CUNEO - Il dramma dei "desaparecidos" raccontato agli studenti del "Bonelli"

La testimonianza portata dagli argentini Graziella Alciati, Norma Moszkowski, Cecilia Diaz e dal cileno Juan Carlos Gutierrez

14/05/2024 10:29

Incontro molto coinvolgente oggi, martedì 14 maggio, al Bonelli di Cuneo, sulle dittature militari nell’America Latina e su ciò che è successo ai giovani di allora, i "desaparecidos": a raccontare il dramma della dittatura di Videla in Argentina e di Pinochet in Cile quest’anno sono stati gli argentini Norma Moszkowski, Graziella Alciati (per il marito Josè Louis Bonatto), Cecilia Diaz e il cileno Juan Carlos Gutierrez.
 
I relatori hanno rievocato con dolore quegli anni di sofferenze e di paure e hanno spiegato ai ragazzi quanto sia importante difendere i diritti naturali di ogni uomo, in particolare quello della libertà, non ancora scontata in qualche nazione. Ha iniziato l’incontro la signora Norma Moszkowski, che ha raccontato la sua esperienza, ciò che hanno fatto le madri del Plaza de Majo e l’associazione dei figli dei desaparecidos, oggi ancora attive in Argentina.  Graziella Alciati ha ricordato l’esperienza di suo marito (non presente perché malato), che è stato un desaparecido argentino e che si è salvato perché "scambiato" con altri giovani con una turbina italiana.
 
Lui porta sul corpo e nel cuore i segni delle torture, delle offese, delle violenze: a 44 anni ha preso un ictus, probabilmente causato dalle centinaia di bastonate ricevute in quegli anni di detenzione all’ESMA di Buenos Aires. Anche le gambe hanno risentito delle torture subite: ora lo reggono a stento, ma il suo spirito è ancora forte, combattivo come quello di allora. Sono questo spirito e questa fiducia nella pace e nella libertà che gli hanno permesso di resistere per tanto tempo alle torture e di salvarsi: Graziella, ricordando il suo pensiero, ha ricordato ai ragazzi quanto importante sia ieri come oggi l’amore per gli ideali e la capacità di perdonare, suo marito ha perdonato chi gli ha fatto del male, perché il male non va lontano, molti torturatori negli anni sono stati travolti dai rimorsi e dai fantasmi delle loro violenze, vivere così è già una punizione.
 
Juan Carlos Gutierrez ha raccontato cos’è successo in Cile sotto la dittatura di Pinochet: lui era un giovane universitario ai tempi del regime e sarebbe sicuramente finito allo stadio di Santiago del Cile se sua madre non gli avesse impedito di uscire la mattina della manifestazione studentesca e non l’avesse chiuso in casa. Tutti i compagni di scuola, infatti, che avevano partecipato alla dimostrazione, finirono allo stadio e molti di loro morirono nelle carceri clandestine dopo indicibili torture.
 
Gutierrez ha ricordato anche il clima di tremenda tensione in cui i giovani vivevano, il coprifuoco e il terrore di uscire, la paura sotto il regime militare di parlare e di esprimersi. Queste paure, dopo il suo trasferimento in Italia, gli sono rimaste per parecchio tempo… perché il trauma che la violenza della dittatura lascia nei giovani e in chi la subisce resta per sempre… i ricordi delle paure, delle sofferenze… arrivano quando meno te lo aspetti e ti tormentano. Per questo Gutierrez ha fatto riflettere i ragazzi sull’importanza che aprano gli occhi e credano nella solidarietà e nella democrazia: non possiamo più permettere a nessuno di negarci il diritto alla libera espressione del pensiero, perché è un diritto conquistato con il sacrificio di tante persone: conservarlo vuol dire rispettare il dolore di chi è morto per ottenerlo o nel difenderlo.
 
Juan Carlos Gutierrez, cileno, si è salvato grazie alla madre che gli ha impedito di andare in piazza il giorno in cui sono cominciati i rastrellamenti in Cile nei giorni della dittatura di Pinochet. 
 
Cecilia Diaz, argentina, ha vissuto in prima persona quei tristi anni perché era una bambina quando venne instaurato il regime militare a Buenos Aires, ma ha assistito ugualmente al dramma della dittatura: la casa venne perquisita e messa a soqquadro ben due volte dai militari e sempre nel cuore della notte; uno zio e una zia, giovani studenti universitari a quei tempi, vennero “prelevati” da casa con la tristemente famosa "falcon verde" e portati nelle carceri clandestine, dove furono torturati, picchiati, insultati, per cosa? Per aver scritto sui muri "abbasso la dittatura" o "Viva Peron".
 
Entrambi sono sopravvissuti alle violenze, ma per aver manifestato le proprie idee con l’entusiasmo tipico ed innocente dei giovani hanno trascorso tanti anni in carcere e oggi portano nel cuore e nel fisico il dolore di quei giorni tremendi.
 
"Le prime azioni che hanno fatti i militari davanti a noi bambini – ha ricordato Cecilia - è stato bruciare i libri nelle piazze perché i libri, la cultura portano all’autonomia dell’uomo e al libero pensiero. Mio papà nascose i nostri libri in un buco nel cortile e ci mise sopra una copertura di cemento perché se lo avessero scoperto sarebbe morto per un’azione simile: ora i nostri testi, la nostra cultura, i nostri sogni sono ancora là, sotto quel pavimento in cemento, pronti a riemergere da un momento all’altro".
 
I dittatori cercano di tenere il popolo nell’ignoranza perché solo un popolo senza cultura crede senza porsi domande a ciò che gli viene detto: per questo è importante leggere e informarsi senza paraocchi e con spirito critico, una raccomandazione che oggi è più che mai attuale. "Grazie di cuore agli intervenuti perché senza la loro testimonianza diretta il discorso sulle dittature militari sarebbe stato "da manuale", ma non avrebbe trasmesso la negatività e l’orrore che contengono. È grazie alla collaborazione con le persone che sono disponibili a testimoniare che si fa la storia, quella vera, quella di chi l’ha vista e vissuta" la dirigente del Bonelli, prof.ssa Maria Angela Aimone.
 

c.s.

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