CARAGLIO - Dall’Afghanistan all’Africa, Steve McCurry porta i colori del mondo al Filatoio

Apre a Caraglio la mostra del grande fotografo, con gli scatti più iconici tra i telai dell’ex setificio. L’appello della sindaco: “Questo è un museo unico, salvatelo”

Andrea Cascioli 29/09/2022 14:40

C’è il volto iconico di Sharbat Gula, per tutti “la ragazza afghana”, tra le foto di Steve McCurry esposte nella mostra “Steve McCurry. Texture” al Filatoio di Caraglio.
 
L’immagine della giovanissima rifugiata dagli occhi verdi, con il viso incorniciato da un velo rosso scuro, fu catturata in un campo profughi di Peshawar in Pakistan nel 1984. L’orfana dall’espressione sorpresa aveva appena dodici anni quando McCurry la trasformò nel simbolo di una guerra ancora sconosciuta, ma destinata a segnare la storia del mondo fino ai giorni nostri. Il giovane fotografo americano dell’agenzia Magnum non sapeva nemmeno come si chiamasse, quella ragazzina. Lo avrebbe scoperto solo nel 2002, organizzando una spedizione con il National Geographic per ritrovarla. Si scoprì che aveva avuto tre figlie ed era tornata a vivere in Afghanistan: il suo nome, Sharbat Gula, significa “ragazza fiore d’acqua dolce”. Lo scorso novembre, dopo il ritorno dei talebani, è espatriata con l’aiuto del governo italiano e si è stabilita nel nostro Paese.
 
Questa è solo una delle storie straordinarie raccolte nella mostra che la Fondazione Artea ha allestito nell’ex setificio caragliese, realizzata in collaborazione con Fondazione Filatoio Rosso, Civita Mostre e Musei, Sudest57 e Fondazione Antonio Ratti. Le cento fotografie di McCurry, note e meno note al grande pubblico, raccontano quattro decenni di street photography e reportage di guerra in numerosi luoghi: Afghanistan e Pakistan ma anche Tibet, India, Mongolia, Yemen, fino all’Etiopia e all’Africa occidentale. Un patrimonio incredibile di biodiversità umana che si riflette nei volti e nelle mode, ma soprattutto negli abiti dai mille colori sgargianti. Di qui la scelta dei curatori di integrare il percorso espositivo con i frammenti della collezione Antonio Ratti: carte tecniche relative alla produzione tessile, antichi velluti e damaschi cinesi, pannelli ricamati della cultura kuba del Congo, matrici di stampa a riserva giapponesi, velluti turchi, tessuti ikat dell’Asia centrale, coloratissimi indumenti provenienti del centro America e una sezione significativa di sete settecentesche europee.
 
Non poteva esserci sfondo migliore per questo dialogo tra stoffe e immagini che le mura del Filatoio Rosso, uno dei primi impianti di produzione della seta nell’intera Europa. “Questo sito è un esempio di architettura industriale dal grande valore storico e culturale che nel tempo continua a tramandarci storie di vita: un museo unico in Europa” ha ricordato la sindaco di Caraglio Paola Falco. Ringraziando la Fondazione Artea, la Regione Piemonte e le fondazioni che hanno sostenuto il progetto (CRC, CRT e Banca di Caraglio), Falco ha menzionato le difficoltà finanziarie che la struttura sta subendo: “Lancio un appello a queste istituzioni perché continuino a credere nel Filatoio che attraversa un momento di crisi”. Appello subito rilanciato da Marco Galateri di Genola, presidente di Fondazione Artea: “Oggi il Filatoio è in forte crisi, abbiamo affrontato il problema con il presidente Cirio e con le fondazioni. Non è facile lavorare in questo ambito ma la cultura e l’arte, lo dico da industriale, sono il substrato su cui si crea la civiltà”.
 
Biba Giacchetti di Sudest57 e Maddalena Terragni, responsabile della Collezione tessile e della programmazione della Fondazione Antonio Ratti, si sono soffermate invece sul senso concettuale di “una mostra che ha una forte valenza estetica, ma anche contenuti sociali importanti”. L’esposizione è visitabile a partire da oggi, giovedì 29 settembre, fino a domenica 29 gennaio 2023, nei seguenti orari: giovedì e venerdì, dalle 15.00 alle 19.00, sabato, domenica e festivi, dalle 10.00 alle 19.00.

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