VILLAFALLETTO - Storie di Resistenza nel cuore del mondo dei vinti

A Gerbola e a Mellea, tra Villafalletto e Fossano, tante storie di libertà, ancora vive ora

Federico Mellano 25/04/2023 07:50

Gerbola è un piccola frazione nel Comune di Villafalletto. Le case si concentrano sulla Strada provinciale che conduce a Fossano e, per il resto, pochi cascinali si allungano verso la regione denominata “Casale”, in direzione sud e verso Vottignasco a nord. A oriente, nel comune di Fossano, si trova una frazione simile, Mellea. Il torrente Grana chiude la terrazza pianeggiante e apre le porte alla più grande e regolare distesa fossanese. Un angolo di Piemonte dimenticato, che non ha mai fatto parlare di sé, in cui, come scrive Nuto Revelli, "nessuno ha mai avuto nostalgia del fascio, ma l’autorità del conte Falletti ha sempre avuto un certo seguito". Una zona che Revelli descrive nel “Mondo dei vinti” e che oggi vive, come tutte le zone interne, lo spopolamento massivo. 
 
Ma anche lì la guerra ha aperto le sue ferite, la rabbia nazista si è fatta sentire e alcuni giovani, dopo aver visto il mondo sui fronti di guerra, sono tornati con una consapevolezza diversa. Chi ha vissuto sempre in quelle campagne si è trovato all’improvviso coinvolto dall’eco dei cataclismi di mondi così lontani che non sarebbero mai stati nemmeno immaginati altrimenti. 
 
A Gerbola e a Mellea la gente iniziò a capire che la guerra era in casa nel dicembre del 1943. Prima di allora solo voci, da Boves, dalla montagna, dalle città, da cui i tedeschi deportavano in Germania i militari italiani. 
 
Ma la vera presenza militare si fece sentire dal dicembre del 1943, quando i tedeschi occuparono il campo di aviazione di Levaldigi. Si trattava di reparti della Luftwaffe, comandati dal maggiore Kurt Ubben. Ubben era un asso dell’aviazione. Con 110 vittorie aeree aveva ottenuto la stima dei suoi camerati e numerosi riconoscimenti, tra i quali la Croce di Cavaliere. Era anche un nazista convinto. Si sarebbe macchiato di vari crimini, tra cui il noto eccidio del Ceretto.
 
L’8 dicembre alcuni partigiani, provenienti da Vinadio, decisero di recarsi a Mellea per prelevare alcuni fusti di benzina, di proprietà tedesca. Dopo l’iniziale successo, i soldati si accorsero della spedizione e intervenirono. Si scontrarono con i partigiani: uno di loro, ferito, non riuscì ad allontanarsi con i compagni.
 
Subito i tedeschi accusarono don Nicola (Bernardi) di complicità e si prepararono ad una feroce rappresaglia - scrive Mariuccia Crosetti -. Presero tutti, padri di famiglia, vecchi, giovani, bambini. Vennero portati al campo di aviazione, gli fecero scavare le fosse per poi fucilarli e dare il paese alle fiamme”. Il curato allora mandò la maestra Lidia Bozzolo a Fossano, per avvertire il vescovo Dionisio Borra di quanto stava accadendo: “Il vescovo arrivò in bicicletta il 9 dicembre, lasciando detto in Curia che forse non sarebbe più tornato. Si recò subito alla sede dei tedeschi per avere un abboccamento con il maggiore”. Nel frattempo il giovane partigiano, nascosto in una cascina, era stato catturato dai nazisti. Si chiamava Giovanni Ramero, aveva appena 19 anni, eppure la sua vita si interruppe così presto e in modo atroce. Fu torturato in modo disumano. “Mia mamma ricordava le urla di questo giovane che implorava e invocava la madre”, racconta Maria Assunta Rosso. Il mattino dopo, ridotto a un grumo di sangue, fu costretto a scavarsi la fossa, fucilato e successivamente impiccato. Per tre giorni il suo corpo fu lasciato visibile come monito alla popolazione. 
 
Fu questo fatto, forse, a convincere alcuni a intraprendere la scelta partigiana. Uno dei primi fu Maurizio Giordano, nome di battaglia Totò, residente in regione Casale. Agricoltore, entrò nella 20ª Brigata Giustizia e Libertà “Andrea Paglieri”, comandata dal centallese Faustino Dalmazzo, il 15 gennaio 1944. “I ricordi di quei tempi non si cancellano - racconta la figlia Ludovica, all’epoca  bambina -. Mio papà aveva già iniziato ad accogliere gli sbandati in seguito all’armistizio e ha sempre aiutato chi ha potuto”. Ludovica era la seconda di quindici tra fratelli e sorelle, nata e cresciuta in un cascinale che si riconosce tra gli altri: una robusta torre di vedetta in muratura chiudeva la casa e la strada, passando in mezzo ai casolari, attraversa ancora oggi un antico porticato. Per la sua posizione defilata, casa Giordano divenne presto luogo di rifugio dei partigiani che in tarda notte si fermavano nella stalla per un pasto caldo o un luogo in cui riposare: “Mia zia la sera preparava una caldera con dieci o venti chilogrammi di pasta per i rifugiati e si mangiava fin dopo mezzanotte”. Ludovica non nasconde la paura e il continuo senso di precarietà: “Bastava una spiata per essere scoperti e fare una brutta fine. Un giorno arrivarono i soldati tedeschi in camion con divise scure e armati fino ai denti. Ci condussero tutti in cortile, ci allinearono e piazzarono una mitragliatrice. Un tedesco domandò a mio padre se c’erano partigiani nascosti, ma lui negò. Per fortuna i soldati se ne andarono. Un’altra volta arrivarono a cavallo e misero a soqquadro tutta la casa per cercare nascondigli. Da allora i cavalli mi incutono un certo timore”.
 
Dopo Maurizio, altri fecero la scelta della montagna. Lo stesso giorno, un amico e compaesano di Giordano, Giacomo Bollati, nome di battaglia “Nanni” entrò anche lui nella 20ª Brigata. Bollati era stato militare nel regio esercito, inquadrato come sergente fuochista sul cacciatorpediniere “Freccia”.
 
Mio papà è mancato giovane e io avevo 25 anni - dice la figlia Carla -. La coscienza della Resistenza non ce l’avevo e ora mi sento in colpa per non averlo ascoltato. Non tutti ne parlavano volentieri e io non stavo molto a sentire”. Bollati fu decorato con la Croce al Merito di guerra il 31 agosto del 1974. 
 
Tanti Gerbolesi seguirono la strada di Giordano e Bollati: Aldo Aime, Giorgio Ambrosino, Lorenzo Comba, Primo Muratore e Bernardino Testa. Non tutti ebbero la fortuna di festeggiare la liberazione: “Umberto Giovenale Lamberto e Roberto Blanchi di Roascio furono uccisi da un fascista il 9 marzo 1944”. Stavano trasportando del materiale su un camioncino a Villafaletto, quando il milite Renzo Lingua, dopo averli fermati, fece fuoco su di loro. 
 
E sorte simile toccò ai partigiani uccisi a Tarantasca dai tedeschi in ritirata il 28 aprile 1945, oppure agli undici sventurati che furono arsi vivi con i lanciafiamme a Genola lo stesso giorno. Pochi pagarono veramente per il male compiuto. E i processi del dopoguerra furono seguiti da amnistie che cancellarono la giustizia. Ma non sempre il tempo è ingiusto. Kurt Ubben non visse molto dopo le sue “gesta” in Piemonte: fu ucciso in azione in Francia il 27 aprile 1944.

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