione di lingue diverse dall’italiano e dal dialetto in ambito familiare registra un aumento significativo, in particolar modo tra i 25-34enni (dal 3,7% del 2000, all’8,4% del 2006, al 12,1% del 2015)”, scrive l’Istat.
In generale, i dati Istat confermano la tendenza all’abbandono parziale o totale del Piemontese: “Per tutte le fasce d’età diminuisce l’uso esclusivo del dialetto, anche tra i più anziani, tra i quali rimane comunque una consuetudine molto diffusa: nel 2015 il 32% degli over 75 parla in modo esclusivo o prevalente il dialetto in famiglia (erano il 37,1% nel 2006)”.
Ma quanto è importante preservare il proprio dialetto? “Il contadino che parla il mio dialetto è padrone di tutta la mia realtà”, scriveva Pier Paolo Pasolini. Se non si arresterà la tendenza degli ultimi anni finiremo per perdere una parte fondamentale delle nostre radici. Nel dialetto sono insite le nostre origini. Parlare dialetto significa farsi promotori della tradizione del Piemonte, della storia del Cuneese. Tramandare questa lingua, con tutte le memorie a essa connesse, vuol dire non dimenticare la cultura delle nostre zone, vuol dire identificarci con il nostro territorio, perché nel dialetto c’è l’essenza stessa dei suoi parlanti. Parlare dialetto non è simbolo di poca cultura, come spesso crede il senso comune, ma è consapevolezza delle proprie tradizioni. Dovremmo – in particolare noi giovani – preservare con cura il Piemontese perché ad esso è collegata una storia antichissima che arricchisce la nostra cultura. Dimenticarlo significa abbandonare una parte fondamentale della tradizione delle nostre zone, delle nostre famiglie e della nostra identità.