CUNEO - Il mondo della giustizia di fronte ai referendum

Domenica si vota su cinque quesiti. Abbiamo chiesto l’opinione del giudice Alberto Boetti, del presidente dell’Ordine degli Avvocati Claudio Massa e del procuratore capo Onelio Dodero

Andrea Cascioli 10/06/2022 18:45

Pubblicato in origine sul numero del 9 giugno del settimanale Cuneodice: ogni giovedì in edicola
 
Se n’è parlato poco, inevitabilmente meno lì dove - come a Cuneo, Mondovì, Borgo San Dalmazzo, Racconigi e altri 15 comuni della Granda - si voterà per il rinnovo di sindaci e consigli comunali. Ma domenica 12 giugno gli italiani sono chiamati a scegliere anche su cinque referendum abrogativi in tema di giustizia. I quesiti sono difficili da interpretare per i “non addetti ai lavori”, ma alcuni di questi hanno potenziali effetti dirompenti qualora fossero approvati.
 
Per capire meglio di cosa si tratti e per comprendere quale sia l’opinione di chi il mondo della giustizia lo conosce abbiamo intervistato un giudice del tribunale di Cuneo, il dottor Alberto Boetti, il presidente dell’Ordine degli Avvocati Claudio Massa e il procuratore capo Onelio Dodero.
 
 
Abolizione della legge Severino (quesito numero 1 - scheda di colore rosso)
 
Il decreto legislativo numero 235 del 2012, voluto dall’allora ministro della giustizia del governo Monti, prevede una serie di misure per evitare che chi ha commesso determinati reati acceda a cariche pubbliche elettive. Per quanto riguarda, ad esempio, le cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento Europeo la condanna che fa scattare l’applicazione della legge è a più di due anni di carcere per reati di allarme sociale (come mafia o terrorismo), per reati contro la pubblica amministrazione (come peculato, corruzione o concussione) e per delitti non colposi per i quali sia prevista la reclusione non inferiore a 4 anni. Il decreto Severino stabilisce criteri anche per quanto riguarda l’incandidabilità alle cariche elettive regionali o negli enti locali. Prevede inoltre, in caso di condanna non definitiva, la sospensione dalla carica in via automatica per un periodo massimo di 18 mesi.
 
Il giudice: “Il nostro Paese è in una posizione bassissima della classifica di Transparency International sulla corruzione della pubblica amministrazione: dovremmo eliminare uno dei pochi strumenti che abbiamo per moralizzare la vita pubblica? La legge Severino sanziona reati gravi, non il sindaco condannato per aver fatto fotocopie per la scuola della figlia. Pensiamo piuttosto a non far durare i processi un’infinità solo per salvare i corrotti”.
L’avvocato: “In Italia ci sono stati e ci sono livelli di corruzione particolarmente elevati, cui la legge Severino ha cercato di porre argine. La motivazione principale per l’abrogazione sarebbe derivata dal pericolo che la carriera di un pubblico amministratore possa essere rovinata, malgrado una successiva assoluzione: ma è più pericoloso per gli interessi generali far saltare l’intero impianto normativo”.
Il procuratore: “La Costituzione prevede che i cittadini a cui sono affidate funzioni pubbliche le esercitino con disciplina e onore, sicché basterebbe che i partiti non candidassero pregiudicati per rendere inutile qualsiasi divieto. Nel dibattito pubblico su tale quesito referendario si è posto l’accento sulla norma (l’art. 11 del testo unico) che disciplina la sospensione, anche a seguito di una condanna non definitiva per determinati reati degli amministratori locali. Ma non è questa la sola norma di cui si propone l’abrogazione. Il voto favorevole al quesito abrogativo implicherebbe la rinuncia a un efficace presidio di legalità nelle competizioni elettorali, che resterebbero aperte alle più disparate incursioni e, in certi contesti territoriali, a indicibili candidature”.
 
 
Limitazione delle misure cautelari (quesito numero 2 - scheda di colore arancione)
 
Il quesito referendario interviene per limitare i casi in cui è possibile disporre l’applicazione delle misure cautelari. La custodia cautelare è un provvedimento di limitazione della libertà a cui un indagato può essere sottoposto prima della sentenza. Nell’ambito delle misure personali coercitive si distingue tra quelle “obbligatorie” (il divieto di espatrio, l’obbligo di firma, l’allontanamento dalla casa familiare, il divieto di avvicinamento alla persona offesa, il divieto o l’obbligo di dimora) e quelle “custodiali” (arresti domiciliari, custodia cautelare in carcere o in un luogo di cura). Le misure possono essere comminate laddove sussista uno dei seguenti presupposti: il pericolo di fuga, il pericolo di inquinamento delle prove, o quando esiste il concreto e attuale pericolo di reiterazione dello stesso reato per cui la persona è indagata. Proprio quest’ultima fattispecie è l’oggetto del quesito referendario, che propone l’abolizione di tutte le misure cautelari motivate dal pericolo di reiterazione del reato, salvo che si tratti di “gravi delitti commessi con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata”.
 
