La violenza contro gli arbitri: una piaga vera e propria che, ogni anno di più, avvelena il mondo del calcio dilettantistico e giovanile, una problematica che è di casa sui campi di ogni regione italiana. Nessuno può chiamarsi fuori, nessuno può ritenersi lontano da questo cancro, nemmeno la Granda, come abbiamo visto a più riprese nella nostra rubrica
“Controcalcio”. I dati dell'Osservatorio dell'AIA parlano di un aumento vertiginoso degli episodi di violenza sui campi italiani (dai 375 del 2013-2014 ai 681 del 2015-2016): il problema c'è ed è quanto mai tangibile, lo testimoniano, oltre ai numeri diffusi dall'AIA, i comunicati ufficiali emanati ogni sette giorni dalla Lega Nazionale Dilettanti.
Abbiamo provato ad affrontare il tema con qualcuno che il mondo degli arbitri lo conosce molto da vicino: è Luca Marelli, ex direttore di gara della sezione di Como. Un arbitro “vero”, un arbitro che vanta quindici presenze in Serie A collezionate tra il 2005 e il 2009. Con lui abbiamo provato ad analizzare cause, conseguenze e possibili soluzioni per quello che non esitiamo a definire un vero e proprio cancro del nostro calcio: “Il problema (enorme) della violenza è sempre stato al centro del dibattito interno dell’AIA ma, - spiega Marelli - purtroppo, non sono state trovate misure tali da arginare il fenomeno. Si tratta, ovviamente, del retaggio di una cultura sportiva ancora molto arretrata che identifica la causa delle proprie sconfitte nella figura dell’arbitro”.
Il “grande calcio”, quello chi usiamo chiamare “calcio che conta”, in questo senso non aiuta: “Inutile evidenziare che le polemiche del massimo campionato influenzino e non poco i comportamenti nei campi periferici, che possiamo identificare dalla Serie D in giù. Il motivo è presto detto: dalla Serie D in su il servizio d’ordine è sempre presente e, davanti alla forza pubblica, anche i più facinorosi si “limitano” all’insulto senza passare alle vie di fatto. Diverso il discorso per quanto riguarda le categorie dilettantistiche e giovanili: è chiaro che la presenza delle forze dell’ordine, in tutte le migliaia di gare programmate ogni fine settimana, sia impossibile. Ciò porta alcuni delinquenti (perché tali sono al di là di definizioni più o meno strumentali) a pensare di essere impunibili, di poter sfogare le proprie frustrazioni usando la violenza contro ragazzi spesso giovanissimi che altra colpa non hanno se non quella di consentire la disputa dei vari campionati”. E' così che per molte persone i campi di provincia diventano “zone franche”, in cui tutto è consentito.
“Le ragioni le individuo in tre grandi aree. – prosegue Marelli - Mancanza assoluta di cultura sportiva, il cui corollario è l’incapacità di accettare un risultato non in linea con le aspettative; eccesso di polemiche, sia in video che sulla carta stampata, per quanto riguarda il “grande calcio”. L’oggetto di tali polemiche, in 99 casi su 100, è rappresentata dalla prestazione dell’arbitro, spesso massacrato anche in presenza di episodi al limite ma ben giudicati. La strumentalizzazione finalizzata all’audience/vendita di copie porta il grande pubblico ad individuare nell’arbitro il solo colpevole per un esito sgradito; infine le condanne sportive non sono adeguate”. Ed è (anche) per questi motivi, secondo l'ex fischietto comasco, che gli episodi di violenza si moltiplicano sui campi italiani. Episodi cui, secondo Marelli, troppo spesso non viene dato il giusto rilievo: “Quando ho iniziato ad arbitrare ('94) internet non esisteva. Nell’era della comunicazione di massa, questi episodi stanno acquisendo una visibilità che prima non avevano. Una visibilità che però, purtroppo, rimane confinata al web, a quei pochi che, nel silenzio dell’informazione, riportano settimanalmente gli episodi di violenza,molto spesso sconosciuti e ricostruiti grazie ai comunicati dei vari Giudici Sportivi territoriali. A livello di informazione di massa non è cambiato nulla: l’argomento non veniva trattato allora e non viene trattato nemmeno oggi. Perché questo atteggiamento? La risposta è scontata quanto scomoda: non interessano. E’molto più trainante discutere per settimane per un rigore assegnato ingiustamente o non fischiato che riportare le violenze che, ogni domenica, si registrano in tutta Italia. Ripeto: in tutta Italia. Non si tratta di un fenomeno regionalizzato o localizzato. Questo schifoso malcostume si concretizza ovunque, dalla Lombardia alla Sicilia, con una frequenza tale da diventare quasi un’abitudine, la normalità”.
Domani, mercoledì 28 marzo, verrà pubblicata la seconda parte dell'intervista.