I pazienti in attesa di trapianto sono più esposti al rischio di contrare Covid-19, 2-3 volte superiori alla popolazione sana o a chi il trapianto lo ha già subito, con un impatto maggiore anche sulla possibilità di sviluppare complicanze virus-correlate più gravi. Complici: l’età, il sesso maschile – fattori acclarati da diversi studi scientifici che favoriscono la contrazione del coronavirus - la convivenza con una patologia grave e tale da richiedere un trapianto, la presenza di eventuali altre problematiche. Le criticità in atto non sono un punto di arresto, ma l’occasione per potenziare l’attività con più attenzione e sicurezza su tutto il territorio con Regione Piemonte in testa che ha adottato misure di tutela, ancora più stringenti e sofisticate lungo tutto il processo per garantire al paziente in attesa di trapianto (ricevente) servzi e assistenza di elevatissima qualità, altamente sicuri, Covid-free.
Centro Regionale Trapianti del Piemonte. Agire in assoluta tranquillità e non fermare l’attività: scelte decisionali che hanno richiesto di elevare il livello di attenzione verso procedure e protagonisti che ‘muovono’ il sistema trapianti. Anche nel rispetto delle indicazioni del Ministero della Salute che li ha inclusi fra gli interventi di emergenza. "La prima ‘misura di sicurezza’ che abbiamo adottato in corso di pandemia – dichiara il Professor Antonio Amoroso, Coordinatore del Centro Regionale Trapianti della Regione Piemonte – si è indirizzata verso il paziente deceduto, ovvero il donatore, dovendo escludere qualunque rischio di infezione da Covid-19 al fine di non arrecare più danno che beneficio al ricevente. Da marzo tutti i potenziali donatori vengono indagati per la presenza del virus attraverso l’esecuzione di tamponi, l’attuazione di lavaggi bronco-alveolari e una analisi accurata del liquido prelevato dai polmoni che viene ricoverato e esaminato alla sorgente così da avere una certezza maggiore di utilizzare organi solo di donatori negativi all’infezione di SARS-CoV-2. La stessa attenzione la poniamo ai riceventi cui va evitato qualche rischio di (sovra)esposizione all’infezione, già aumentato, trattandosi di persone sottoposte a terapie immunosoppressive, che abbassano le difese immunitarie, ma necessarie per anticipare la reazione di rigetto e addormentare la reattività immunitaria nei confronti dell’organo che viene trapiantato. Da qui, dunque, anche la necessità di garantire che tutto il percorso del trapianto sia fatto in strutture controllate e non contaminate da possibile infezione".
I possibili rischi. Si associano a diversi fattori: un ischio individuale, legato cioè all’immunosopressione o alla possibilità che la persona sia veicolo di infezione, e ‘biologico’ dipendente cioè dalla tipologia di organo da trapiantare. "Studi internazionali - precisa il Professore – dimostrerebbero che, ad esempio, il trapianto di fegato si associa a un rischio di infezioni e complicanze inferiore rispetto al polmone, stante che essendo l’organo bersaglio di Covid-19 già di per sé può rappresentare un maggior rischio». A questi si aggiunge anche un rischio ambientale: i pazienti in attesa di trapianto possono essere ospedalizzati o hanno necessità di recarsi di frequente in strutture sanitarie per svolgere terapie salvavita, come la dialisi in caso di insufficienza renale, mediamente 2-3 volte a settimana, esponendosi a un rischio maggiorato di contrarre il virus. Tanto che studi italiani evidenzierebbero i pazienti in attesa di trapianto, più espsti ad di ammalarsi di Covid-19 rispetto a ai già trapiantai. «Dunque, anche in epoca di pandemia - continua Amoroso - è più ‘sicuro’ sottoporsi a trapianto che attenderlo".
L’adozione di misure preventive e precauzionali. Anche per i pazienti in attesa di trapianto o trapiantati, valgono le regole di protezione adottate dalla popolazione generale: distanziamento sociale, uso corretto della mascherina, igiene frequente delle mani. "La Rete Nazionale Trapianti – precisa Amoroso – per tutelare ulteriormente i pazienti, sta adottando laddove possibile la telemedicina, con visite in videoconferenza (televisita) e non in presenza, riscontrando l’apprezzamento anche delle associazioni che tutelano i diritti dei malati, preoccupate che durante la pandemia le visite, ambulatoriali ordinarie o di iemergenza potessero diminuire. Dunque la Rete dei Trapianti e il Centro Regionale del Piemonte e Valle d’Aosta, hanno saputo far fronte efficacemente al contenimento dei costi, non trascurabili, di mortalità e morbilità dovuti alla pandemia, seguendo con ancora maggior attenzione tutti i ‘suoi’ pazienti. Tutto quanto possibile fare, anche fuori dall’ospedale, abbiamo cercato di metterlo in atto nel migliore dei modi per garantire ai nostri pazienti una assistenza di alta qualità".
I dati lo confermano. In controtendenza rispetto al resto dell’Italia dove si è registrato un lieve calo di donazioni pari al 6% e di trapianti intono all’7-8%, Piemonte e Valle d’Aosta registrano un trend in positivo, con dati migliori rispetto allo scorso anno. "L’attività regionale – aggiunge Amoroso – si è assestata su valori superiori al 20% rispetto al 2019, a conferma che le strutture sanitarie coinvolte nell’intero processo di donazione-trapianto, benché sottoposte allo stress dovuto alla pandemia, hanno saputo finalizzare le donazioni per il trapianto nel rispetto dei bisogni dei propri pazienti e del territorio". La “risposta” italiana è stata tuttavia sostenuta anche dalla partecipazione dei cittadini, non solo dal sistema. "L’analisi effettuata dalla Rete Nazionale Trapianti – conclude la Dottoressa Anna Guermani, responsabile del Coordinamento Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di organi e tessuti del Piemonte – evidenzia che il buon funzionamento dell’intero processo donazione-trapianti è stato possibile anche grazie alla riduzione delle opposizioni alla donazione di organi e tessuti da parte dei cittadini, dei famigliari o degli avente diritto di espressione di volontà alla donazione, spesso un punto ‘critico’ nella reperibilità degli organi".
Francesca Morelli