CUNEO - Quei cuneesi strapaesani: ''Gente servile, arrogante, ingiusta e crudele con i poveretti''

L'intemerata in uno scritto di Palmiro Togliatti del 1931. Il leader comunista non aveva una grande opinione della provincia italiana e…

Samuele Mattio 21/02/2021 11:21

“Ma quanto è grande la provincia di Cuneo! Io credo essa si estenda dai villaggi miserabili delle Alpi sino alle contrade più lontane e squallide della Sicilia e della Sardegna. ‘Provincia di Cuneo’ è tutta la provincia italiana, semifeudale, piccolo-borghese, scettica e bigotta, pettegola e ipocrita, piena di gente che è servile con i potenti, arrogante, ingiusta e crudele con i poveretti. Questa provincia è stata idealizzata; ne hanno fatto il serbatoio delle virtù borghesi, il vivaio dei forti caratteri”.
 
I detrattori più accesi della Granda, quelli che solitamente raggiunta la maggiore età prendono un treno per andare a fare i lavapiatti a Londra e non tornare mai più, si ritroveranno in queste parole che potrebbero essere state scritte l’altro ieri. Certo, l’eloquio tradisce capacità di scrittura superiori alla media che oggi popola i social network, ma al netto di qualche parola in disuso nell’italiano corrente, dai ‘borghesi’ alle ‘contrade’, potrebbe essere davvero stata pensata ai nostri tempi in contrapposizione alla retorica della Granda ‘isola felice’ che abbiamo sentito tante volte. Il seguito invece, lascia trasparire la poca ‘freschezza’ dello scritto: “La letteratura fascista ha ancora forzato questo ideale, sino al ridicolo e al grottesco - continua il brano -. Che cosa è “Strapaese” se non la provincia di Cuneo diventata modello di vita nazionale? E “l’Italia rurale”, di cui parlano Mussolini e i gerarchi, che cosa è se non una grande, enorme “provincia di Cuneo”, una provincia di Cuneo standardizzata, dove il sindaco deficiente e canaglia è diventato podestà per decreto reale, il commendatore giolittiano porta all’occhiello lo stemma del fascio, il prete fa il sornione mentre benedice tutti e due, e chi lavora crepa di fame?”.
 
Non portiamo il ‘mistero’ oltre il dovuto, anche perché ne abbiamo già dato anticipazione nel titolo. A scrivere queste parole, nel marzo del 1931, fu Palmiro Togliatti, segretario e leader indiscusso del Partito Comunista Italiano per quasi quarant’anni. Il suoi genitori, ferventi cattolici, lo chiamarono così perché venne alla luce nel giorno della Domenica delle Palme. Ciò non gli impedì di diventare ateo, così come l’aver effettuato il suo primo comizio in provincia di Cuneo (a Savigliano n.d.r.) non lo persuase a indorare la pillola quando si trovò a descrivere la terra tra il Monviso e la Bisalta. Tutt’altro.
 
L’occasione fu la scrittura della prefazione del libro di Giovanni Germanetto “Memorie di un barbiere”. Il volume del giornalista e sindacalista rosso ebbe un successo straordinario per l’epoca: 36 edizioni in 24 lingue diverse, superando la tiratura di 800 mila copie.
 
Germanetto era un politico che ebbe una certa notorietà per buona parte del secolo scorso. Scelse di intitolare così la sua autobiografia, scritta con brillantezza, perché da ragazzo fu mandato a lavorare nella bottega di un barbiere a Fossano. Forse fu il racconto del ‘compagno’ che firmava i suoi primi articoli sui giornali locali - nei quali attingeva a mani basse tra le storielle che dipingono i cuneesi come idioti - con lo pseudonimo di Barbadirame, e che a causa del suo credo politico faceva spola tra carcere e questura, a influenzare in peggio l’opinione del futuro ministro di Grazia e Giustizia nei governi che tennero a galla l’Italia dopo le macerie lasciate dal fascismo.
 
