Se ci guardiamo indietro, difficilmente possiamo trovare grandi avvenimenti che abbiano influenzato il mondo avvenuti all’ombra della Bisalta. La terra in cui viviamo è sempre rimasta ai margini del lungo fiume della storia su cui il filosofo Hegel, massimo esponente dell’idealismo, ha costruito una delle sue teorie più affascinanti. Eppure, come già sosteneva l’intellettuale di Stoccarda, ogni movimento dell’acqua in un preciso punto del fiume è deciso dalla cascata e dai vortici a monte, ma dipende anche dai sassi e dalle anse presenti nel fiume, nel punto in cui ci si ferma a osservarlo. Per semplificare, possiamo utilizzare una famosa metafora ideata dal meteorologo Edward Lorenz: “Può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”. Lo scienziato si riferiva a un altro campo di studi, ma l’immagine è certamente efficace per spiegare come anche i fatti apparentemente irrilevanti possano avere un’influenza importante sul corso degli eventi. E dire che dalle nostre parti sono transitati personaggi che nell’affascinante romanzo della storia del mondo non hanno certo occupato posti di secondo piano, nel bene o nel male: da Annibale a Napoleone, passando per Garibaldi e Mussolini. Già nelle scorse uscite della nostra rivista ci siamo divertiti a raccontare vicende storiche che hanno interessato il territorio che guarda dal basso il Monviso e il Mongioie, scoprendo (su questo non ci sono dubbi) che i fatti locali non sono meno seducenti delle vicende internazionali studiate sui libri di scuola.
Questa introduzione obiettivamente piuttosto lunga serve per raccontare un fatto storico che in qualche modo racchiude entrambe le “anime” di cui abbiamo appena narrato, la grande e la piccola storia. Si tratta della visita a Racconigi dello zar Nicola II, l’ultimo imperatore di Russia. Conosciuto più per la sua tragica fine - fu giustiziato insieme alla sua famiglia a Ekaterinburg, sull’altare della Rivoluzione del 1917 - che per le sue azioni in vita, il figlio di Alessandro III rimase sul trono 23 anni. L’evento che vi narriamo risale al 1909, quando ancora nessuno poteva immaginare che cosa sarebbe accaduto da lì a qualche anno dalle parti della Prospettiva Nevski. L’autocrate di tutte le Russie allora nel pieno del suo potere assoluto venne Italia per una visita di Stato, che restituiva quella compiuta nel 1902 dal re Vittorio Emanuele III a San Pietroburgo.
Non era la prima volta che uno zar si recava in visita in Italia: già nel 1845 Nicola I aveva raggiunto la moglie Aleksandra Fëdorovna a Palermo, dove si tratterrà per circa un mese per poi spingersi fino a Roma. Il sovrano russo intendeva toccare con mano il polso della penisola, che i suoi informatori gli dipingevano come antiaustriaco. Questo ribollire di sentimenti rivoluzionari non era visto di buon occhio da San Pietroburgo, ma la storia fece comunque il suo corso.
Torniamo all’inizio del XX secolo. Va detto che la visita del 1909 avrebbe potuto svolgersi sei anni prima, ma i socialisti ebbero un ruolo importante nell’impedirla lanciando una “campagna dei fischi allo zar”. La propaganda centrò l’obiettivo, delineando addirittura il rischio di una rottura dei rapporti diplomatici. Quando la visita venne finalmente organizzata, il principale dossier sul tavolo era la crisi internazionale innescata nel 1908, con l’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’impero Austro-ungarico. Nicola II si prese il rischio di affrontare i fischi - che arrivarono regolarmente - e giunse in Italia in treno percorrendo la Polonia e la Germania, per poi passare attraverso la Francia. Giunse quindi a Torino, dove fece uno scalo per visitare la città, dopo aver passato il traforo del Fréjus. Un percorso obbligato, il suo, per aggirare i territori ostili dell’Impero Austroungarico.
Come mai l’incontro si tenne a Racconigi? Fu una scelta graduale: il timore era che a Roma, come in altre grandi città eventualmente prescelte, lo zar sarebbe stato esposto al rischio di attentati o quantomeno alle proteste organizzate da socialisti e anarchici. La dimora reale in provincia di Cuneo era del resto già conosciuta dal ministro degli Esteri in carica, Izvolskij, che nel settembre 1908 vi si era recato in visita al Re Vittorio Emanuele III, incontrando anche il suo omologo italiano Tittoni. Inoltre Racconigi aveva un valore altamente simbolico per la famiglia reale - vi nacquero molti re di casa Savoia -, ed era un luogo in cui il monarca si tratteneva sovente, anche per mesi interi. I racconigesi erano dunque abituati alla presenza di personaggi illustri, il che garantiva una situazione di relativa sicurezza. Nonostante questo furono presi diversi accorgimenti: il più curioso fu il divieto imposto a chi risiedesse lungo la ferrovia di affacciarsi alle finestre o ai balconi delle case, con l’obbligo di tenere le ante ben chiuse al passaggio del convoglio. L’Illustrazione italiana, commentando l’arrivo dello zar in Piemonte, così scriveva sulle sue pagine: “Nel tratto di strada ferrata da Bardonecchia a Torino, vi erano non meno di undicimila uomini distribuiti in servizio di pubblica sicurezza. Chi avrebbe perdonato al governo se, per mancanza di vigilanza, qualche matto o mattoide imbevutosi di tutte le scempiaggini sovversive predicate contro lo zar in manifesti distribuiti in larga mano, avesse avuto libero agio di perpetrare qualche pazzesco attentato o di usare qualche villania?”.
Il "Signore di tutte le Russie” giunse così a Racconigi il 23 ottobre 1909, dove si fermò tre giorni. Ciò che rimane negli annali è l’accordo che prende il nome dalla cittadina della Granda. Un patto segreto incentrato sul mantenimento dello status quo nei Balcani e firmato all’insaputa della Triplice Alleanza (ovvero del patto militare difensivo tra gli imperi di Germania e Austria-Ungheria e lo stesso Regno d’Italia). L’accordo puntava a frenare le mire espansionistiche degli austriaci verso sud e venne vergato in russo e in italiano. Nonostante tutte le cautele adottate da Nicola II e Vittorio Emanuele III, i servizi segreti austro-ungarici riusciranno a entrare in possesso di una copia autenticata del documento. Il resto della storia, negli anni di poco successivi, è tristemente noto: a dispetto delle preoccupazioni dei sovrani europei le tensioni dei Balcani diventeranno proprio la causa scatenante della prima guerra mondiale, dopo l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo per mano di alcuni nazionalisti jugoslavi.