Era il 19 novembre 1703 quando nelle segrete del carcere della Bastiglia un prigioniero passò a miglior vita. Forse qualcuno si sarà chiesto se l’ultimo respiro di quell’uomo, chiamato nei registri ufficiali "Marchioly", non sia stato più liberatorio che non di rassegnazione alla morte dopo 34 anni senza vedere la luce del sole, se non mentre veniva trasferito da una cella all’altra.
Prima di arrivare nella celebre gattabuia del capoluogo francese era stato ‘ospite’ in diverse prigioni dell’allora stato francese: prima a Pinerolo, poi a Exilles, in alta val di Susa, dove gli fu dedicata una cella speciale, poi nel carcere delle isole Lèrins, nel mare di Cannes, e infine alla Bastiglia. Un dettaglio non irrilevante: per oltre tre decenni il Nostro fu costretto a nascondere il suo volto. Secondo gli studiosi, nonostante ancora oggi lo conosciamo così, non si trattava di una “maschera di ferro”, ma di una cucita in un più confortevole velluto. Se così si può definire qualcosa che sei obbligato a portare sul viso per oltre tre decenni.
La sua vita passata dietro le sbarre non nemmeno stata riscattata dai posteri, tant’è che ancora oggi il mistero sulla sua identità tiene banco tra gli appassionati. Di lui si sono occupati letterati e filosofi, oltre a una folta schiera di loro epigoni, ma nessuno è riuscito a risolvere uno dei più affascinanti rebus storici. Forse è anche grazie all’aura misteriosa che la sua storia è giunta fino ai giorni nostri resistendo al cinema e alla televisione. In molti ricorderanno il kolossal di Randall Wallace del 1998 con Leonardo Di Caprio, Gérard Depardieu, John Malkovich e Hugh Laurie (più conosciuto dagli appassionati di serie tv come interprete del dr. House). I tentativi di riprodurre su pellicola le tristi vicende dell’uomo dal volto celato non si fermano qui, tant’è che dopo il primo film muto del 1929, si susseguirono altri tentativi, nel 1939, nel 1962, e nel 1977, fino alla già citata produzione anglo-francese.
Per un pò di tempo si anche è pensato che fosse una invenzione letteraria, in quanto citato da Alexandre Dumas nel suo romanzo “Le vicomte de Bragelonne”, con cui concluse la sua trilogia sui moschettieri del Re nel 1847. Lo scrittore sosteneva la tesi che si trattasse un gemello di Luigi XIV di Borbone - meglio noto con lo pseudonimo di Re Sole -, costretto a portare la maschera in cella per nascondere quella perigliosa somiglianza. Il papà di Edmond Dantés si rifece a Voltaire. L’illustre esponente illuminista (1694-1778), da fervente antimonarchico qual era, si occupò della vicenda con grande attenzione. Sulla tesi dell’intellettuale pesa però la sua posizione partigiana.
Un’altra ipotesi piuttosto nota porta a un nome che ricorda quello riportato dai registri della Bastiglia (Marchioly): quello del conte Antonio Ercole Mattioli. Si narra che Madame De Pompadour, passata alla storia per essere stata la favorita di Luigi XV di Borbone “il Beneamato”, abbia interrogato il suo celebre amante sulla storia della Maschera di Ferro e che questi abbia risposto che si trattava di un principe italiano. Un altro discendente del Re Sole, Luigi XVI, noto ai più per la sua fine, stimolato dalla curiosità femminile di Maria Antonietta, seppe da un suo ministro che l’uomo dal volto mascherato era il duca di Mantova. La pista Mattioli, accreditata da alcuni storici, sembra una delle più plausibili. Il conte aveva fatto il doppiogioco tra Francia e Spagna in un intrigo nazionale legato all’acquisto di Casale Monferrato dal duca Ferdinando Carlo Gonzaga, danneggiando di fatto Luigi XIV che lo aveva fatto rinchiudere nel 1679 a Pinerolo. Sulla sua prigionia ci sono diverse prove documentali, ma nessuna che testimoni che questi fosse effettivamente detenuto con il volto celato.
