Il “Viandante sul mare di nebbia” riassume lo spirito di un’epoca che cambiò le sorti dell’Europa. Siamo nel 1818, il continente conosce un effimero momento di pace dopo l’era delle rivoluzioni e delle guerre napoleoniche. È una pace imposta con le armi dai vincitori della Francia, che, riuniti nel Congresso di Vienna, tra il 1814 e il 1815, avevano deciso di riportare indietro gli orologi della storia di venticinque anni. Si volevano cancellare con un colpo di spugna gli ideali della rivoluzione francese e i progressi raggiunti dalle riforme napoleoniche.
Anche il Piemonte fu raggiunto dai venti di rinnovamento che arrivavano da oltralpe. Ma il primo punto di rottura dell’antico regime, rappresentato dalla monarchia assoluta sabauda, era arrivato dalla Sardegna. Nel 1792 la Francia rivoluzionaria, dopo aver dichiarato guerra alla Prussia e al Sacro Romano Impero, aveva deciso tentare l’invasione dell’isola. La spedizione, guidata dall’ammiraglio Laurent Truguet, era stata un disastro per le truppe d’invasione sia per l’accanita resistenza dei sardi, che per due tempeste che avevano devastato la flotta francese. Nella battaglia decisiva di Quartu Sant’Elena i francesi erano stati sconfitti e Truguet aveva dovuto ordinare la ritirata. I sardi, furiosi per i pesanti bombardamenti che avevano colpito Cagliari i giorni precedenti, non avevano fatto prigionieri. Dopo quell’esperienza infausta le truppe rivoluzionarie avrebbero rinunciato per sempre ad assediare la città. L’atteggiamento poco riconoscente del sovrano Vittorio Amedeo III di Savoia nei confronti dei residenti dell’isola, per il successo ottenuto, aveva scatenato, nel 1794, una ribellione popolare, i cosiddetti Vespri sardi, che avevano costretto il sovrano ad accettare alcune richieste degli insorti.
Nel 1796 l’armata francese, guidata dal giovane generale Napoleone Bonaparte, entrò in Piemonte e, nelle piazze delle principali città, furono eretti gli alberi della libertà. Il re Vittorio Amedeo III fu costretto a firmare l’armistizio di Cherasco, mantenendo un rapporto di dipendenza con il governo francese. Gli ideali rivoluzionari permearono la società piemontese e determinarono una serie di tumulti nelle campagne del basso Piemonte. I moti giacobini piemontesi culminarono con la proclamazione della Repubblica Astese, repressa nel sangue dalle truppe lealiste nel 1797. Tra gli ufficiali che guidavano le truppe reali vi era Michele De Rossi conte di Santarosa con suo figlio
Filippo Annibale Santorre. Santorre, nato a Savigliano nel 1783, tuttavia non seguì per sempre l’orientamento del padre, che morì nel 1800 in seguito alla battaglia di Marengo, ma si pose al servizio dell’amministrazione napoleonica, essendo nominato sindaco di Savigliano nel 1807 e sottoprefetto di La Spezia nel 1812. Nel suo periodo di servizio politico comunque non risparmiò critiche a Napoleone e iniziò a maturare l’idea di un modello di Italia unita e libera dalle occupazioni straniere.
Dopo la sconfitta di Napoleone, Vittorio Emanuele I di Savoia rientrò a Torino il 20 maggio 1814 e Santarosa si pose a disposizione del re, combattendo a Grenoble nel 1815. Nel 1816 “ottenne l’incarico di capo di divisione del ministero della Guerra con il compito di partecipare al riordino delle forze armate piemontesi”. Nello stesso periodo si avvicinò al movimento della carboneria. Era una fase carica di fermento: in Europa numerosi strati della società non accettavano il nuovo ordine stabilito dal congresso di Vienna. La borghesia, gli intellettuali, ufficiali, i nobili illuminati rimpiangevano i progressi raggiunti durante il periodo rivoluzionario e il governo napoleonico. Da un lato la rivoluzione francese aveva sancito la fine definitiva del mondo feudale e dei sovrani assoluti, tali per diritto divino; dall’altro le riforme napoleoniche, prima fra tutte il Codice civile del 1804, avevano impresso una svolta definitiva nell'ambito dei rapporti civili. Con l'istituzione del divorzio anche le donne erano libere di sciogliere il matrimonio e, grazie all'istruzione dei licei e delle accademie militari, per la prima volta in Europa era possibile raggiungere i vertici dell’amministrazione per i meriti conseguiti.
