FOSSANO - Across the flatlands

In viaggio su Smeraldino con Francesco Pala per parlare di un disco che è frutto dell'incontro delle immagini del fotografo fossanese con i suoni degli Airportman

Here comes the Darkness
Devotion
Croocked
Intro

Francesca Barbero 19/06/2023 11:09

In viaggio, verso Cavallerleone a bordo di Smeraldino, un pandino del 1991 (lo stesso anno in cui usciva Nevermind dei Nirvana) dalla tonalità verde smeraldo che nel nome richiama un'acqua minerale della Sardegna, ricordo di attimi vacanzieri). Il pilota è il fotografo fossanese Francesco Pala, autore insieme agli Airportman di "Across the flatlands", disco in cui la malinconia delle immagini si fonde con quella dei suoni, lavoro che è più di un semplice corollario fotografico. Andare alla scoperta dei luoghi delle campagne cuneesi delle fotografie è il motivo che mi ha spinto a fare questa chiacchierata on the road, insieme alla curiosità di scoprire quale sia il santo raffigurato sul pilone votivo dell'immagine che più di tutte mi ha colpito. Smeraldino -sul bagagliaio un adesivo del Vitriol di Fossano e del “segreto meglio custodito del rock italiano” ovvero gli Esterina- macina chilometri facendoci attraversare il paesaggio delle flatlands che, con le sue vaste distese pianeggianti che scorrono dal finestrino, sembra uscito dagli Stati Uniti. Impressione confermata dalle parole del frontman dei Cherubs quando, ospite dei Cani Sciorri, durante un viaggio in Italia, continuava a dire che gli sembrava di essere a Austin qui. Smeraldino -dallo specchietto pende un Arbre Magique lilla (della lavanda ha ormai soltanto il colore)- non è provvisto di autoradio ma la musica, insieme al rumore di ferraglia e ai cigolii, ci accompagnerà per tutto il viaggio.
 
"Across the flatlands" è nato qui, nella provincia cuneese.
"Sì, la prima fotografia da cui è nato tutto l'ho scattata a Cavallerleone. Lì sono poi tornato a distanza di tempo per fare una fotografia di un pilone votivo e di un campo di granoturco. Mentre portavo avanti il progetto sono stato influenzato dalla lettura di 'Pianura' di Marco Belpoliti, un libro che ha in copertina una fotografia di un pilone votivo immerso nella nebbia scattata da Luigi Ghirri”.
 
Ghirri mi fa pensare a "Paesaggio dopo la battaglia" di Vasco Brondi. In copertina c'è una sua foto inedita con un pandino bianco – i fari accesi- che esce, eroico, dalla tempesta. Hai presente?
"Sì. Tra l'altro Ghirri l'ho scoperto vent'anni prima che iniziassi a fotografare per via di un disco che è 'Epica, Etica, Etnica, Pathos' dei CCCP. All'epoca  non sapevo ancora nulla di fotografia ma mi colpirono tantissimo il suo immaginario e il suo approccio nel raccontare la villa dell'Appennino emiliano dove la band andò a registrare. Scatti che, basta guardare la copertina del disco con i mixer all'interno della cappella temporaneamente trasformata in studio di registrazione, sembravano quasi urbex, anche se nel 1990 non si parlava ancora di questo genere. E poi quel modo di approcciare i ritratti della band  davvero particolare...La classica cosa che potevano fare solo i CCCP insieme a un fotografo come Ghirri”.
 
