A 11.535 chilometri in linea d’aria da Cuneo, a Mendoza, ogni 16 agosto si festeggia il “Día del Inmigrante Piemontés”. Durante tutta la giornata si manifesta gratitudine verso gli avi, celebrando i primi piemontesi e i loro discendenti.
Mendoza è una città dell’Argentina centro-occidentale che ospita più di un milione di abitanti. La tradizione piemontese è molto viva in questa zona perché vi risiede un’ampia comunità di origini piemontesi, oltre a gruppi di friulani e abruzzesi. A partire dal 15 agosto plaza Independencia si tinge dei colori del Piemonte. Tante sono le persone che accorrono ogni anno da varie parti del Paese per vivere la festa in onore di tradizioni che a noi ormai spesso sembrano lontane. Il 16 agosto poi la giornata si sposta al santuario di María Auxiliadora per rendere omaggio agli immigrati piemontesi per poi chiudersi a suon di canzoni piemontesi, italiane e argentine.
È stata scelta la giornata del 16 agosto in onore a don Bosco. Nato a Castelnuovo d’Asti il 16 agosto 1815 (e deceduto a Torino il 31 gennaio 1888) è stato per molti degli immigrati in Argentina l’incarnazione di valori che hanno portato dall’Italia. Don Bosco, inoltre, si recò egli stesso in Argentina. La prima spedizione lo condusse nel Paese, nello specifico a Buenos Aires, nel 1875. Era la prima spedizione missionaria salesiana, capitanata da don Giovanni Cagliero. L’operato di don Bosco e dei suoi missionari è stato fondamentale se si considera che riuscirono ad accrescere e diffondere la cultura del lavoro, della scuola e il valore della famiglia.
Ma Mendoza non è l’unico luogo in cui la tradizione piemontese è molto viva. “Ogni provincia ha la propria ‘giornata dell’immigrante piemontese’. Ad esempio, noi di Entre Ríos la festeggiamo il primo di luglio”, spiega Dulce Mastricola, argentina con avi originari di Pinerolo.
Sul notiziario delle associazioni piemontesi nel mondo disponibile sul sito della Regione Piemonte si legge che il “Día del Inmigrante Italiano” ufficiale in Argentina è il 3 giugno. Collegata a questa data c’è la storia del generale Belgrano. Domenico Belgrano era un commerciante di olio che partì per la Spagna in cerca di fortuna e che poi decise di trasferirsi in Argentina. Qui nacque Manuel Belgrano il 3 giugno 1770 che diventò eroe dell’indipendenza argentina, creatore della bandiera argentina e padre della patria. Nel 1995 il Congreso de la Nación decise di istituire la giornata proprio il giorno della nascita di Manuel Belgrano, lasciando alle province la libertà di stabilire altre date vicine a quella ufficiale. Tante giornate, quindi, per innumerevoli personaggi e altrettanti pezzi di storia e di valori.
A Santa Fe i festeggiamenti non sono da meno rispetto alle altre città. I canti e balli piemontesi qui si tengono spesso con i costumi tipici. E talvolta ai momenti di festa si aggiungono riflessioni e storie di chi racconta le avventure e le grandi difficoltà di coloro che molti anni fa sono arrivati in Argentina per cercare di dare alla propria famiglia una vita migliore.
Sicuramente l’arrivo non fu facile. Secondo i racconti presenti in molti libri come “Inocentes o culpables” di Juan Argerich, i primi italiani incontrarono numerose difficoltà. Molti vivevano nei “conventillos”, delle specie di case di fortuna in lamiera e cartone. Il viaggio per arrivare avveniva su imbarcazioni poco sicure, covi di malattie ed epidemie. Tra le maggiori voci ci fu quella del giornalista Luigi Barzini che sul Corriere della Sera e in alcuni dei suoi romanzi raccontò la situazione dei piemontesi e, in generale, degli italiani in Argentina. Nel libro “L’Argentina vista come è”, edito per la prima volta nel 1902, questa è la situazione in cui vivevano gli italiani: “I venditori ambulanti che trascinano la loro triste vita sui marciapiedi sono tutti italiani. […] Sono italiani i terrazzieri che scavano le fogne, i lastricatori delle vie, i muratori arrampicati sui ponti, tutti coloro che compiono i lavori più rudi, gli operai in genere. Basta correre là donde viene il batter d’un martello, dove stridono delle macchine, dove romba un lavoro qualunque esso sia, dove si fatica, per trovare gl’italiani. Non v’è pietra, si può dire, che non sia stata messa a posto da mani italiane; dalle mani italiane è uscita la Buenos Aires d’oggi con i suoi casamenti tedeschi e francesi e le sue ville inglesi. No, non è difficile trovarli i nostri connazionali! Fra i palazzi sontuosi, anche nelle più belle calles e avenidas - con quella promiscuità che caratterizza questo caos che è Buenos Aires - vi sono delle porticine ai cui stipiti la miseria ha lasciato la sua sudicia traccia. Sono gl’ingressi ai conventillos, le case immonde dove vivono ammassati i poveri. Anche lì si parla italiano!”.
Alle difficoltà e ai sacrifici fatti tanti anni fa è ora data la giusta ricompensa in memorie. “Diverse città hanno dichiarato il piemontese patrimonio culturale perché fu la lingua che parlavano i formatori della nostra cultura e dei costumi locali”. La signora Mastricola racconta poi di come ogni festa piemontese sia animata da canti e balli piemontesi, e accompagnata da bagna cauda, pasta e un buon bicchiere di vin brulé. Senza dimenticare che a San Francisco, nella provincia di Córdoba, esiste una replica dell’edificio architettonico piemontese per eccellenza, la Mole Antonelliana, e il monumento nazionale dell’immigrato piemontese. Segno che le tradizioni a più di 11 mila chilometri da noi sono più vive che mai.