Il giudice: “Questo quesito è addirittura inquietante e sorprende che venga da un partito, come la Lega, che da un lato invoca ordine pubblico, dall’altro fa saltare l’unico strumento per garantirlo. Non concordo con chi afferma che vi sia un abuso della misura cautelare, per queste misure ci sono oneri di motivazione che sono addirittura più stringenti che per le sentenze. La Cassazione, peraltro, interpreta in modo restrittivo la sussistenza di “gravi indizi di reato”. La massima parte delle esigenze cautelari è giustificata proprio dal pericolo di reiterazione: se vincesse il sì dovremmo revocare le misure, per il futuro, a stalker, truffatori di anziani, ladri, perfino stupratori. La norma infatti richiede solo il ricorso a un’arma: per assurdo, un assassino potrebbe essere scarcerato qualora uccida la sua vittima senza utilizzare armi. Consideriamo poi che l’ordinamento italiano è già molto garantista: a differenza di quanto accade quasi ovunque, tutte le sentenze sono impugnabili sia in Appello che in Cassazione, comprese quelle dei giudici di pace. La Corte d’Appello liquida 900 euro a tutti gli avvocati in gratuito patrocinio, rendendo conveniente appellare anche sentenze ineccepibili”.
L’avvocato: “La responsabilità del numero rilevante di custodie cautelari non è solo dei magistrati, ma del legislatore. Nel tribunale di Cuneo, ad esempio, abbiamo un problema di organico soprattutto nel personale amministrativo: una carenza molto più grave rispetto al 2019 e denunciata sia dall’Ordine degli Avvocati che dal presidente del tribunale. Tra i critici di questo quesito referendario, si nota che farebbe cadere anche le misure interdittive nei casi di violenza di genere o simili. Si potrebbe pensare semmai ad estendere gli arresti domiciliari al posto della carcerazione, ma serve un intervento normativo e non un referendum abrogativo”.
Il procuratore: “Votando sì le persone che commettono reati senza armi o violenze contro la persona (esclusi terrorismo e criminalità organizzata) non potranno più andare in carcere. Quello che però si deve sapere è che non si impedisce soltanto di adottare la misura del carcere, ma tutte le altre misure cautelari. Tenete conto che molti reati si commettono senza uso di armi o violenza. Non potendo più adottare misure anche minimali, il pm dovrà scarcerare il giorno dopo lo scippatore, lo spacciatore, il truffatore di anziani o chi è sorpreso a svaligiare una casa. Non si dica allora che la colpa sarà dei magistrati”.
 
 
Separazione delle carriere dei magistrati (quesito numero 3 - scheda di colore giallo)
 
I magistrati si dividono tra coloro che svolgono la funzione giudicante (i giudici) e coloro che svolgono la funzione requirente (i pubblici ministeri). La Costituzione garantisce a un magistrato la possibilità di ricoprire in momenti diversi della sua vita lavorativa una o l’altra funzione, passando da pm a giudice o viceversa. Questo può accadere fino a un massimo di quattro volte in carriera. Il referendum propone di abolire questa possibilità, in modo da rendere irreversibile la scelta per l’una o l’altra funzione.
 
Il giudice: “La separazione delle funzioni è una follia. Si basa sul mito secondo il quale il giudice tenderebbe a dar ragione al pm perché è un “collega”: è una cosa che non avviene in nessun ambito lavorativo, se ci pensiamo. Noto anzi che spesso c’è poco rispetto per il lavoro dei colleghi: si assolve con leggerezza anche a fronte di misure cautelari motivate. L’unico motivo per separare le funzioni, in realtà, è arrivare a sottoporre i pubblici ministeri al governo, con l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale”.
L’avvocato: “La separazione delle carriere è un mito: non è separando le carriere che si metterà l’avvocato sullo stesso piano del pubblico ministero, come avrebbe voluto Berlusconi. Il pubblico ministero è comunque una parte pubblica a cui il giudice è portato ad attribuire una maggiore imparzialità rispetto all’avvocato, che fa gli interessi di una parte privata nei limiti della deontologia. Ci sono comunque giudici che sono stati pubblici ministeri o avvocati e sono giudici eccellenti, proprio perché hanno avuto la possibilità di sedersi da una parte diversa del tavolo”.
Il procuratore: “La separazione imporrebbe una riscrittura del titolo quarto della Costituzione. Non si comprende poi perché ci si rifiuti spesso di considerare le norme già vigenti in tema di passaggio da funzioni requirenti a giudicanti (e viceversa), che, al di là di altri marginali requisiti, lo vietano all’interno della regione in cui si lavora e lo limitano ad un massimo di quattro volte in carriera (la riforma Cartabia ne prevede due). Peraltro, esaminando i dati ufficiali relativi ai cambi di funzioni nel triennio 2016-2019, si può rilevare che sono intervenuti solo 80 trasferimenti da pm a giudici (su 2770 pm in servizio) e 41 da giudici a pm (su 6.754 giudici in servizio)”.
 