Con la fine dell’esperienza napoleonica e il periodo della Restaurazione, sorsero anche nuovi movimenti politici e culturali. Il principale era quello del Romanticismo. Nato in contrapposizione all'Illuminismo, il Romanticismo affermava la superiorità dello spirito, la centralità del rapporto con la natura e la nazione, luogo in cui i popoli possono trovare conforto e unità. I romantici, delusi dall'esperienza napoleonica, difficilmente riuscirono a declinare un pensiero unico e lineare, ma adattarono le loro idee ai contesti locali. L'Italia, che si trovava di nuovo divisa come in epoca medievale, non solo faticava a trovare una comunione di intenti, ma, da parte di coloro che sostenevano la necessità di superare le divisioni e le occupazioni militari straniere, mancava un indirizzo politico comune. Santarosa sosteneva la necessità di accordarsi con il sovrano sabaudo, affinché potesse farsi interprete delle necessità dell’Italia e dichiarasse guerra all'Austria, considerata come principale nemica.
Un’occasione succosa gli fu offerta dallo scoppio dei moti rivoluzionari del 1820. Santarosa si rivolse, in un primo momento, al sovrano Vittorio Emanuele I, domandandogli la concessione di una Carta costituzionale sul modello di quella spagnola. Ottenuto il rifiuto del re, non rimase che la carta della lotta armata. L’occasione si presentò il 10 marzo 1821, quando i reparti militari della Cittadella di Alessandria insorsero: Santarosa divenne uno dei leader della ribellione. Il re abdicò a favore del fratello Carlo Felice, ma siccome quest’ultimo si trovava a Modena la reggenza fu affidata al nipote Carlo Alberto di Carignano. Carlo Alberto, che da tempo aveva stretto contatti con gli ambienti rivoluzionari, il 13 marzo, dal balcone di Palazzo Carignano, promise la concessione della costituzione. Carlo Felice, che si trovava nella città emiliana sotto la “protezione” degli austriaci, rinnegò l’operato del nipote e lo intimò di recarsi a Novara in attesa di nuovi ordini. L’esercito costituzionale decise comunque di continuare la lotta, non tanto contro il re Carlo Felice, ma contro l’esercito austriaco. Ad aprile i rivoltosi furono sconfitti a Novara dalle truppe lealiste e austriache.
Santarosa decise di intraprendere la strada dell’esito che, dopo un lungo pellegrinaggio in Europa, lo condusse ad appoggiare la guerra di indipendenza greca, scoppiata nel 1821 per porre fine al dominio ottomano della penisola ellenica. E fu proprio in Grecia che Santarosa dimostrò la coerenza ai propri ideali di libertà e di lotta a fianco degli oppressi. Morì in battaglia a Sfacteria.
Tanti seguirono quella strada. Già l’anno precedente il poeta inglese George Gordon Byron aveva perso la vita in Grecia. Non aveva fatto in tempo a completare il “Don Giovanni”, ma ha lasciato comunque ai posteri profondi insegnamenti: “La vita è una stella che splende all’orizzonte sui limiti di due mondi, tra la notte e l’aurora. Quanto poco sappiamo quello che siamo!”.
Da lì a pochi anni, nel 1835, Garibaldi si sarebbe unito alle lotte per la libertà in Sud America, prima che l’Italia sarebbe stata finalmente unita. A Santorre di Santarosa è dedicata l’omonima splendida piazza di Savigliano. Una fetta di libertà che abbiamo oggi, forse, la dobbiamo anche a lui.