Pubblicato in origine sul numero del 26 maggio del settimanale Cuneodice: ogni giovedì in edicola
Via Sobrero n.11. Scendendo la rampa che porta nel cortile, incastonato in mezzo ai palazzi, si arriva di fronte all’officina di un meccanico. Girando a destra e continuando il percorso si incontrano una serie di garage, gli ingressi dei condomini e una sorta di capannone semi industriale, di circa 400 m², oggi vuoto. Come ancora suggerisce la targhetta adesiva sul citofono, qui sorgeva il Modulo: fucina artistico culturale nata nei primi anni 2000.
Aprire la porta d’ingresso era varcare un confine e finire catapultati in una dimensione anomala rispetto al contesto cittadino in cui era collocato, dentro un ambiente dove predominavano la purezza e la pulizia del colore bianco, quasi “un’astronave” fuori dal tempo e dallo spazio. Al Modulo, entità multiforme e isola sonora, pulsavano le anime e i cuori dei suoi fondatori: Paolo Beltrando, Piercarlo Bormida, Riccardo Parravicini e Michele Dimiccoli. Un laboratorio visionario che nasceva dall’idea di creare uno spazio, assente in città, utile e funzionale alla comunità dei giovani artisti cuneesi. Dalla mancanza nasceva un luogo unico: vivere in una provincia “depressa” e sofferente può trasformarsi in opportunità e in spinta creativa per la bellezza. Al suo interno c’erano uno studio grafico e di elettronica e sound design (origine di Betulla Records, etichetta oggi ancora attiva), uno studio di registrazione e la leggendaria sala prove creata, inizialmente, “per la cricca di amici musicisti che non avevano uno spazio per suonare” racconta Piercarlo Bormida. Quella sala, dove sono passate quasi tutte le band della scena locale, negli ultimi anni diventerà la sala prove dei Marlene Kuntz.
In poco tempo il Modulo si affermava come polo di riferimento per gli artisti che gravitavano nel circuito della grafica o della musica underground in provincia. Nello studio di registrazione, oltre a tantissimi gruppi locali (Lou Seriol, La Macabra Moka, Space Paranoids e Anudo, per citarne qualcuno) sono passati anche nomi come Niccolò Fabi, Daniele Silvestri, Max Gazzè, Levante, Mario Venuti e, naturalmente, i Marlene Kuntz (di casa e ultimi a rimanere fino alla chiusura definitiva nel 2018, quando gli altri studi erano già chiusi da qualche anno): “Un luogo vivo, interessante per gli scambi culturali che si creavano e con un sacco di artisti che andavano e venivano”.
Come “valvola di sfogo” e espressione di ciò che qui nasceva concettualmente venne creato il Plaid. Presi in gestione i locali di via Sette Assedi 4, si restituiva un’impronta artistico culturale, dopo anni di utilizzo per attività commerciali, allo spazio che un tempo ospitava il primo Circolo Nuvolari. Il Plaid, nome che richiama l’immagine della coperta ma in realtà tributo al duo elettronico britannico, tutt’ora attivo, era un contenitore con spettacoli, conferenze, proiezioni di film di nicchia, dj set e, ovviamente, tantissima musica live. Insieme al Modulo, uno spazio di grande fervore creativo: “Il Modulo è stato un ‘La’ per risvegliare Cuneo e le coscienze. Nel nome c’era il riferimento al concetto di modulare: ci piaceva l’idea che potesse svilupparsi dentro altri spazi, con altre persone e in altre città. Un luogo importante che ha permesso di connettere una serie di persone, che forse non si sarebbero mai conosciute, e di far nascere tanti nuovi progetti. Se, a volte, il provincialismo porta a evitare le collaborazioni con altri artisti, per invidia o arroganza, qui era nato un atteggiamento opposto. Luoghi così sono vitali per tutte le città, non solo per quelle provinciali. Speriamo ci siano altri Moduli”.