Un’altra pista, ideata da Arrèse e Lacroix nel 1836 parte da un presupposto diverso: chiunque fu la Maschera di Ferro fu tenuto con il viso coperto perché insopprimibile per la sua importanza. La loro supposizione porta a Nicolas Fouquet, sovrintendente alle finanze durante la minorità di Luigi XIV. Il politico francese cadde in disgrazia e fu rinchiuso, guarda a caso, a Pinerolo. Dalle carte risulta che morì nel 1680. In tutte le ipotesi le prove documentali corrispondono soltanto in parte e tesi parziali portano alle conclusioni più disparate, non ultima quella del duca di Berwick, congiurato contro Carlo II d’Inghilterra, oppure a quelle di figli nati fuori dal matrimonio attribuiti a personaggi illustri: da Cromwell, a allo stesso Luigi XIV ad Anna d’Austria e Molière.
Passiamo ora all’ipotesi che ci riguarda più da vicino. Il contesto è l’assedio di Cuneo del 1691, il quinto dei canonici sette toccato alla città situata alla confluenza tra il Gesso e la Stura nel corso della storia. Era l’epoca in cui Re Sole la faceva da padrone sulla scena europea e gli altri stati del vecchio continente si coalizzarono per frenarne le mire espansioniste. Sacro Romano Impero, Arciducato d’Austria, Regno di Spagna, Impero svedese e Olanda, oltre ai principi tedeschi sigillarono nel 1686 la Lega d’Augusta, poi ribattezzata “la Grande Alleanza” dopo l’adesione dell’Inghilterra tre anni dopo, quando era già iniziata la guerra dei nove anni tra la casata dei Borbone e il resto d’Europa. Il duca di Savoia Vittorio Amedeo II, temendo per le sorti del suo stato, si avvicinò all’alleanza stringendo con un trattato segreto con gli austriaci. All’epoca, anche se non c’erano i social network, la riservatezza era una chimera e Luigi XIV venne in breve tempo a conoscenza dei fatti e prima cercò di disarmare l’esercito sabaudo con pesanti richieste - “altrimenti il duca sarà punito in modo da ricordarsene per tutta la vita” -, in seconda battuta passò alle vie di fatto mandando il maresciallo Nicolas Catinat, comandante generale delle truppe francesi, a occupare gran parte del Piemonte sudoccidentale. Una prima vittoria dei transalpini presso Staffarda - complice l’ingenuità di Vittorio Amedeo II, che in quest’occasione non onorò il suo soprannome di ‘Volpe savoiarda’ e agì con avventatezza - permise a Catinat di conquistare Savigliano e Saluzzo nell’estate 1690. Le mire francesi si spostarono poi sulla Valle d’Aosta e su Cuneo, il più importante baluardo difensivo del sud Piemonte. Per raccontare le fasi della conquista ci rifacciamo a un articolo pubblicato su ‘Provincia Granda’ da Bruno Lubatti nel 2006.
“Catinat concesse il comando di un Corpo d’armata che conquisti Cuneo ad un aiutante di campo del re: Antonio Manassès De Pas, marchese di Fequières, uomo impreparato e vanesio, ma fortemente appoggiato a corte grazie ai suoi maneggi. Sugli spalti poco guarniti di Cuneo era accorso il reggimento valdese di Wurtemberg (la Volpe Savoiarda aveva stretto un accordo con i Valdesi, concedendo loro libertà di culto n.d.r.), reparti del Savoia, del Guibet e del Crocebianca. Inoltre quando già i Francesi avevano raggiunto le posizioni di attacco, arrivarono da Mondovì vari rinforzi e il reggimento Saluzzo, riuscirono a forzare le linee nemiche ed entrarono in città. C’era già nell’aria quello spirito nazionale piemontese, che unendo forze montanare e conservatrici a novatori illuminati, porterà i Savoia a compiere il loro alto destino”.
Nonostante Cuneo fosse una città prettamente militare non mancavano i confrorti spirituali. Con i Monregalesi arrivò in città lo stendardo della Nostra Signora di Vico, condotto in processione nei momenti più delicati dell’assedio. “La curiosa storia di questo stendardo - ricorda Lubatti - lo porterà in seguito dalla chiesa dei Gesuiti a quella di San Francesco, ed infine nel Santuario di Madonna della Riva, da cui riemergerà per restauri e la definitiva esposizione al Museo Civico, solo nel corso del Novecento”. Otre alla Madonna di Vico, i cuneesi del Seicento avevano affidavano la propria anima anche a un altro riferimento imprescindibile: il Beato Angelo Carletti da Chivasso, il cui corpo si trovava da duecento anni al Santuario degli Angeli, dove peraltro riposa a tutt’oggi. Nei giorni precedenti l’assedio il corpo del beato venne portato all’interno delle mura e c’è chi giuria di averlo visto apparire più volte, di notte e di giorno, in difesa della città durante le fasi più cruente della battaglia.
