Pubblicato in origine sul numero del 12 maggio del settimanale Cuneodice: ogni giovedì in edicola
In seconda media partecipai ad un corso di primo soccorso organizzato dalla Croce Rossa Italiana, all’interno dei locali della scuola. Durante tale esperienza ebbi modo di conoscere la storia di Henry Dunant, il filantropo svizzero che nel 1863 fondò quell’organizzazione internazionale che avrebbe accompagnato per sempre l’umanità anche nei momenti più difficili.
Dunant, fortemente scosso dalla terribile carneficina di Solferino e San Martino, si attivò per prestare soccorso ai feriti, abbandonati sul campo di battaglia in quei roventi giorni di giugno. Il mio interesse mi ha spinto ad approfondire quella vicenda, nel cuore del processo risorgimentale. Durante il corso di studi sulla storia italiana dell’Ottocento, ho svolto una presentazione in merito. Sfogliando il testo di Ulrich Ladurner, ho colto importanti spunti di riflessione. In seguito al conseguimento della laurea, lavorando come guida presso il Museo Nazionale del Risorgimento italiano di Torino, ho incontrato le rappresentazioni di quella battaglia, nel difficile contesto dell’unificazione italiana, maturando così il desiderio di visitare i luoghi in cui i fatti avvennero.
Nella cittadina di Solferino, tra le stupende colline moreniche del Garda, si distingue la rocca che domina l’altura circostante. Di origine medievale, essa ospita il museo del Risorgimento di Solferino e San Martino e, durante quel fatidico 24 giugno, conobbe i combattimenti più cruenti. Da lì non si può non respirare la storia, in tutto il suo fascino e in tutta la sua tragicità. Facendo un passo indietro, l’avvenimento di cui si sta trattando è strettamente connesso alle guerre di indipendenza combattute dal Regno di Piemonte contro la potenza austriaca. Camillo Benso conte di Cavour, primo ministro del regno dal 1852, proseguì una strategia di allargamento dei confini del Piemonte verso l’Italia settentrionale. Tuttavia era consapevole che, per riuscire nel suo intento, fosse necessaria un’alleanza con una grande potenza europea. Partecipando alla 2 guerra in Crimea e potendo sedere come stato vincitore alla conferenza di Parigi del 1856, Cavour ebbe l’occasione di sollevare la questione italiana di fronte a un consesso internazionale. In particolare il conte protestò contro la presenza militare austriaca, ritenendola motivo di instabilità e tensioni rivoluzionarie, presentando il Piemonte come portavoce delle istanze di rinnovamento e potenza di leadership all’interno del contesto italiano.
Nel luglio del 1858 il primo ministro piemontese ottenne un’alleanza difensiva con Napoleone III, sancita attraverso gli accordi di Plombières. Cavour, in questo contesto, fece di tutto per provocare l’Austria, spingendola a dichiarare guerra in modo da fare scattare l’alleanza e il conseguente intervento francese a fianco delle truppe sarde. Il governo sabaudo mise in atto delle esercitazioni militari al confine con Lombardia e ricorse all’armamento del corpo dei volontari dei Cacciatori delle Alpi. Il 23 aprile 1859 l’Austria inviò un ultimatum al Piemonte che Cavour ovviamente respinse. La guerra fu breve ma molto sanguinosa.
Durante la battaglia decisiva di Solferino e San Martino, sul campo di battaglia i tre sovrani, Vittorio Emanuele II, Napoleone III e Francesco Giuseppe. La torre non è l’unica testimone di quell’avvenimento. Il più toccante è l’ossario. Al suo interno riposano 9.492 scheletri. Dopo la battaglia i contadini dei dintorni non potevano svolgere i propri lavori perché, scavando il terreno, di continuo portavano alla luce resti umani. Il sindaco di Solferino scrisse una lettera al senatore Luigi Torelli, il quale decise che a Solferino dovesse esserci un luogo simbolico dell’unificazione italiana. Suggerì quindi di riesumare le spoglie dei caduti e di creare per essi due ossari, uno a Solferino e uno a San Martino. L’ossario è un inquietante testimone dell’inutilità e della tragicità della guerra. Gli scheletri giacciono uno accanto all’altro, ora uguali nella morte, un tempo volti di uomini distinti nelle proprie peculiarità, e che, quel 24 giugno, videro la loro vita finire sul campo di battaglia. Proprio a Torelli è stato dedicato un progetto di raccolta e riordino, in ordine alfabetico, dei nomi di quanti parteciparono alle campagne risorgimentali, dal 23 marzo 1848, data d’inizio della Prima Guerra d’Indipendenza, al 20 settembre 1870, giorno della Presa di Roma con la Breccia di Porta Pia. Divisi per città, circa 640.000 mila nomi: la memoria storica di coloro che combatterono per l’unità d’Italia. Questi elenchi rappresentano anche i “mattoni” con cui fu edificata la Torre di San Martino della Battaglia, eretta 3 anche grazie ai contributi e alla sottoscrizione popolare di quelle migliaia di famiglie di reduci delle battaglie risorgimentali.
Dalla banca dati del progetto Torelli è possibile ricercare, tramite i nostri cognomi, gli omonimi che presero parte alla battaglia di Solferino e San Martino. Il risultato, che si può osservare, evidenzia come moltissimi cuneesi vi combatterono. Inoltre, nell’immensa torre, costruita a partire dal 1880, come luogo di memoria storica e di celebrazione degli eroi della guerra di indipendenza, scorrono i nomi di coloro che caddero tra quelle colline. Tanti provenivano da Cuneo, Busca, Bra, Villafalletto, Marene. Avi che persero la vita in una delle battaglie più importanti della storia.
Lasciando la parola a Ladurner, “bisognerebbe avere anche il nome dell’uomo che ha sparato il proiettile, e questo porterebbe certamente al risultato di far cessare le guerre del mondo. Se anche il carnefice avesse un nome, e non solo la vittima, se il carnefice sapesse esattamente il nome dell’uomo che ha ferito, mutilato, ammazzato, non sarebbe più capace di sparargli addosso perché si sentirebbe un assassino e non più un soldato”. Dalle guerre possono nascere eroi, miti, culti e coscienze comuni, ma anche morti, distruzioni e dolore. Da quel dolore Henry Dunant si rimboccò le maniche e fece del proprio meglio per aiutare chi ne aveva bisogno. “La domenica mattina sono riuscito a riunire un certo numero di donne che fecero del loro meglio per soccorrere i feriti [...], bisognava assicurare il vitto e soprattutto soddisfare la sete di gente che moriva di stenti e privazioni: bisognava poi pensare alle loro piaghe, alle loro ferite, e lavare dei corpi sanguinanti, coperti di fango, di vermi, e bisognava fare tutto ciò in mezzo a esalazioni fetide e nauseabonde, attraverso lamenti e urla di dolore, in un’atmosfera bruciante e corrotta. Ben presto si formò un nucleo di volontarie [...] io cercai di organizzare, il meglio possibile, i soccorsi”.
L’esperienza di Solferino lo segnò così profondamente da convincerlo della necessità di creare una squadra di infermieri volontari preparati, il cui operato potesse dare un apporto fondamentale alla sanità militare. In quei paesi, sulle colline del Garda, i mille sentieri della storia si incontrarono, forse per fortuito destino, ma fa effetto pensarlo.