Da Marco Rizzo a Beppe Lauria in meno di ventinquattrore. Chi altri potrebbe riuscire ad aprire un dialogo fra mondi - apparentemente - così distanti se non Gianni Alemanno. L’ex leader della destra sociale di An e sindaco di Roma è passato da Cuneo, reduce da un incontro sui rapporti tra Italia e Cina tenutosi a Trento, dove insieme a lui parlavano l’economista Michele Geraci (ovvero l’uomo a cui si deve la firma della Belt and Road Initiative con Pechino, ai tempi del governo gialloverde di Conte) e appunto il fondatore del Partito Comunista, un tempo tra i “duri” di Rifondazione e del Pdci cossuttiano.
Alemanno, con Rizzo concorda sul fatto che il governo Meloni stia facendo un errore nell’abbandonare il progetto cinese della “Via della Seta”. Ma in questi anni vi siete trovati dalla stessa parte anche quando si parlava di greenpass o del sostegno italiano a Zelensky. È uno dei tanti paradossi della politica o siamo davvero vicini a un’alleanza “rossobruna”?
Abbiamo trovato un punto d’incontro con Marco Rizzo sul referendum contro le armi all’Ucraina, anche se è mancato il coraggio da parte loro di fare manifestazioni insieme: Ugo Mattei (ex candidato civico alle comunali di Torino e tra i promotori del referendum, ndr) è stato più coraggioso. L’evento di venerdì a Trento è stato il primo incontro in una manifestazione pubblica: abbiamo detto grossomodo le stesse cose, pur con linguaggi diversi. Sicuramente su grandi battaglie nazionali la convergenza è possibile e necessaria, circa la possibilità di un’esperienza elettorale comune ce ne passa. Ma nemmeno la escludo a priori.
A proposito di elezioni: l’anno prossimo ci saranno due appuntamenti importanti, le europee e le regionali. Ci sarete?
C’è una tappa intermedia che è la costituzione come movimento del Forum per l’indipendenza italiana. Dovrebbe avvenire a novembre: passeremo da una confederazione informale di tante sigle, la maggior parte dalla destra sociale ma anche dai movimenti del dissenso, ad un vero e proprio movimento politico. In quell’occasione faremo una prima valutazione sulla consistenza dell’aggregazione ed entro dicembre decideremo se presentarci alle europee. L’intenzione c’è, perché la torsione del governo è talmente forte che è difficile immaginare non si apra uno spazio politico ed elettorale.
Nel caso, siete disposti a valutare anche alleanze con il centrodestra alle regionali?
Dipenderà dal candidato e dal programma nei vari contesti: non è escluso ma nemmeno automatico. Non siamo una costola di questo centrodestra.
A quasi un anno dall’entrata in carica del governo Meloni cosa si sente di salvare, e cosa invece le è piaciuto meno?
Salvo la riforma del fisco perché semplifica la vita del contribuente e il taglio del cuneo fiscale, pur provvisorio. Poi qualche iniziativa sul made in Italy di Urso e sicuramente l’azione di Mantovano da sottosegretario della presidenza. Tra i segnali positivi potremmo includere anche la revisione del Pnrr: checché ne dica la sinistra, si sta cercando di salvare un piano nato male.
Cosa non mi piace? Anzitutto le politiche sulla guerra in Ucraina, non si è mai visto un governo così atlantista. Ed è sbagliata l’impostazione in Europa: dovevamo aprire una trattativa frontale, invece continuiamo un po’ a lamentarci e un po’ a fare i ‘primi della classe’, cioè proprio quello che non serve a nulla con Bruxelles. Oltre ad esigere un intervento europeo sulla questione migratoria, bisogna porre il tema di una vera revisione o almeno della sospensione ulteriore del patto di stabilità, altrimenti ne usciamo massacrati. Servono politiche di investimento keynesiane, come avrebbe potuto esserlo lo stesso superbonus con le dovute correzioni. La cancellazione del reddito di cittadinanza e la chiusura sul salario minimo sono segnali di insensibilità dal punto di vista delle politiche sociali.
Lei ha detto che la Lega potrebbe essere per voi un interlocutore privilegiato nel governo. Ma non ha paura che il riposizionamento a destra di Salvini finisca per togliere acqua proprio alle alternative sovraniste?
Questo rischio c’è, la scelta di Salvini di rilanciare l’alleanza con la Le Pen lo dimostra. Mentre la Meloni si è posta sulla direttrice del neoconservatorismo americano, la Lega continua a promettere misure sovraniste di cui però non c’è traccia nell’azione del governo. Il capogruppo in Senato Romeo, per esempio, aveva parlato di un intervento parlamentare per correggere la linea del governo sull’Ucraina ma per ora non gli hanno permesso di farlo. Inoltre il progetto dell’autonomia differenziata può causare problemi seri, se non gestito con molta prudenza.
La scelta anti-atlantista per la destra sociale è un ritorno alle origini. Ma lei è stato anche un ministro di quel governo Berlusconi che benedisse le guerre neocon in Afghanistan e in Iraq: col senno di poi, lo rimpiange?
Fu senz’altro un errore (pensiamo alle menzogne sulle armi di distruzione di massa) e tutta la seconda repubblica è stata segnata da quella deriva. Ma dobbiamo considerare l’onda emotiva seguita all’attentato delle Torri Gemelle, quando eravamo appena arrivati al governo. Berlusconi comunque non era atlantista quanto la Meloni: ricordiamoci Pratica di Mare e l’intesa con Gheddafi. Erano tentativi di smarcarsi dagli Stati Uniti, sebbene attuati in maniera molto più sgangherata di quanto avrebbero potuto fare un Moro o un Fanfani. Rispetto ad allora, oggi si sta aprendo davvero un mondo multipolare che offre molte più occasioni in quest’ottica.
Domanda secca: è vero che ha rotto con la Meloni perché voleva la candidatura a presidente della Regione Lazio, al posto di Rocca?
Alla Regione Lazio non ho mai pensato. Dalle ultime europee fino al 2022 sono stato vicino a Fratelli d’Italia, soprattutto quando era all’opposizione, e ho caldeggiato molto la scelta della Meloni di non appoggiare Draghi che alcuni dentro al partito osteggiavano. Ma l’Ucraina è stata uno spartiacque. Ero e sono convinto che l’Italia potrebbe sostenere una posizione simile a quella ungherese o turca e che se lo avesse fatto subito avrebbe aiutato anche la Francia e la Germania a prendere le distanze da Biden. In ogni caso questa mia divergenza rispetto a Fratelli d’Italia era già nota ben prima delle regionali: se avessi mirato a quello bisognerebbe accusarmi di stupidità, non di malafede.
Cosa crede che farà Roberto Vannacci? Se un domani si candidasse col centrodestra, come qualcuno mormora, cambierebbe opinione sul generale?
Vannacci è un fenomeno in sé, a prescindere dall’esito politico. Leggendo il libro segnavo in rosso le parti su cui non ero d’accordo, come la tirata pro Ogm in agricoltura: alla fine erano più o meno quante quelle in bianco. Rimane il fatto che ha dato voce a un sentimento popolare e in politica i sentimenti contano quanto le formulazioni ideologiche. In secondo bisogna ricordarsi che è l’unico alto ufficiale che abbia osato denunciare la questione dell’uranio impoverito e andare contro i diktat della Nato. Per questo è finito ad incarichi non operativi e credo che la sua coraggiosa presa di posizione abbia influito anche sulla dura reazione di Crosetto. Quanto al futuro, è lui che deve decidere cosa farà da grande: potrebbe anche cercare spazio nel centrodestra, ma non penso sia la scelta più naturale.