CUNEO - Alla scoperta delle origini “cuneesi” del leggendario Manuale Cencelli

Salta fuori ogni volta che la politica deve procedere alle nomine per cariche pubbliche di ogni tipo, ma in pochi sanno che...

in foto: il terzo governo Moro, alla presenza del presidente della Repubblica Saragat

Samuele Mattio 16/07/2022 14:27

Pubblicato in origine sul numero del 14 luglio del settimanale Cuneodice - in edicola ogni giovedì:
 
“L’hanno fatta ‘sta giunta?”. Nelle ultime due settimane questa è stata la domanda più ricorrente nei bar di Cuneo. Beninteso, almeno tra gli appassionati di politica.
 
Le lungaggini che hanno accompagnato la formazione dell’organo esecutivo del Comune, perlomeno nei discorsi da bar, hanno trovato i canonici commenti: “Stanno studiando come spartirsi le poltrone”, “perché non si sono messi d’accordo prima?”, “non capisco cosa possa cambiare in una settimana”. Ora che i giochi sono fatti, qualcuno, tra gli osservatori in possesso di un voluminoso bagaglio di cultura dietrologica, ha commentato: “Il Manuale Cencelli è stato seguito alla lettera”.
 
Di cosa si tratta? Evocato ogni volta che la politica deve procedere alle nomine per cariche pubbliche di ogni tipo, viene spesso utilizzato con ironia o sarcasmo per alludere alla spartizione delle poltrone tra i partiti, mentre la pluricitata “competenza” resta seduta nell’anticamera delle stanze dei bottoni. Ed effettivamente si tratta di un preciso meccanismo basato su formule algebriche, volto a calcolare la forza di ogni partito (o corrente), tenendo conto delle percentuali ottenute nelle urne o ai congressi.
 
Alcuni sostengono che neanche esista, almeno fisicamente, mentre pare che si tratti di un fascicolo di otto pagine scritte a mano dallo stesso Cencelli e che ne siano in circolazione sette copie. Fin qui nulla di nuovo, ma c’è un aspetto che non tutti conoscono: il “Manuale” deve molto a Cuneo, o meglio, a un cuneese. Andiamo per ordine. Era il 1968, Aldo Moro stava per uscire di scena come presidente del Consiglio e si profilava il secondo governo di Giovanni Leone. Un giovane deputato democristiano, Adolfo Sarti, torinese di nascita, ma cuneese d’adozione - visse e studiò sotto la Bisalta da quando aveva 10 anni - era sottosegretario al Turismo e Spettacolo nel governo Moro III. Per i cuneesi incanutiti dal tempo non c’è bisogno di presentazioni, mentre i più giovani lo conosceranno perché a lui è intitolato il ponte dell’Est-Ovest sullo Stura. Il resto lo scopriranno continuando a leggere queste righe.
 
In quei giorni nelle piazze gli studenti e gli operai, suggestionati dall’idea di rivoluzionare la società e la politica, contestavano i valori tradizionali e le istituzioni. Nel frattempo il giovane Sarti, nel suo ufficio di via della Ferratella, si chiedeva come dare una svolta alla sua carriera politica: l’avvento di Giovanni Leone a palazzo Chigi era un’occasione molto ghiotta. Eletto per la prima volta deputato nel 1958, all’età di 30 anni, Sarti intendeva bruciare le tappe del cursus honorum. Ai suoi collaboratori diceva: “Perché Cossiga è alla Difesa, Gaspari alle Poste e io devo essere relegato qui?”. Allora chiamò in ufficio il suo segretario, Massimiliano Cencelli. Ciò che è accaduto in seguito è stato raccontato proprio da quest’ultimo, durante una recente presentazione del libro “Il Manuale Cencelli. Il prontuario della lottizzazione democristiana” (pubblicato una prima volta negli anni ‘80 e riedito negli anni scorsi in occasione della scomparsa dell’autore, Renato Venditti, stimata firma de L’Unità e Paese Sera).
 