Torniamo alle cose più empiriche: “L’assedio durò pochi giorni - scrive Lubatti -. Dopo essersi attestato presso la Torre Bonada (all’altezza dell’attuale corso Galileo Ferraris n.d.r.), il 12 giugno 1691 Feuquières inviò un ordine di resa al governatore della città, il conte Massimiliano Roero, militare e abile diplomatico. La risposta fu un violento cannoneggiamento che costrinse i Francesi il giorno 13 a spostare l’accampamento fino alla Madonna degli Angeli. L’arrivo e l’entrata in città dei rinforzi da Mondovì il 13, segnò anche l’avvicendamento al comando delle operazioni, con l’arrivo del nuovo generale, il marchese Bulonde”. Un evento, quest’ultimo, da tenere bene a mente per le vicende che verranno: il comandante Catinat insieme al nuovo generale mandò anche importanti rinforzi, ma la vittoria annunciata che Bulonde si aspettava (in barba al Feuquieres, ritenuto inadeguato dagli alti comandi francesi) non si concretizzò. Nonostante la superiorità numerica l'attacco furibondo alla cittadella si risolse in un disastro per i francesi, che dovettero ritirarsi nei loro accampamenti a causa del contrattacco dei valenti soldati Valdesi. C’è di più: quando Bulonde ebbe notizia dell'avvicinarsi del principe Eugenio di Savoia alla testa di un corpo di cavalleria inviato a soccorrere Cuneo, decise di battere in ritirata, marciando disordinatamente verso Centallo e poi Racconigi. I francesi abbandonarono sul campo oltre 4 mila morti e un gran numero di bandiere, cannoni e munizioni. Una disfatta totale inaccettabile per quella che allora era la più grande potenza militare al mondo.
Ora, grazie al lavoro di Emile Burgaud, studioso dell’arte militare attivo a fine Ottocento, e di Etienne Bazeries, militare esperto di cryptoanalisi, che riuscirono a decifrare la corrispondenza tra Catinat e il ministro francese Louvois, possiamo raccontare la suggestiva ipotesi che immagina Bulonde dietro la Maschera di Ferro. La suggestione deriva da una lettera inviata dal politico a al comandante il 24 agosto 1961. Dallo scritto si evince della rabbia e della costernazione di Luigi XIV di fronte all’ignominioso comportamento di Bulonde, che abbandonando di sua iniziativa l’assedio di Cuneo aveva compromesso la campagna piemontese e con evidente conseguenze sullo scacchiere generale della guerra. A questo seguiva l’ordine di arresto immediato, seguito - ça va sans dire - dalla conduzione alla fortezza di Pinerolo per restarci guardato a vista di notte e mascherato di giorno, a esempio per tutti. “Dal punto di vista della punizione per insubordinazione e dei contesti storici, l’ipotesi che Vivian Labbè, signore di Bulonde, sia identificabile con la Maschera di Ferro risulta plausibile - conclude Lubatti - Resta tuttavia da spiegare la gravità delle lunghe conseguenze e le date non coincidono troppo”.
È però vero che l’eventuale scambio segreto tra un carcerato legittimo e uno più ‘scomodo’ da tenere mascherato, come nella già citata ipotesi Fouquet, resta in piedi. Lungi da noi risolvere il secolare enigma della Maschera di Ferro: ci è bastato, soprattuto grazie all’immenso lavoro di chi ci ha preceduto, raccontare il legame tra la nostra città e un mistero che ha affascinato e siamo sicuri continuerà ad affascinare decine di generazioni. Un altro aspetto curioso, soprattuto per una città solita all’autocommiserazione, è scoprirla protagonista di una lotta tra le grandi potenze dell’epoca. Cuneo, “possente e paziente” per dirla con Giosuè Carducci, come tante altre volte nella sua storia, riesci a resistere addirittura all’esercito del Re Sole. Ferendo.