Terza ed ultima parte dell'intervista a
Luca Marelli, ex arbitro di Serie A, con il quale abbiamo affrontato un tema delicato e molto attuale anche nella nostra provincia: la violenza sugli arbitri nel calcio dilettantistico e giovanile. Qui la
prima e la
seconda puntata, di seguito la conclusione della nostra “chiacchierata” con l'ex fischietto.
Una delle conseguenze principali del dilagare questo fenomeno, quello della violenza e delle aggressioni, è la sempre maggiore difficoltà, per le sezioni locali dell'AIA, di reclutare nuovi arbitri: inevitabile, in un quadro in cui ogni arbitro, ogni fine settimana, corre il rischio concreto di essere aggredito, offeso e minacciato dagli scalmanati di turno. Che cosa direbbe un ex arbitro di Serie A come Marelli, uno che ha raggiunto i massimi livelli cui una “giacchetta nera” può aspirare, ad un giovane intenzionato ad impugnare il fischietto per intraprendere la carriera da direttore di gara? “Non ho alcuna intenzione di minimizzare il problema (che è stato, è e rimane enorme) ma l’attività arbitrale non si limita alla fortuna di evitare un’aggressione. Per quanto non abbia mai nascosto la personale antipatia per Collina, voglio ricordare una sua frase, che faccio mia: "Non sono mai stato aggredito, non ho mai nemmeno rischiato di essere aggredito. Ciò non significa che fossi più bravo degli altri, semplicemente sono stato più fortunato". Questo concetto per far passare un messaggio importante: essere arbitro è un mezzo, non un fine. Essere arbitro è un mezzo per crescere,maturare, implementare le proprie qualità umane. Se, poi, un ragazzo potesse scendere in campo con la certezza di non rischiare pugni e calci da parte di qualche delinquente, state certi che gli associati sarebbero molti di più. Perché è inutile negarlo: tanti ragazzi vorrebbero provare l’esperienza ma vengono “bloccati” dai genitori. Genitori che, fondamentalmente, capisco: non è certo facile vivere con la preoccupazione che una gara si trasformi in un momento di violenza. Perché dico ciò? Perché ho avuto (ed ho) due genitori straordinari che mi hanno sempre spronato a vivere le esperienza di vita ma che, nello stesso tempo, hanno passato intere giornate nell’attesa della telefonata post partita, col terrore che potesse accadere qualcosa. Arbitrare è una scuola di vita. Ma è venuto il momento che i ragazzi vengano tutelati. E non per finta”.
Chiusura, quella di Marelli, che fotografa alla perfezione quella che è la realtà attuale del nostro calcio: una realtà in cui un ragazzo che decide di impugnare il fischietto deve mettere in conto, ogni domenica, il rischio di essere insultato, offeso, minacciato, una realtà in cui un campo di calcio, ogni domenica, è potenzialmente il teatro di un'aggressione. E chissà quanti genitori, come quelli dell'ex fischietto comasco, attendono ogni domenica quella telefonata post-partita da parte dei propri figli, giovani arbitri, con l'ansia che possa essere successo qualcosa. Basta questo per capire che il nostro calcio ha un problema.