Riceviamo e pubblichiamo da Livio Berardo, ex coordinatore provinciale di Sel.
Egregio direttore,
l’ex presidente della Camera Laura Boldrini ha motivato il suo ingresso nel Partito democratico (avvenuto dalla porta di servizio, mentre la ex Forza Italia Beatrice Lorenzin è stata accolta con tanto di ricevimento al Nazzareno) con l’argomento secondo cui i piccoli partiti sono inadeguati a combattere le minacce per la democrazia che vengono dalla destra sovranista e xenofoba di Lega e Fratelli d’Italia. A parte il fatto che due piccoli partiti, prima SEL (Sinistra, ecologia e libertà), poi Leu (Liberi e uguali) le hanno consentito di essere eletta in parlamento, l’on. Boldrini ricorre a uno slogan anziché compiere un’analisi sostenuta da riscontri e riferimenti precisi. Se è vero che le forze guidate da Salvini esprimono una tendenza reazionaria e potenzialmente eversiva (anch’io propendo a crederlo), allora qualche richiamo agli anni ’20 del secolo scorso non è fuori luogo.
A cercar di fermare l’ascesa del fascismo i “grandi” partiti mostrarono enormi limiti. I liberali (per sconfiggere le sinistre) si illusero di “normalizzare” le camicie nere assorbendole nel listone nazionale, ma furono travolti dalla tigre che pensavano di cavalcare. I popolari furono sacrificati dal Vaticano alle lusinghe e ai vantaggi della “riconciliazione”. Il partito socialista rimase paralizzato dall’incapacità di decidere. Anche quando con il delitto Matteotti l’immagine del nascente regime precipitò nell’opinione pubblica, la scelta dell’Aventino fu disastrosa, perché non smosse il re, consentì a Mussolini di chiudere la Camera e aspettare che sbollisse lo sdegno popolare. L’unica proposta efficace, quella dello sciopero generale, arrivò dal neonato e minuscolo partito comunista, ma fu declassata a pochi minuti di astensione dal lavoro, così accettando di fatto la fine delle libertà sindacali.
E fu il nuovo segretario del Pcd’I Antonio Gramsci, archiviato il settarismo di Bordiga, a elaborare dal carcere concetti e proposte che saranno alla base della rinascita del paese, quali l’assemblea costituente e la riforma intellettuale e morale. Se non piace il riferimento ai comunisti, si pensi alle centinaia di giovani di ispirazione socialista o liberaldemocratica, i quali, profondamente insoddisfatti dei partiti che nella clandestinità o nell’inerzia continuavano a incarnare quegli ideali, ne fondarono uno nuovo, Giustizia e libertà- Partito d’azione, forza che, pure essa piccola, alla cospirazione contro il fascismo e alla lotta di resistenza diede un contributo decisamente superiore a quello dei liberali, dei democristiani e dei socialisti, non solo per numero di condannati o di caduti, ma anche in idee per la ricostruzione. Altri difetti possono essere imputati ai piccoli partiti. Il primo, lapalissiano, è quello di essere…piccoli.
Non a caso da anni sogno a sinistra una forza più ampia di Sel o di Leu, che abbia un’identità precisa, basata sulle idee di giustizia sociale, dei diritti civili e dell’ambientalismo, che possa allearsi con il Pd in un rapporto dialettico. L’entrismo, sollecitato o spontaneo, porterebbe al centrosinistra non un arricchimento del dibattito e della capacità di incidere, ma un suo impoverimento. Infatti il Pd nel tentativo di fondere tre culture politiche, ha finito per non averne quasi più nessuna, sfociando in una prassi prevalentemente democristiana, in cui Dario Franceschini è il dominus e, nel nuovo governo, il moderatismo di molti ministri e la paura di perdere voti ostacolano, ad es., l’abolizione degli sgravi fiscali sui combustibili inquinanti e la correzione del Jobs Act.
Salvini si è autoaffondato, ma l’egemonia della destra nell’opinione pubblica rimane. Il centrosinistra, prima che di abilità tattiche, ha bisogno di idee e della volontà/capacità di affrontare una grande battaglia culturale.
Livio Berardo, ex coordinatore provinciale di Sel