Quindi hai scoperto la fotografia prima di diventare fotografo. Ti sei interessato fin da subito al paesaggio?
"Ho iniziato nel 2012. Era un periodo abbastanza buio della mia vita e ho deciso di diventare fotografo diciamo per motivi terapeutici. Per quanto riguarda il paesaggio c'è un preambolo da fare, legato al periodo in cui facevo l'assistente tecnico ai computer per i comuni sotto i 5000 abitanti in provincia di Cuneo. Tra il 2007 e il 2008 mi sono trovato davvero a girare tutto il cuneese. Mi ha sempre colpito come, in realtà, malgrado a noi sembri grande, se pensiamo agli Stati Uniti questa provincia sia una porzione veramente minima di territorio. Però quando attraversi queste pianure ti ritrovi dentro paesaggi che sembravano davvero usciti dalle fotografie delle pianure statunitensi. Certe cose ricordano tantissimo la copertina di 'Nebraska' di Bruce Springsteen con quell'immensa pianura che ti si apre davanti al cruscotto. Se arrivi in una certa stagione qui intorno non c'è nulla per chilometri...solo enormi distese di granoturco. In quel periodo non c'era ancora il nocciolo della fotografia ma il percepire di trovarsi in una realtà molto 'particolare'".
 
Musica e paesaggio erano già entrambe dentro di te. Quando hai iniziato a fotografare ti sei buttato nella documentazione di concerti di gruppi della scena locale e non solo. Uno dei palchi che hai fotografato è quello del vecchio Nuvolari Libera Tribù.
"La musica è la mia passione e i concerti sono stati un modo per approcciarmi alla fotografia. Il palco del Nuvolari -un altro che ho fotografato molto è quello del Ratatoj-  in certe occasioni era davvero particolare perché, oltre ai gruppi che ci salivano, era la gente che faceva da contorno ai live a darti stimoli non indifferenti. Inoltre c'era la possibilità di andare anche oltre la musica e di fotografare spettacoli di danza e teatro. E poi c'è il discorso affettivo che mi lega a quel luogo perché lì ci sono cresciuto. Mi ricorderò per sempre la domenica sera in cui sono andato  vedere i Faithless: era l'unica data italiana ed eravamo in quattro gatti perché dalle nostre parti probabilmente nessuno sapeva chi fossero".
 
Oddio guarda: un gatto nero! Oggi è venerdì ma noi non siamo superstiziosi, giusto?
"No io se vedo un gatto nero penso ai Cure".
 
Oh certo..."It's Friday, I'm in love"!.
"Brava".
 
Questo poi lo scriviamo! Tornando a noi, oltre alla documentazione di concerti e ai ritratti dei gruppi hai realizzato anche alcune copertine di dischi.
"Fotografare le band locali mi ha permesso di essere legato al territorio, cosa che mi è sempre piaciuta, e di iniziare a fare i primi lavori fotografici retribuiti. Oltre alla dimensione dei live e ai ritratti dei gruppi, ho fatto le copertine di due album dei Cani Sciorri ('Parte Seconda' e Parte Prima') e il progetto 'Across The Flatlands' con gli Airportman".
 
Che cosa sono le flatlands?
"Sono il viaggiare per chilometri e chilometri e vedere quello che stiamo attraversando adesso: i campi di granoturco appena  piantati, gli alberi di contorno, le cascine, i cumuli di letame...Attraversandole, arrivi a un punto in cui ti ritrovi in porzioni di natura in cui non c'è alcuna presenza umana ma soltanto queste vaste pianure con il loro piattume. Piattume che non è solo della terra ma anche della maggior parte della gente che abita questo angolo di Piemonte".
 
E il paesaggio? Che cos'è il paesaggio per un fotografo?
"A differenza di tanti fotografi paesaggisti, per me, elementi come una cascina decadente in mezzo alle campagne oppure la pianura che scorre da un treno in corsa sono paesaggio. Il paesaggio è il sentimento che tu hai di fronte a quello che vedono i tuoi occhi, è qualcosa che va oltre la conformazione del territorio. In altre parole non è la cartolina".
 
Quello delle flatlands è un paesaggio dell'anima?
“Assolutamente sì. Lì dentro ci sono io, nel periodo che va tra febbraio e maggio 2021 quando si iniziava a uscire dalla pandemia”.
 
