Squadra e compasso sono i simboli massonici più diffusi nell’immaginario collettivo. Com’è noto a molti appassionati, insieme al ‘Libro della legge sacra’ i due elementi compongono le grandi luci della libera muratoria. Ciò che è meno noto è che la passione per la simbologia massonica ha rischiato di influenzare pesantemente l’urbanistica di Cuneo. Come? Tramite l’abbattimento di due degli edifici più rappresentativi dell'altipiano, la Torre Civica e la chiesa di San Sebastiano, ma andiamo per ordine.
Siamo all’inizio del diciannovesimo secolo. La battaglia di Marengo combattuta il 14 giugno 1800 tra le truppe francesi dell'Armata di riserva e l'esercito austriaco, assicurava a Napoleone Bonaparte la sottomissione dell'Italia settentrionale, Cuneo compresa. La città, annessa all'Impero Francese, divenne capoluogo del ‘Dipartimento della Stura’ che anticipò, mezzo secolo prima e quasi nelle sue esatte dimensioni, la definitiva provincia Granda, poi istituita con la legge del 1859.
In quegli anni, abbattute le mura, l’altipiano conobbe l'allineamento degli assi viari e uno sviluppo urbanistico verso sud. Nella ex piazzaforte militare, nota fino ad allora per l'inespugnabilità, nacquero la biblioteca civica, il liceo e il teatro. La città fortificata scomparve, ma quella nuova era pronta a svilupparsi secondo le direttive del ‘Piano d’ingrandimento e abbellimento di Cuneo’ (Plan et projet d’aggrandissement et embellissement de la Ville de Coni), redatto nel 1802 sotto gli auspici del generale Jourdan: fu il primo ‘piano regolatore’ di Cuneo.
Era l’8 aprile del 1802 quando il prefetto Lorenzo De Gregory di Marcorengo e il sindaco (o ‘maire’) Carlo Caissotti di Chiusano illustrarono al plenipotenziario francese in Piemonte le linee programmatiche del nuovo strumento di pianificazione urbana, poi inviato a Parigi per la definitiva approvazione. Oltre a un arco di trionfo, un anfiteatro e a un’arena, innestati in ampi spazi verdi alla base dell’ideale ferro di cavallo vegetale formato dai viali alberati poi parzialmente realizzati, il piano avrebbe dovuto portare alla formazione di una piazza che desse ‘respiro’ alla nuova sede del municipio (l’Hotel de Ville), l’ex Collegio Scolastico dei Padri Gesuiti diventato palazzo comunale nel 1775 (funzione che ricopre ancora oggi).
“Il progetto prevedeva la demolizione dell’antico palazzo comunale e della Torre Civica per far luogo a una grande piazza quadrata, sul cui asse si impostava una nuova arteria che andava a sfociare nella via Mondovì, provocando il taglio di ben quattro isolati e l’abbattimento della chiesa di San Sebastiano” scrive Roberto Albanese nel suo libro 'Architettura e urbanistica a Cuneo tra XVII e XIX secolo'. I progetti dei due ‘alti papaveri’ recuperavano, scrive ancora l’architetto esperto di storia locale: “ipotesi illuministiche di una società retta dalla ragione”. Già, in quegli anni di turbolenze politiche quasi tutto il ceto dirigente franco-cuneese era massone. Ciò contribuì a ovattare le “divisioni tra legittimisti e francesizzanti, antichi giacobini e napoleonici, municipalisti e nostalgici della restaurazione sabauda, federalisti e unitari”. Il tutto in nome del bene comune: benessere, progresso, efficacia dell’amministrazione e necessità di governare la società.
Caissotti e De Gregory non facevano eccezione alla regola. Nella sola Cuneo nacquero in quegli anni due logge: “Parfait” e “Heureuse Union”. D’altronde lo stesso Napoleone Bonaparte, pur disprezzando le ‘conventicole segrete’ e le ‘sette’, “apprezzava ‘l’arte reale’ e i ‘lavori di architettura’”, scrive Aldo Mola nella sua 'Storia di Cuneo'. Per capire quanto squadra e compasso fossero popolari nella classe dirigente dell’epoca basti pensare che tra i membri dell’Heureuse Union c’era anche quel Bartolomeo Bruni al quale oggi è dedicata l’orchestra sinfonica della città e che, pur residente a Parigi, tornò nella sua città natale per affiliarsi alla loggia.
A questo punto non è difficile comprendere la velleità di ’disegnare’ un compasso sulla mappa di Cuneo del sindaco e del Prefetto. Il progetto prevedeva che una ‘delle aste’ del balaustrino fosse l’attuale Contrada Mondovì, mentre l’altra ‘via-asta’, dopo l’abbattimento di alcuni caseggiati, avrebbe dovuto giungere sino all’ideata piazzetta davanti all’attuale palazzo Civico, che sarebbe poi stata battezzata ‘Place aux Grains’. Il tutto puntellato da una rotonda sull’attuale corso Giovanni XXIII. Ai francesi non era bastato cancellare dalle mura della torre lo stemma della città e le iscrizioni che testimoniavano la fedeltà di Cuneo ai Savoia (che saranno nuovamente eseguiti dal pittore Gaetano Bottagatti dopo la restaurazione), ma avrebbero voluto radere al suolo l’intero edificio. Lo stesso destino sarebbe toccato alla chiesa di san Sebastiano e all’edificio che oggi ospita il Museo Diocesano.
Fortunatamente non se ne fece nulla e oggi, i cuneesi possono ancora ammirare la torre che secondo un’antica tradizione, fu eretta dopo il trattato di pace stipulato tra Cuneo e Mondovì il 15 giugno 1317, con il quale Roberto d’Angiò, signore della Contea di Piemonte, ordinò ai monregalesi di innalzare a loro spese la Torre Civica dei cuneesi. A quanto pare si tratta di una leggenda, in quanto durante la dominazione angioina le due città non furono in guerra. Lo conferma uno dei più antichi documenti conservati nell’Archivio Storico, dove è scritto che già nel 1240 il Consiglio comunale veniva convocato al suono della campana.
Negli anni successivi l’edificio conobbe molte peripezie, tra cui un incendio devastò che il Palazzo Comunale e si propagò all’interno dello stesso, era il 1627. Negli anni successivi fu restaurata secondo il progetto dell’architetto monregalese Francesco Gallo, per conservarsi immacolata fino ai giorni nostri. “La Torre Civica con la sua campana ha accompagnato e scandito tutte le tappe del cammini storico di Cuneo - ha scritto il compianto Piero Camilla, direttore della biblioteca civica e meticoloso studioso di storia locale -. Con i rintocchi del suo campanone, nei momenti più solenni, nella buona e nell'avversa sorte, essa è diventata il simbolo autentico, il puntuale testimone dei momenti salienti della nostra storia, sin dal periodo, ormai lontano di otto secoli, delle origini”. Con buona pace dei massoni.