Dal Paradiso alla polvere nel giro di pochi giorni, da eroe a bersaglio di critiche nel tempo di una gara, una partita, una discesa. È il destino di chi nella vita fa l’atleta professionista, di chi, oltre a gloria e fama quando i risultati arrivano, è costretto a vivere sulla propria pelle anche l’altro lato della medaglia, quei giudizi anche feroci che piovono quando invece le cose non vanno per il verso giusto. È quanto successo a Marta Bassino: portata in trionfo durante la straordinaria passata stagione, “scaricata” da alcuni (non molti, per la verità) in quest’annata finora al di sotto delle aspettative (malgrado due podi in Coppa del Mondo). E se le critiche, come detto, fanno parte del gioco per chi fa l’atleta professionista, qualche “commentatore” sui social è andato oltre, insinuando che i risultati deludenti siano conseguenza di una certa mancanza di umiltà: “Si è montata la testa”, ha scritto qualcuno dopo la caduta nella prima manche del Gigante olimpico di Pechino.
Casi isolati, come detto, poche voci fuori dal coro in un territorio che continua a sostenere una delle sue atlete di punta, sufficienti però per spingere il Fan Club di Marta Bassino a pubblicare su Facebook un lungo post in difesa della borgarina. “Abbiamo pensato lungamente se commentare più o meno ‘a caldo’ quanto accaduto nella buia mattina italiana”, si legge nell’apertura del “comunicato”: “Ci siamo resi conto che in questo frangente il silenzio, pur se ammissibile e fondato, avrebbe semplicemente lasciato campo libero alle troppe mezze voci che di questi momenti si nutrono, alla ricerca disperata di quella visibilità che altrimenti da sole non potrebbero mai conseguire”. Un riferimento, nemmeno troppo velato, a quelle critiche citate in apertura di articolo.
Poi una dichiarazione di sostegno incondizionato verso l’atleta di Borgo San Dalmazzo: “E non possiamo che concentrarci su una citazione: ‘È solo una gara’. Dirlo non significa lavarsi le mani di quanto è accaduto, non cancella le lacrime, la delusione, la recriminazione. Men che mai significa svilire la sacralità di un momento in cui i valori dello sport dovrebbero essere sublimati nella competizione di più alto livello che si possa concepire. Ancor meno delegittimare coloro che, da esso, assurgono meritatamente alla gloria dei tre metalli. Lo si dice a sé, per costruire le fondamenta del domani. Per non soffermarsi su una pagina, indubbiamente, triste e non immaginata con queste parole in bocca e con quelle immagini negli occhi e nella testa. Per non indulgere a manifestazioni scomposte di contrizione, forse appaganti per determinate categorie di uditori, ma del tutto inutili nell’invertire il corso degli eventi e ancor meno nell’influenzarne l’evoluzione futura. Per rivendicare, comunque, di esserci. Ad aprire quel cancelletto, accettando le regole del grande gioco, incluso il rischio. Un rischio che non risparmia nessuno, nemmeno chi è guardato (senza aver fatto nulla per esserlo veramente) come il motore immobile della situazione. Una spada di Damocle che in qualsiasi momento può decidere di presentare il conto e cancellare in pochi secondi quanto ideato, immaginato, concepito in mesi o anni. Ma che è il fardello, inevitabile, di chi è arrivato a competere per un certo obiettivo. E qui lo dobbiamo dire con forza: tu ci sei arrivata. Così come sei, e come hai dimostrato anche oggi in quelle lacrime vere che hai, con dignità, versato. E che noi abbiamo condiviso con te, esattamente come abbiamo condiviso e condivideremo i tanti sorrisi che verranno, attesi o meno che siano, anzi per noi non lo saranno mai: continueremo a lasciarci sorprendere dalle tappe alle quali ci condurrai in questo straordinario viaggio di cui siamo, per bontà tua, passeggeri”.