BUSCA - Cantè J Euv anche a Busca

Dante Bruno a salvaguardia delle tradizioni piemontesi

12/05/2017 09:38

Lo scorso 7 aprile, al mercato cittadino buschese è stata riproposta l’antica tradizione “el cantè j euv”, la questua delle uova in tempo quaresimale, detta letteralmente il cantar le uova, in gergo. La tradizione racconta che l’allungarsi dei giorni, ai primi di primavera, l’erba nuova nei prati e la luna nuova nel cielo, l’odore nuovo della polvere delle strade e i primi tepori della bella stagione, inducevano gruppi di giovanotti a prendere la via delle cascine, nelle notti di quaresima che precedono la Pasqua. Muovendosi rigorosamente a piedi o, al più, su carri trainati da bestie, i giovani giungevano al limitar delle aie e lì cominciavano a cantare, nascosti dalla notte e avvisati solo dal cane che per lo più si univa stonatamente al coro. La canzone era una specie di filastrocca in dialetto piemontese: “Suma partì da nostra cà, ca i-era n’prima seira, per venive a salutè, devè la bun-ha seira...” (Siamo partiti dalle nostre case che era da poco sera, per venirvi a salutare e darvi la buona sera). Questo l’inizio, poi seguivano altre strofe, molte altre strofe, in cui si invitava il padrone di casa a uscire e consegnare un po’ di uova. Il padrone il più delle volte usciva per davvero, magari assonnato nel primo sonno, con i pantaloni ancora in mano, e faceva scivolare una dozzina d’uova in una cesta portata a braccio da uno strano figuro, il fratucìn (che era poi nient’altro che un ragazzo vestito da frate). Dunque succedeva di tutto un po’ in quei cortili di cascina illuminati solo dalla luna, quando c’era: i cantori cantavano, il padrone, o la padrona, di casa per lo più stava al gioco e, dopo essersi fatta attendere un po’, si affacciava all’uscio con le uova in mano. Quindi potevano accadere molte cose: che i cantori ringraziassero, sempre con il canto, la padrona per poi riprendere il cammino verso un’altra cascina, oppure che il padrone di casa, ormai ben desto, facesse entrare in casa o in cantina i ragazzi, offrendo loro un bicchiere di buon vino rosso e tagliando il salame fatto in casa. Erano rare le volte in cui il padrone di casa non voleva proprio saperne di uscire: in quei casi i ragazzi se ne andavano maledicendo la cascina e i suoi abitanti, in particolare gli animali e il raccolto. Ma erano maledizioni bonarie e scherzose, non c’era mai reale intento di augurare sventure. Così, con l’andar della notte, l’intero villaggio risultava animato di canto e di musica: di musica, certamente, perché i questuanti avevano sempre con sé il clarino, la fisarmonica, un tamburo o un trombone. Terminato il tempo di questua con tutte le uova raccolte ed altro cibo si faceva una grande frittata con pranzo o cena, tale tradizione era anche propiziatoria  per il buon raccolto durante l’anno, praticamente una festa di primavera. Oggi viene vissuta ancora nei diversi paesi e, a Busca, Dante Bruno, Mimmo Prato e Flavio Lenti hanno riproposto tale evento distribuendo dolci ovetti di cioccolato per grandi e piccini ricordando l’antica festa del cantè j euv, oltre alla partecipazione a Guarene e a Maddalene di Fossano a salvaguardia della tradizione popolare piemontese.

c.s.

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