"Fossano era un piccolo centro di bottegai, di preti, di pensionati e di nobili. Paesi pettegoli in cui ogni cittadino è passato alla critica più spietata” scriveva Barbadirame, tra i fondatori del Partito Comunista Italiano nel ’21 e delegato all’Internazionale sindacale rossa a Mosca nel ’23. La prima edizione di “Memorie di un barbiere” venne data alle stampe in Unione Sovietica nel 1930 perché Germanetto era stato arrestato dai fascisti, poi rilasciato per errore e da lì espatriato prima in Francia e poi in Russia, dove si impegnò nell’Internazionale sindacale e nel Soccorso Rosso. Un anno dopo la prima edizione in italiano con la caustica prefazione di Togliatti, data alle stampe in Francia e diffusa nel bel paese solo clandestinamente, in barba alla censura del regime di Benito Mussolini. D’altronde già nei primi anni venti Germanetto era costretto a esercitare la sua attività di barbiere semi-clandestinamente a causa delle ordinanze che diffidavano i tanti soldati di stanza a Fossano dal farsi tagliare i capelli da quel ‘barbiere antitaliano e socialista’.
 
Barbadirame, che non ebbe un’infanzia facile a causa di una paralisi alla gamba sinistra, prese la sua rivincita nel dopoguerra, quando il suo libro ebbe grande diffusione anche nella terra che lo aveva ripudiato, tanto da finire al centro di un dibattito in Consiglio provinciale, anche grazie alla prefazione di Togliatti. Nel 1948 l’assemblea protestò contro le parole scritte diciassette anni prima. Proprio nel luglio di quell’anno l’ideatore della “via italiana al socialismo” subì l’attentato che portò l’Italia sull’orlo della rivoluzione. “Il Migliore”, a cui la Russia dedica ancora oggi una città di oltre 700 mila abitanti, morirà nel 1964 dopo anni da protagonista della scena politica italiana e internazionale.
 
Come mai il leader comunista fu così spietato? L’invettiva di Togliatti, abbiamo esordito, è molto chiara nella prima parte, un po’ meno nella seconda. Necessita di qualche parola in più lo “Strapaese” di cui, secondo Togliatti, la provincia di Cuneo sarebbe diventata modello di vita nazionale.
 
“Strapaese” era una corrente letteraria, nata nel 1926, che si rifaceva volutamente al provincialismo più ortodosso, in antitesi alla letteratura esterofila e alle contaminazioni estere e in particolare alla più progressista “Stracittà” che propugnava attraverso la rivista di Massimo Bontempelli ‘Novecento’ i valori di una cultura aperta alle avanguardie europee e al dibattito sulla scienza e l'industria. I maggiori esponenti della prima furono Mino Maccari, direttore della rivista ‘Il Selvaggio’, Leo Longanesi, che tra le altre cose fondò ‘L’Italiano’ e l’ondivago Curzio Malaparte.
 
Dal suo punto di vista Togliatti aveva individuato nella gente “scettica e bigotta” della provincia di Cuneo gli ‘strapaesani’ per antonomasia. In un certo senso, con il senno di poi, si può dire che dal suo punto di vista aveva ragione. Al netto dei toni forti e di una descrizione oggettivamente livorosa, Togliatti aveva capito con largo anticipo che le resistenze più grandi al sorgere del ‘sol dell’avvenire’ nello stivale una volta caduto il fascismo sarebbero venute dalla provincia italiana, di cui la Granda agricola e cattolica era l’emblema. Nonostante il ruolo importante avuto nella Resistenza, nel dopoguerra Cuneo diventò roccaforte della Democrazia Cristiana, relegando il Partito Comunista Italiano su percentuali molto più basse di quelle a cui era abituato in quegli anni (al netto di qualche fuoco di paglia). Una tendenza, quella di guardare con sospetto i partiti più rivoluzionari, che non ha mai abbandonato le scelte dei cuneesi nella cabina elettorale.

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