Nell’occasione Sarti mostrò a Cencelli un foglio di carta con scritte solo due indicazioni: “Da una parte monocolore, dall’altra centrosinistra”. Il sottosegretario chiedeva soprattutto al suo portaborse di sapere quanti posti di ministro sarebbero spettati alla corrente democristiana dei “pontieri” (che aveva fondato con Cossiga e Taviani, n.d.r.), sia nel caso che si fosse ricostruito il governo organico di centrosinistra, formato da quattro partiti, sia che si decidesse di dare a Leone il suo secondo incarico di presidente per un governo monocolore. Cencelli, ritiratosi nel suo ufficio, prese una calcolatrice elettronica, effettuò alcuni conteggi e tornò da Sarti con la risposta. Secondo lo scritto, ogni posto di governo aveva un peso calcolato da un punto di vista qualitativo e a cui veniva assegnato un punteggio di calcolo. Il ministero dell’Interno, ad esempio, aveva un valore superiore a quello della Cultura; quello delle Poste e Telecomunicazioni, per il suo valore in termini di voti di scambio, contava molto di più di un altro come Turismo e Spettacolo. Anche sui sottosegretari si faceva lo stesso gioco: erano ripartiti secondo il principio che un ministro vale “due sottosegretari e mezzo”. Come anticipato, il manuale Cencelli regolava la spartizione dei posti anche in base all’equilibrio interno dei partiti. In particolare, i criteri utilizzati per determinare il peso di una corrente fanno riferimento al numero degli iscritti portati al partito dai capi corrente e ai risultati congressuali. Esisteva anche un equilibrio nella rappresentanza geografica. Formalmente l’atto di nascita del manuale Cencelli, è riconducibile a questo episodio.
 
L’espressione entrò nel linguaggio della carta stampata solo qualche giorno più tardi, in seguito alla risposta rilasciata da Adolfo Sarti ai giornalisti che lo tallonavano per sapere come sarebbero stati distribuiti i posti di ministro tra le correnti democristiane: “Bisogna consultare il manuale Cencelli”. Nasceva così, come spesso accade, da una geniale intuizione, un nome che sarebbe entrato nell’immaginario collettivo degli addetti ai lavori. A dare i natali all’espressione fu dunque un cuneese. E quel cuneese riuscì nel suo obiettivo di schiodarsi dal ministero del Turismo e dello Spettacolo? No, o meglio non subito. Leone, che tre anni dopo verrà eletto presidente della Repubblica, lo lasciò nella sua “grigia” posizione. Poco male, in quanto all’epoca i governi avevano la scadenza breve, quasi come lo yogurt.
 
L’esecutivo di Leone durò poco più di cinque mesi. Gli succedette Mariano Rumor, che “promosse” Sarti sottosegretario al Tesoro. Da lì cominciò l’ascesa del Nostro. Dopo altre due esperienze da sottosegretario con Emilio Colombo e Giulio Andreotti la carriera di Sarti prese il largo: nel 1972 venne eletto senatore, quindi ricevette la nomina a sottosegretario alla presidenza del Consiglio nei governi di Mariano Rumor e a ministro per il Turismo nei governi di Aldo Moro. Seguirono poi l’incarico di ministro per i Rapporti con il Parlamento e ministro della Difesa e della Pubblica Istruzione nei governi di Cossiga e, infine, ministro di Grazia e Giustizia nel governo di Forlani. Nel 1981 finì invischiato nello scandalo della loggia massonica P2, alla quale aveva presentato domanda di adesione. Sull’onda del clamore mediatico fu costretto a presentare le dimissioni dal Viminale. Tre giorni dopo lo scandalo travolse l’intero governo Forlani - negli elenchi di Licio Gelli figuravano due ministri e cinque sottosegretari -, che si dimise in massa. Superata la buriana, Sarti verrà rieletto deputato nell’87, dopo aver ricoperto la carica di vice presidente del gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana, e nel ‘90 sarà vice presidente della Camera.
 
Circa il famoso manuale, tra le innumerevoli citazioni vale la pena di ricordare quella di Andreotti, che regalò in proposito una delle sue proverbiali freddure: “Il manuale Cencelli? Uno dei libri da dimenticare, purché lo dimentichino tutti”.

Notizie interessanti:

Vedi altro