Si è aperta nella mattinata di ieri, sabato 30 novembre, la rassegna ‘Dialoghi sulla Giustizia’ promossa dal Tribunale di Cuneo in collaborazione con l’amministrazione comunale. Ad inaugurare il ciclo di incontri nell’aula d’Assise del palazzo di giustizia, alla presenza del presidente del Tribunale Paolo Demarchi e dell’assessore alla Cultura Cristina Clerico, è stato lo scrittore e magistrato Giancarlo De Cataldo.
De Cataldo, pugliese di origine e romano d’adozione, è noto soprattutto come autore di ‘Romanzo criminale’, fortunatissimo libro da cui sono stati tratti l’omonimo film di Michele Placido e la serie tv di Stefano Sollima. Ma è anche un giudice della Corte d’Assise di Roma che dal punto di vista professionale si è occupato di vicende controverse come il caso Marta Russo e il processo d’appello per l’omicidio Vannini. In continuità ideale con autori come Salvatore Satta, Ugo Betti, Dante Troisi e il contemporaneo Gianrico Carofiglio, De Cataldo incarna la persistente tradizione del giudice-scrittore. Quello tra narrazione e giustizia, del resto, è un binomio eterno che si ritrova lungo tutta la storia della narrativa perché “frutto del modo di intendere la giustizia come fatto teatrale, come in effetti essa stessa si concepisce”.
Anche senza scomodare l’ovvio riferimento a Kafka, si può ricordare ad esempio che Balzac era ossessionato dal mondo giudiziario, che Dostoevskij fu per lungo tempo uno spettatore di processi (lo testimoniano gli articoli raccolti nel ‘Diario di uno scrittore’) e che Tolstoj trasse da una vicenda di cronaca l’ispirazione per quello che sarà il suo ultimo romanzo, ‘Resurrezione’: la storia di un giurato chiamato a giudicare una povera contadina che lui stesso aveva sedotto e abbandonato. “Quella del processo - racconta De Cataldo - è una delle situazioni in cui più la natura umana viene sottoposta a stress e si mette a nudo: il giudice e l’avvocato godono così dell’immenso privilegio di poter osservare la parte viva dell’uomo”. Ma mentre una sterminata quantità di opere letterarie hanno ricostruito la ‘ricerca della verità’ dal punto di vista dell’accusatore o di chi è chiamato a difendersi, più rare sono le rappresentazioni che fanno proprio il punto di vista del giudice.
Un esempio surreale è il protagonista de ‘Il cerchio di gesso del Caucaso’ di Bertolt Brecht, l’ubriacone e furfante Azdak che approfittando di una situazione di anarchia rivoluzionaria si proclama giudice e applica la legge salomonica per dirimere una contesa tra madri: “È il giudice populista per eccellenza, colui che diffida delle norme astratte e crede di avere in sé la saggezza necessaria, quella dell’uomo della strada”. Altro celebre magistrato della letteratura, uscito dalla penna del giurista Rabelais, è il giudice Brigliadoca, comica incarnazione della ‘casualità’ nel verdetto: messo di fronte ai suoi errori, Brigliadoca si difende confessando di aver scritto alcune sentenze sbagliate perché sta diventando vecchio, e comincia a confondere i numeri ogni volta che affida la sorte di un imputato a un tiro di dadi.
Gli autori hanno indagato, da prospettive differenti, anche la figura di un giudice atipico com’è il giurato popolare. In ‘Ricordi della Corte d’Assise’ André Gide ne traccia un ritratto positivo, come di un uomo comune che anche di fronte ai delitti peggiori si interroga sulle ragioni oltre che sulle responsabilità: tutto l’opposto dei giudici di carriera conservatori e arroccati nella difesa dei loro privilegi. Pochi decenni dopo, però, è un altro scrittore francese, il Marcel Jouhandeau di ‘Tre delitti rituali’, a ribaltare questa visione ottimista del giudizio popolare nel suo contrario: qui sono proprio i giurati a incarnare le pulsioni più feroci, che i miti e saggi togati cercano invece di moderare.
“In ogni giuria di Corte d’Assise c’è un giurato sul modello di Gide e uno sul modello di Jouhandeau: il segreto sta nell’evitarli entrambi” osserva ancora De Cataldo. Questo d’altronde è l’esito di un conflitto tra giustizialismo e garantismo entro il quale la legge si muove di continuo, come un pendolo: “Il diritto non è concepibile se non dentro la storia. E considerare il percorso normativo un cammino lineare è utopistico: la giustizia conosce arresti, cadute, inciampi. Ottant’anni fa questi tragici inciampi furono le leggi razziali, in tempi più recenti è stata la sconfitta del diritto internazionale in ex Jugoslavia”.
Il compito dell’uomo di legge è quindi quello di giudicare senza lasciarsi trascinare dallo spirito del tempo, e ricordando che l’applicazione concreta della norma è ben altra cosa dalla legge astratta: “Spesso - conclude il magistrato-scrittore - i giudici popolari entrano in Corte d’Assise seppelliti dai loro pregiudizi. Ma gli slogan cadono quando ci si trova a decidere la sorte di un uomo in carne e ossa”.