Mi viene di nuovo in mente Vasco Brondi. In "Va dove ti esplode il cuore" parla di "quella provincia che ti uccide o ti eleva". A proposito, ho visto da poco due concerti de Le Luci della Centrale Elettrica, "riaccese" per celebrare i quindici anni di Canzoni da spiaggia deturpata".
"L'ultimo Vasco Brondi lo stimo più come scrittore. "Anime galleggianti", libro scritto a quattro mani con Massimo Zamboni, che racconta del viaggio in zattera che i due hanno fatto insieme navigando sul Po, lo trovo bellissimo e per me la parte di Brondi supera davvero quella di Zamboni. Invece, per quanto riguarda 'Canzoni da spiaggia deturpata', beh è la cosa più bella che abbia mai visto e sentito in vita mia (per la prima volta proprio al Nuvolari). Merito anche della presenza di Giorgio Canali. Eccoci! Adesso siamo davvero dentro 'Across the flatlands'".
 
Arriviamo finalmente nel luogo in cui è stata scattata la prima fotografia del progetto: una costruzione inghiottita dalla vegetazione. Scendiamo dal Pandino e ci avviciniamo a quello che un tempo era un vecchio magazzino agricolo per osservarlo da vicino (n.d.r.)
 
Quando hai scattato questa fotografia?
"A febbraio 2021, periodo in cui finalmente si poteva uscire dalla zona rossa del proprio comune. Una sera, mentre viaggiavo ho visto questa costruzione al tramonto. Ho inchiodato e fermato la macchina nello spiazzo che la fortuna mi ha fatto trovare proprio qui di fronte e ho scattato con la  luce del crepuscolo, il momento che prediligo. Credo ci sia la luce migliore in quegli attimi e poi io sono piuttosto dark e new wave nella tipologia di pensiero".
 
Nove fotografie delle campagne cuneesi  che diventano simbolo di un paesaggio post apocalittico in cui trionfano la forza e la sacralità della natura, la luce sul buio. L'uomo è assente e la sua presenza suggerita da elementi come la casa divorata dalle piante, il traliccio, la serra..
“Questi aspetti sono accentuati dalla tipologia di postproduzione che ho voluto utilizzare e che è ispirata a una serie televisiva dell'ex Unione Sovietica ('Hide and Seek') dove la luce era la stessa, anche se  all'interno di un tessuto urbano caratterizzato dal ripetersi di caseggiati enormi tutti uguali. L'elemento umano –a parte il discorso di concerti e band- nelle mie fotografie è spesso assente ma ci sono tutti gli elementi dell'Antropocene che ne indicano la presenza”.
 
"Across the flatlands" si è poi trasformato in un disco che è frutto del lavoro parallelo di un fotografo e di una band. Immagini e suoni si completano, si fondono insieme in maniera perfetta. Quando è avvenuto l'incontro tra le fotografie di Francesco Pala e la musica degli Airportman?
“É stato Giovanni Risso a contattarmi, quando ormai avevo quasi ultimato il mio progetto e appena pubblicato su Facebook la fotografia che diventerà poi la copertina del disco. Mi dice che gli Airportman stanno lavorando a un nuovo disco ( 'Attraversare' il titolo provvisorio) e di essersi innamorato di quella fotografia per la sua dimensione malinconica e assolutamente in linea con il loro nuovo lavoro. Quando gli ho spiegato che era parte di un progetto più ampio abbiamo pensato a una collaborazione. Inizialmente il mio progetto doveva essere parte del booklet ma poi è diventato qualcosa di più...”.
 
Stavate lavorando entrambi sull'attraversare, con due linguaggi diversi ma con lo stesso sentimento. Due rette parallele che a un certo punto il destino ha fatto incontrare.
“Abbiamo lavorato davvero in parallelo perché quando è iniziata la nostra collaborazione il mio progetto era quasi ultimato e io non sapevo quasi nulla del nuovo disco. In realtà non l'ho ascoltato fino a quando non è uscito (prima su una chiavetta contenuta, insieme alle fotografie stampate, dentro una scatola realizzata per le prime date del tour quando nel periodo di fine Covid non si riuscivano a stampare i vinili perché tutti i gruppi volevano pubblicare. Gli Airportman hanno lavorato sulla musica con le immagini che andavano nella stessa direzione dei suoni che avevano già abbozzato. Il titolo del mio progetto è poi diventato il titolo definitivo del disco e i titoli delle fotografie hanno dato il nome alle tracce”.
 
