Marco Bellone di Boves, vicepresidente provinciale della Cia Cuneo, cura nove ettari di castagni sulla collina della frazione Fontanelle. Poi, da una trentina di anni svolge l’attività di potatore delle stesse piante abilitato all’arrampicata su fune e all’utilizzo delle piattaforme aeree. Gli interventi li svolge principalmente sui “suoi” castagneti e in quelli nelle vallate della “Granda”, ma di recente è stato chiamato a lavorare anche in Liguria. Dice: “Purtroppo da molti anni nelle nostre vallate non si fanno più le potature dei castagneti. Invece, rappresentano un prezioso patrimonio naturalistico, paesaggistico e produttivo di alta qualità. Li abbiamo ereditati ed è triste vederli abbandonati. Hanno bisogno di una manutenzione continua, altrimenti li perdiamo per sempre. E in un periodo storico come l’attuale in cui le parole ambiente e territorio sono all’ordine del giorno, vuol dire che si predica bene ma si razzola male. Inoltre, se le piante di castagno sono troppo alte e con le radici marce diventano pericolose per chi passeggia nei boschi. Infatti, possono cadere improvvisamente con l’intero tronco o si possono staccare i rami. Invece se le poti, si sviluppa il loro apparato radicale, le risani ed elimini i rischi per le persone”. Come mai si è creata questa situazione? “Fino a metà degli Anni Duemila la Regione Piemonte prevedeva dei contributi per la potatura dei castagni e il recupero dei “vecchi” castagneti. Poi, più nulla. E allora sono stati dimenticati. Invece, l’intervento andrebbe fatto ogni 10-15 anni. Anche per avere sempre un frutto di buona pezzatura. Ma non solo. Quando la pianta si sta avviando verso la fine del percorso di vita la si può capitozzare, lasciando solo più 3-4 metri di fusto. Con quest’ultima tecnica viene rigenerata. Per tre anni dopo l’intervento non c’è raccolta, però, si salva l’albero e in seguito, la pezzatura della castagna è più grande”.
Adesso, al “vecchio” si preferisce il nuovo? “Ci sono aziende agricole di pianura che, anche per diversificare le produzioni colturali, alcune delle quali storiche nelle nostra provincia come quelle frutticole, ma andate in crisi negli ultimi anni, realizzano nuovi impianti di castagni sui loro terreni. Però, utilizzando le specie eurogiapponesi: ibridi generati dall’incrocio del castagno europeo con quello giapponese. In questo modo si creano frutteti e non castagneti. Non sono contrario al tipo di coltivazione, perché comunque dà un contributo allo sviluppo della nostra agricoltura. Ma il frutto ha una qualità inferiore rispetto a quella prodotta dai castagni autoctoni delle nostre valli. Che non avendo più aiuti per sistemarli vengono lasciati al loro destino. E questo, per chi, come me, li ha sempre curati, costituisce una ferita profonda”.
La proposta
Cosa propone? “Il Governo regionale del Piemonte dovrebbe prevedere delle misure nel Programma di Sviluppo Rurale - il Psr - per la potatura dei castagni e il recupero e la conservazione degli antichi castagneti. Bandi a cui possano partecipare le aziende agricole, ma anche i privati che, sull’intero patrimonio del settore, hanno, in totale, proprietà sicuramente maggiori rispetto a chi se ne occupa per mestiere. Contribuendo così, tutti insieme, al risanamento e al mantenimento in buone condizioni del territorio collinare e montano. Solo in questo modo si può recuperare ciò che è stato abbandonato. Naturalmente, occorrono poi i controlli da parte degli organi competenti sull’effettiva esecuzione dei lavori nelle forme previste dai bandi”.
In quest’ottica, abbiamo il buon esempio della Liguria. “Infatti. La Regione Liguria, in base alla superficie interessata, eroga, attraverso le misure del Psr a
imprese castanicole e privati contributi da 2.000 a 25.000 euro. Si sono accorti dell’errore fatto negli Anni Settanta di aver abbattuto gran parte dei castagni. E, ora, quelli rimasti li recuperano e li curano con molta attenzione. Come i nostri vigneti. Pur avendo una castagna meno pregiata della nostra. E il Cuneese, uno dei cuori italiani del frutto, non vede valorizzati come meriterebbero i luoghi e l’ambiente dove questo viene prodotto. Un vero peccato”. Poi, ha un’altra proposta? “Sviluppare la ricerca, approfondendo con l’Università lo studio delle patologie vegetali, tra cui il cancro corticale, che colpiscono i castagni”. Cosa possono fare i castanicoltori e i privati proprietari di castagneti? “Sollecitare le associazioni di categoria affinché chiedano alla Regione Piemonte di prevedere le misure nel Psr. Altrimenti passa il principio che la questione non interessa e il settore viene dimenticato. Anche se, almeno a livello ambientale, la cura del territorio dovrebbe in ogni caso rappresentare un obiettivo fondamentale per le Istituzioni”.