 
Valutazione sulla professionalità dei magistrati (quesito numero 4 - scheda di colore grigio)
 
Il Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e i Consigli giudiziari delle varie Corti d’Appello sono formati due componenti, una cosiddetta “togata” (i magistrati in servizio) e l’altra “laica” (avvocati e docenti di diritto). A questi organi spetta, tra l’altro, il compito di redigere ogni quattro anni pareri motivati, ma non vincolanti, in base ai quali il Csm valuterà i singoli magistrati: questa prerogativa, però, è limitata alla sola componente togata del Consiglio direttivo di Cassazione e dei Consigli giudiziari. Solo i magistrati, insomma, hanno oggi il compito di giudicare gli altri magistrati. Il quesito referendario chiede che la componente laica del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dei Consigli giudiziari prenda parte, allo stesso titolo di quella togata, a discussioni e valutazioni che hanno a che fare con la professionalità dei magistrati.
 
Il giudice: “Sarebbe bene consentire agli avvocati, come rappresentanti qualificati della nostra utenza, di partecipare alla valutazione. Può essere una forma di garanzia anche nei confronti dei giudici, che in questo modo non sarebbero più soggetti soltanto all’autorità dei diretti superiori. L’autoreferenzialità è un grossissimo problema: se da giudice mi confronto solo con i colleghi rischio di diventare un mostro, di non rispondere più ai cittadini”.
L’avvocato: “A questo quesito voterò sicuramente sì, mi sembra possa servire a mitigare l’eccessiva autoreferenzialità della magistratura. Chi è contrario spesso rimarca le disparità tra Nord e Sud ed evoca il rischio che gli avvocati di mafia influenzino giudici e pubblici ministeri nell’attività professionale: è un argomento rozzo e sarebbe offensivo ipotizzare che non si trovino avvocati non condizionati. Anche nell’ipotesi di condizionamenti mafiosi, poi, l’influenza sarebbe davvero minima: il Consiglio Giudiziario che comprende Cuneo, ad esempio, è composto da 16 membri, tra cui soli tre avvocati, un professore e ben 12 magistrati. Anche i pubblici ministeri, poi, potrebbero avere posizioni parziali nei confronti dei giudici, eppure questo rischio non viene mai citato”.
Il procuratore: “Dico no perché è inutile. Dico no perché già esistono per l’avvocatura gli strumenti per esprimersi sulle condotte dei magistrati, anche rivolgendosi al Consiglio giudiziario. Aggiungo che già adesso la legge consente ai membri laici di esprimersi sull’organizzazione degli uffici ed esercitare la vigilanza sull’andamento degli uffici giudiziari. Non si tratta di arroccarsi sui propri privilegi, anche perché non si tratta di privilegi, ma di garanzie riconosciute a tutela delle libertà dei cittadini”.
 
 
Nuove norme per l’elezione dei membri togati del CSM (quesito numero 5 - scheda di colore verde)
 
Il Consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno dei magistrati. Ne fanno parte di diritto il presidente della Repubblica (che lo presiede), il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati (i cosiddetti membri togati), per un terzo dal Parlamento in seduta comune (i componenti laici). Se oggi un magistrato si vuole proporre come membro del Csm deve raccogliere almeno 25 firme di altri magistrati, a sostegno della sua candidatura. Il quesito propone l’abolizione di questo limite.
 
Il giudice: “Questo quesito referendario non è lo strumento ideale e non basta, ma può servire come segnale. Servirebbe però soprattutto una discussione parlamentare approfondita, per il momento può valere la pena di votarlo per lanciare un messaggio: basta con le correnti”.
L’avvocato: “Penso che il referendum sposti poco, rispetto al problema che si sta cercando di risolvere con la riforma Cartabia. Anche togliendo l’obbligo di raccogliere le firme, i collegi elettorali rimarrebbero gli stessi: servirebbe semmai suddividere il collegio nazionale in collegi locali più piccoli. Altrimenti, se le cose restano così, chi non ha sponsorizzazioni a livello nazionale avrà poche possibilità di trovare consensi, senza cercare l’appoggio delle correnti”.
Il procuratore: “Si dice: se eliminiamo il limite delle 25 sottoscrizioni per presentare la candidatura al Csm, abbiamo sconfitto lo strapotere delle correnti e gli scandali Palamara non si ripeteranno più. Beata ingenuità: se non riesco a raccogliere almeno 25 firme, chi mi voterà? Il corpo elettorale è di circa 10mila elettori”.

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