BORGO SAN DALMAZZO - Borgo San Dalmazzo: la storia dell'attentato al comandante fascista e la morte di Costanzo Orso

Ettore Salvi era finito nel mirino delle bande partigiane dopo mesi di crimini e violenze contro i civili: il 25 febbraio del 1945 l'attacco che finì in tragedia

La lapide che ricorda i fatti del 25 febbraio 1945
L'attuale bar Tre Galli, nel centro storico di Borgo San Dalmazzo
Il sacrario partigiano al cimitero di Borgo San Dalmazzo
Il sottopasso ferroviario nei pressi del quale avvenne l'esplosione

Andrea Dalmasso 23/08/2021 13:42

Alle ore 8 del 12 febbraio 1946, in uno spiazzo innevato nel poligono di tiro di Cuneo, nell’allora Roata Lerda, un plotone di esecuzione pone fine all’esistenza terrena di Ettore Salvi. Figlio di un medico irpino, nato nel 1917 ad Avella in provincia di Avellino ma torinese d’adozione, Salvi a cavallo tra il 1944 e il 1945, da comandante della 5° Sezione di Polizia Militare aggregata alla Divisione Littorio, aveva seminato il terrore a Borgo San Dalmazzo e dintorni. Divenuto famoso per i suoi feroci metodi repressivi, nei mesi trascorsi a Borgo aveva ordinato stragi e saccheggi che avevano costretto sia i partigiani che i civili a versare un tragico tributo di sangue. Finito di fronte a una Corte d’Assise straordinaria chiamata a giudicare i criminali fascisti autori di stragi, incendi e delitti efferati, fu condannato a morte con sentenza pronunciata il 2 luglio 1945. La Corte rimase aperta a Cuneo dal luglio 1945 alla fine del 1946, esaminò oltre duecento processi e inflisse, oltre a decine di ergastoli e a secoli di galera, quarantacinque condanne a morte. Fra i condannati, però, solo Salvi sarebbe poi effettivamente finito di fronte al plotone di esecuzione, ritenuto responsabile di alto tradimento per avere collaborato con i tedeschi invasori, oltre che autore di 35 omicidi volontari aggravati per i quali fu raccolta la prova certa. Inoltre i giudici lo ritennero responsabile di numerosi saccheggi e devastazioni di intere borgate montane.
 
I mesi in cui Salvi fece scorrere fiumi di sangue per le strade di Borgo San Dalmazzo sono ricostruiti in “Borgo nella Resistenza”, libro scritto dall’attuale consigliere comunale Mauro Fantino, pubblicato nel 1994 dal “Mensile di Borgo”. Il tenente Ettore Salvi era arrivato a Borgo San Dalmazzo il 4 dicembre 1944, come detto al comando della 5° Sezione di Polizia Militare, aggregata alla Divisione Littorio. La sezione era composta da diciassette uomini, che si stabilirono nell’albergo “Tre Galli” - oggi bar - in via Roma, di fronte al municipio. Ben presto Salvi rivelò tutta la sua spietata violenza, come detto sia contro i civili che contro i partigiani, dando inizio a oltre quattro mesi di puro terrore per tutta la comunità borgarina (ma non solo, viste le incursioni anche nelle zone limitrofe). La furia di Salvi e dei suoi uomini iniziò la sera del 23 dicembre, quando Carlo Calisto, ventitreenne partigiano residente a Boves, venne prelevato e portato a Borgo San Dalmazzo, dove all’incrocio tra via Villar e via Cuneo venne picchiato a morte e abbandonato. I cadavere fu ritrovato il mattino seguente, Salvi ordinò che fosse sotterrato senza alcuna identificazione. Un episodio che fu solo il primo di una lunga serie di efferati omicidi, di saccheggi, di devastazioni. A febbraio, dopo l’ennesimo massacro in frazione Sant’Antonio Aradolo che costò la vita a sei persone, le bande partigiane della zona passarono al contrattacco. Impresa non facile: Salvi non solo era costantemente protetto dai suoi uomini, ma si spostava anche a bordo di un piccolo mezzo corazzato che lo rendeva un bersaglio molto difficile. Nei mesi precedenti, infatti, diversi tentativi di imboscata nei suoi confronti erano già andati a vuoto.
 
Il nuovo piano scattò verso la fine del mese, quando una squadra partigiana della valle Stura si occupò del confezionamento di un ordigno a scoppio dilazionato, avvolto in un involucro in modo da fargli assumere le sembianze di un semplice pacco regalo. Sopra di esso la scritta “Per Salvi” e “Albergo Tre Galli”. Il pacco venne poi consegnato al quarantanovenne Costanzo Orso, padre di cinque figli e carrettiere della ditta “Trasporti Bagnis e Bianco", come testimoniato da documenti presenti nell’archivio del Comune di Borgo San Dalmazzo e da Giuseppe Orso, figlio dello stesso Costanzo, scomparso ad aprile del 2020.
 
