Riceviamo e pubblichiamo.
Egregio direttore,
gli intellettuali di sinistra sono sempre in servizio permanente con il loro antifascismo e quindi con il loro antinazionalismo: li lega un cordone rosso che va dall’8 settembre 1943 alle ignominie rivolte agli aviatori italiani ammazzati a Kindu in Congo nel 1961 e alla strage dei carabinieri a Nassiriya. In questi eventi tragici – che sono fra i più significativi – i nostri militari facevano parte del contingente di pace dell’Onu.
Tutto rientra nel giudizio negativo dedicato da anni ai soldati del nostro esercito. Infatti, alcuni storici si sono intestarditi a ricercare le nefandezze compiute dagli italiani nella guerra di Libia, di Etiopia e del 2° conflitto mondiale, per smentire la credenza degli “italiani brava gente”. Di conseguenza, bisognerebbe ammettere che per quel nuovo marchio di “cattivi“ i soldati italiani durante la guerra civile 1943-45 sono stati capaci , fascisti e partigiani senza distinzione , di compiere tante efferatezze. Purtroppo, allevati con questi ammaestramenti è inevitabile che una intellettuale della nuova leva antifascista abbia dichiarato che “Le divise mi fanno paura”.
In verità, orrori della guerra a parte, se in certi posti del mondo sconvolti dalle vicende belliche, abbiamo visto in Tv genitori che affidano i propri figli per la salvezza a dei soldati che pur non conoscono, ci sarà pure un perché. Forse perché negli occhi di quegli uomini in divisa vedono un padre, un marito, un uomo vero, cioè una umanità su cui contare, quella di chi è in Afghanistan per proteggere e non per sopraffare.
Preoccupiamoci di coloro che nel proprio Paese, temendo per la propria vita, affidano la cosa più importante, i figli, a dei soldati che si distinguono per il grado di civiltà a cui appartengono.
Grazie per l’ospitalità.
Paolo Chiarenza - Busca