Riceviamo e pubblichiamo dal gruppo di Cuneo di Amnesty International.
In questi primi sessanta anni di vita Amnesty International è riuscita a raggiungere traguardi importanti. Al momento della sua nascita, in numerosi paesi del mondo era in vigore la più crudele delle punizioni: la pena di morte. Oggi, grazie all’impegno e alle campagne di Amnesty, all’ultima sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, lo scorso dicembre, il voto favorevole alla moratoria universale sulla pena di morte è stato di 123 voti a favore.
Sono infatti oggi 144 gli stati che hanno abolito la pena di morte nelle leggi o nella prassi, 108 dei quali per tutti i reati. I paesi che mantengono in piedi questa pratica sono sempre meno. In Italia, nel 1994, grazie al lavoro di Amnesty, la pena di morte fu abolita dal codice penale militare di guerra. L’Italia ha poi ratificato il protocollo n. 13 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali, inerente all’abolizione della pena di morte in qualsiasi circostanza. Ed infine, la legge costituzionale n.1 del 2007, modificando l’articolo 27 della Costituzione, ha eliminato le disposizioni in materia ancora presenti, sancendone in modo definitivo la non applicabilità.
Al momento della sua nascita, la tortura era uno strumento di coercizione ampiamente utilizzato. Grazie anche alla pressione di Amnesty International nel 1984 l’ONU ha adottato la Convenzione contro la tortura. Nel 2017, grazie al lavoro incessante della Sezione italiana di Amnesty, anche l’Italia ha finalmente codificato all’interno del proprio Codice Penale il reato di tortura.
Al momento della sua nascita, l’omosessualità era considerata reato in molti paesi del mondo. Oggi, grazie all’attività di sensibilizzazione condotta da Amnesty e dalla società civile, passi avanti sono stati fatti per garantire il rispetto e combattere la discriminazione, in tutte le sue forme.
Ma ci sono ancora tante sfide che ci attendono.
I prigionieri di coscienza ingiustamente in carcere attendono di essere liberati. Le donne attendono di poter vivere la propria sessualità senza essere oggetto di stupro. I migranti nei centri di detenzione in Libia attendono di essere trasferiti in un luogo sicuro per curarsi dalle terribili torture che hanno subito. I manifestanti che hanno subito violenze da parte della polizia attendono che sia fatta giustizia. C’è bisogno di leggi e di una cultura che combatta la discriminazione in tutte le sue forme.
Ed è per questo che Amnesty celebra il suo sessantesimo compleanno: nella piena convinzione che i traguardi raggiunti fino ad ora, con il contributo di tutti e di tutte, devono renderci orgogliosi e spingerci a fare ancora meglio. Finché l’ultimo prigioniero non sarà liberato. Auguri a noi, che diamo voce a chi voce non ne ha e crediamo che il cambiamento sia possibile. Lo è dal 1961, lo è oggi, lo sarà in futuro.