Quando ho ascoltatalo il disco guardando le tue fotografie, è stato davvero fare un viaggio dentro quel paesaggio (che poi è lo stesso che stiamo attraversando ora anche se diverso). È questo che fa la fotografia? Portarti altrove? Come la musica?
“Assolutamente sì. Altrove è anche il titolo di una mia fotografia a cui sono molto legato, ispirata alla canzone dei Diaframma”.
 
A me viene in mente “Altrove” di Morgan: “Lascio che le cose mi portino altrove, non importa dove”. “Across the Flatlands” mi ha portato dentro una tempesta che si rasserena  e  mi ha fatto respirare il vuoto e la poesia della solitudine e dell'assenza.
“Lì dentro c'è tutto quello che hai detto perché il progetto nasce come risposta alla pandemia, a quel periodo in cui si era confinati in una prigione di 500 m. A me piace partire in macchina e viaggiare senza meta. Cosa che mi è rimasta da  'Senza un posto dove dormire' dei Massimo Volume quando Mimì a un certo punto dice 'guidavo tutta la notte fino a perdere il filo dei miei pensieri'. Durante il Covid tutto questo mi è mancato tantissimo”.
 
Dopo aver sbagliato strada arriviamo nel punto in cui si trova il pilone votivo. Una scritta sbiadita dal tempo -per avvicinarmi entro nell'erba alta con abiti inadatti e procurandomi qualche puntura di ortica- rivela il nome oggetto della devozione popolare: Santa Caterina (n.d.r.)
 
Questo è il pilone votivo che hai voluto fotografare dopo aver visto la copertina di “Pianura”.
“Sì e mi  sarebbe piaciuto fotografarlo nella nebbia come quello di Ghirri ma il 2021 è stato uno degli anni in cui la nebbia da queste parti non si è vista. La presenza cattolica nelle campagne, testimoniata da un paesaggio costellato di edicole votive, cappelle e chiesette, è un aspetto che accomuna le pianure in Italia. Un discorso che va oltre la religione perché si tratta di una sacralità legata al raccolto e alla vita e ai ritmi del contadino”.
 
Saliamo in macchina e ripartiamo alla volta di Roncaglia, frazione di Benevagienna. Cerchiamo un albero storto: “Croocked”. Il titolo è ispirato dagli album “Croocked Rain, Croocked Rain” dei Pavement e  “Your Funeral...My Trial” di Nick Cave. Intorno solo campagne, papaveri e voli di corvi...l'albero storto non c'è. (n.d.r.)
 
Dici che non c'è più?
“No. Era esattamente qui. Una cosa che ho imparato con il tempo è che se vuoi fare una fotografia devi farla subito perché le cose possono sparire, così, da un giorno all'altro”.
 
Continuiamo il nostro viaggio. Una croce sulla statale, a Trinità ma che sembra uscita dai cimiteri irlandesi -Francesco mi dice che gli ricorda “The Unforgettable Fire” degli U2- è l'ultima tappa prima di rientrare a Fossano e vedere gli ultimi luoghi delle foto. Piove. Smeraldino attraversa la tempesta (n.d.r.)
 
Bene, siamo tornati sani e salvi. Smeraldino ci ha riportato a destinazione. La conosci la pagina Instagram “Pandini nei paesini”?
“Sì... Ora che ci penso Smeraldino l'ho usato anche per un servizio fotografico dei Like Andante”.
 
Dai? Dovremmo taggarla quando pubblicheremo l'intervista...

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