Orso, ignaro del contenuto dell’involucro, si occupò della consegna presentandosi al “Tre Galli” il 25 febbraio del 1945. Ulteriori dettagli sulla vicenda sono riportati nel libro di Camillo Fresia, stampato dall’Istituto Grafico Bertello, “L’Immane Sconquasso”: Orso, analfabeta, non poteva leggere quanto riportato sul pacco e non poteva immaginare chi fosse il destinatario della consegna, per convincerlo a svolgere l’incarico servì una ricompensa di venti lire. Alla vista del pacco Salvi si insospettì immediatamente e mandò alcuni dei suoi uomini a prelevare l’uomo, tornato nel frattempo nella sua abitazione in via Grandis. Sotto minaccia degli squadristi, Orso fu costretto a riprendere il pacco e a seguire due militi di Salvi oltre il sottopasso ferroviario di via Rocchiuse, lungo la strada che conduce al cimitero comunale borgarino. Giunti sul posto, gli squadristi costrinsero il quarantanovenne ad aprire il pacco. Il boato - riporta Fantino nel suo libro - fu udito in tutto il paese, la straziante morte di Orso scosse in maniera profonda tutta la comunità borgarina, già segnata dalle sofferenze di anni di guerra e dalle violenze dei mesi precedenti. I due uomini di Salvi rimasero invece illesi, e rientrarono in paese per riferire la notizia. Il giorno stesso Gioachino Giraudo, commissario prefettizio per il Comune di Borgo San Dalmazzo, informò il capo della Provincia chiedendo un incontro con il Comandante della Piazza, il Maggiore della “Littorio” Gandini, per provare a placare la furia di Salvi e dei suoi uomini.
 
Dopo l’episodio del 25 febbraio Salvi impose a Borgo San Dalmazzo il coprifuoco alle ore 17, provvedimento che - come riferito da Giraudo in un’altra comunicazione alla Provincia presenta negli archivi del Comune - “paralizzava totalmente la vita locale, poiché dopo le 17, essendovi poco pericolo di incursioni aeree, si intensifica il lavoro”. Non esistono conferme o testimonianze di richiami da parte delle autorità civili e militari nei confronti di Salvi, di fatto però dopo quel tragico 25 febbraio cessarono le macabre esibizioni di violenza su pubblica piazza. Non cessò però del tutto la violenza: il Comandante semplicemente cambiò metodo, trasferendo le sue azioni dalle strade e dalle piazze di Borgo nelle stanze del “Tre Galli”, trasformate in vere e proprie camere di tortura. Proseguirono anche le fucilazioni dei partigiani catturati, che si fecero ancora più frequenti e feroci tra la fine di marzo e l’inizio di aprile, quando per Salvi e i suoi uomini fu chiaro che i giorni per la Repubblica di Salò e per la Germania erano contati. Il 6 aprile gli aerei alleati bombardarono il centro di Borgo, quasi certamente con il “Tre Galli” come obiettivo. L’albergo rimase indenne, ma Salvi fece trasferire il suo “quartier generale” in un altro edificio nella periferia del paese. Il 7 aprile a Fontanelle un gruppo di partigiani catturò la fidanzata di Salvi: le trattative dei giorni successivi bloccarono le violenze sul territorio e si conclusero con la liberazione della donna in cambio del rilascio di diversi partigiani presi prigionieri dalla Polizia Militare.
 
Nelle settimane successive i bombardamenti alleati si intensificarono, l’ora della liberazione sembrò avvicinarsi sempre di più. Con le truppe tedesche in fuga e le divisioni repubblichine in disarmo, Salvi riuscì a scampare alla cattura da parte delle bande partigiane che gli davano la caccia e a raggiungere Cuneo insieme ad alcuni reparti della “Littorio”: nel capoluogo diede il suo contributo nella vana difesa della Prefettura e della Questura da parte delle autorità fasciste. Nella notte tra il 27 e il 28 aprile 1945 gli ultimi tedeschi e gli ultimi repubblichini lasciarono Borgo San Dalmazzo, la sera del 28 le strade e le piazze del paese si animarono per una grande festa: la guerra era finita.
 
Oggi a Borgo San Dalmazzo una lapide posta nel punto in cui l’esplosione uccise Costanzo Orso ricorda i fatti del 25 febbraio 1945 e il fallito attentato a Ettore Salvi.

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