Mai come quest'anno gli occhi dei piemontesi sono stati puntati sul voto delle regionali lucane. La 'fuga per la vittoria' di Vito Bardi in Basilicata non era seguita solamente dai vertici del centrodestra sabaudo per brindare all'ennesima bandierina posta sullo scacchiere delle regioni italiane, ma soprattutto per verificare gli equilibri interni alla coalizione 'de facto' che comprende la Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia.
Non è un mistero che la Lega, in questa fase traino dell'alleanza almeno dal punto di vista dei consensi, avesse indicato il voto di Potenza come ultimo test prima di ufficializzare il candidato alla presidenza della Regione Piemonte. Le urne hanno confermato quello che ci si aspettava, con il Carroccio primo partito della coalizione con il 19%, Forza Italia in seconda posizione con il 9% e Fratelli d'Italia che ha consolidato la sua posizione al 6%. Gli analisti più maliziosi sostengono che l'attesa del test lucano non sia stata altro che una strategia di Matteo Salvini per rimarcare la propria posizione interna di leadership e cercare di ottenere più peso all'interno dell'eventuale Giunta. Insomma, il nome del candidato presidente sarebbe un dettaglio, in quanto già spartito.
Era il giorno di San Valentino quando l'eurodeputato albese, Alberto Cirio, aveva dato la propria disponibilità alla candidatura, incassando appoggi da tutti i maggiorenti forzisti. L'esposizione mediatica non è però stata sostenuta dagli esponenti leghisti, che si sono attenuti alle direttive impartite da via Bellerio: silenzio di tomba.
A un mese e mezzo di distanza dall'uscita pubblica di Cirio il segretario regionale Riccardo Molinari ha paventato per la prima volta la disponibilità del manager Paolo Damilano, ma è difficile che Forza Italia possa accettare l'umiliazione di appoggiare il candidato espressione della società civile in quota Lega senza mandare il tavolo per aria. Di certo la rottura non conviene a nessuno. Le ultime tornate elettorali hanno confermato che, seppur ridimensionata, Forza Italia ha comunque un peso politico che richiama Matteo Salvini a più miti consigli: scaricare gli azzurri e andare alla conta divisi non sarebbe la condizione ideale per sfidare Sergio Chiamparino che, nonostante il naturale logoramento dato dal quinquennio 'governativo' e dal periodo sfavorevole al centrosinistra, gode di credibilità e consenso. Nel 2014, politicamente sembra passato un secolo, il centrodestra di Gilberto Pichetto Fratin (privo di Fratelli d'Italia e Ncd, che candidarono rispettivamente Guido Crosetto e Enrico Costa), fu doppiato dall'attuale governatore. È evidente che per tentare la riconquista di palazzo Lascaris serve una coalizione unita e compatta e che comunque finirà la competizione elettorale non sarà una passeggiata di salute.
Per questi motivi tutto farebbe pensare che nei prossimi giorni verrà ufficializzato il nome del candidato presidente e che sarà quello di Alberto Cirio. Se così non fosse, ma la coalizione dovesse comunque rimanere unita, il passo indietro di Forza Italia, che con i suoi maggiori esponenti, vedi Antonio Tajani, si è esposta per l'albese avrebbe del clamoroso. L'ipotetico precedente avrebbe conseguenze anche e soprattutto a livello nazionale, inaugurando una nuova fase per il centrodestra in cui la Lega non sarebbe più solamente il primo partito, ma il decisore incontestabile. Il tutto partendo dal presupposto che la coalizione resti unita, in caso contrario potrebbero aprirsi scenari ad oggi inimmaginabili.