Le espressioni, a volte, raccontano quel che accade più delle parole. Per accorgersene basta guardare la “foto di gruppo” scattata al termine del primo incontro tra Pd e Movimento 5 Stelle, per valutare i termini di una possibile intesa alle prossime elezioni regionali.
I quattro delegati democratici - il segretario regionale Mimmo Rossi, il capogruppo in Regione Raffaele Gallo, la capogruppo torinese Nadia Conticelli e l’ex europarlamentare Daniele Viotti, in veste di coordinatore del tavolo - sorridono tutti a favor di fotografo. Praticamente un poster elettorale. Dall’altro lato del tavolo i tre pentastellati - il deputato Nino Iaria, la capogruppo a palazzo Lascaris Sarah Disabato e il suo collega Ivano Martinetti - con le facce tiratissime. Solo Disabato accenna appena un sorriso.
La foto restituisce il clima che si è respirato, nel pomeriggio di confronto torinese alla Fondazione Amendola. Se ancora non bastasse, ci sono le dichiarazioni ufficiali del post partita. I democratici parlano di “un clima costruttivo caratterizzato dalla volontà di condividere gli aspetti programmatici comuni, ma anche evidenziare le criticità e le distanze” e rimandano tutto al prossimo incontro, il 17 gennaio. Rossi ci mette la buona volontà: “Ho sempre sostenuto che guardare indietro non serve e si rischia di restare pietrificati, meglio guardare avanti, insieme”. La replica dei suoi interlocutori sembra studiata apposta per gelare le speranze: “Riteniamo che non si possa non tener conto di quanto avvenuto nel recente passato politico piemontese, periodo in cui il Movimento 5 Stelle ha fatto scelte coraggiose e in discontinuità sia con il centrodestra che con il centrosinistra”. Ne va della “credibilità di un progetto comune”, precisano gli emissari di Chiara Appendino e Giuseppe Conte.
“Non ci sottraiamo ad un ulteriore confronto sui temi, - aggiungono - convinti che un progetto credibile non può essere fondato sulla mera sommatoria di percentuali di voto, ma restiamo consapevoli delle rilevanti differenze che permangono nell'individuare strumenti e priorità per progettare il Piemonte del futuro”.
L’ipotesi di un “campo largo” contro Alberto Cirio in ogni caso si allontana, dopo che l’approdo di Azione nell’orbita della maggioranza regionale ha già cancellato qualsiasi velleità - invero mai coltivata dai diretti interessati - di un “campo larghissimo”, da Calenda alla sinistra. Lì le distanze sono addirittura siderali, ma anche quelle tra il Pd a trazione Schlein e i pentastellati sembrano invalicabili. Del resto tutta l’ascesa degli allora grillini, dai primi meetup alla storica conquista del municipio di Torino, si è svolta a spese e in contrapposizione col moloch del Pd, specie nella cintura ex rossa e nelle periferie del capoluogo regionale. Ai tempi in cui la val Susa no Tav si tingeva di giallo - il colore dei pentastellati - il Pd andava in piazza con le “madamine” impellicciate. E cosa dire di quando Chiara Gribaudo, oggi presentata come possibile “candidata del dialogo”, sparava a zero su Dadone e Appendino e definiva gli avversari del tempo “marionette in cerca d’autore e di stipendio che hanno trovato l’oro nei piani della Casaleggio Associati”?
“Scurdámmoce 'o ppassato” non è un motto sabaudo, fanno notare ora dall’altra parte del tavolo di confronto. Tanto più che pure sul presente ci sono ombre lunghissime. Martinetti ne indica una in particolare, l’appeasement tra il Pd e il “grande centro” che ha portato alla presidenza della provincia di Cuneo Luca Robaldo, ovvero l’ex capo segreteria di Cirio. Una questione non irrilevante per il Movimento, come non è irrilevante il fatto che in vista della prossima tornata di elezioni comunali - nella Granda votano Alba, Bra, Saluzzo e Fossano, tra le altre - di accordi locali nemmeno si discuta. A voler essere cattivi, verrebbe da aggiungere che non se ne parla perché i 5 Stelle sono come la temperatura di Potenza nei meteo di una volta: non pervenuti. Con lo sganciamento del gruppo consiliare di Busca è sparita l’intera rappresentanza territoriale di una forza politica che in provincia era arrivata ad eleggere consiglieri in sei delle sette sorelle (solo a Saluzzo, terra ostica, non ce l’ha fatta, pur raccogliendo un buon 5% nel 2019).
Così il Pd si trova nella difficile posizione di dover trattare sui tavoli regionali con un alleato imprescindibile, se vuole almeno provare a strappare la Regione a Cirio, senza però poterlo allettare con contropartite succose. All’inizio l’ipotesi era quella di vincolare l’appoggio dem alla candidata contiana Alessandra Todde, in Sardegna, ad un analogo sostegno dei pentastellati al candidato del Pd in Piemonte. Un asse sardo-piemontese che evocava ricordi del regno sabaudo, ma che si è presto infranto sugli scogli della realpolitik: tant’è che in Sardegna l’accordo è arrivato, con sommo scorno di Renato Soru che ha voltato le spalle ai dem e alla sua stessa figlia. In Piemonte, invece, si naviga a vista. Il colmo sarebbe che ora la candidatura alternativa di Soru - appoggiata da Azione - facesse perdere ai giallorossi la corsa nell’isola, dove erano dati avvantaggiati, mentre all’ombra del Monviso gli amici-nemici marciano divisi, togliendosi voti a vicenda. In quel caso ci sarebbe da citare l’immortale Edward Aloysius Murphy: “Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre ad una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo”.