Ma chi l’ha detto che di geopolitica si può parlare solo restando seri? Di certo non Enrico Verga, che pure questi temi li studia da tempo. Consulente strategico e finanziario, docente, giornalista per varie testate nazionali (tra cui Il Sole 24 Ore, Il Fatto Quotidiano e Affari Italiani), ha portato al festival “Ponte del Dialogo” di Dronero il libro “Geopolitica e finanza globale. Sogni, soldi, sangue”, edito da Hoepli.
Un turbine di numeri, storie e fatti che l’autore ripercorre insieme al pubblico in maniera divertita e divertente, strappando anche qualche risata - amara, s’intende: “Credo che la geopolitica non debba essere raccontata, come si fa in Italia, da persone molto seriose. Giocando si impara, diceva il filosofo Campanella”. Il suo è un viaggio vertiginoso alle origini di quella disciplina che solo 125 anni fa abbiamo cominciato a chiamare così - il termine si deve al geografo svedese Rudolf Kjellén, nel 1899 -, ma che descrive in realtà fenomeni vecchi quanto Caino e Abele.
La differenza è che, almeno prima del diffondersi della stampa, restava un fatto di soldi e sangue: “Gli Stati iniziano poi a inventarsi quello che ho chiamato, in maniera ironica, i sogni”. Cioè ideologie, religioni, visioni sociali ed economiche, la marxiana “sovrastruttura”: “Nelle democrazie i sogni sono cresciuti sempre di più, perché era necessario dire ai cittadini di andare a combattere per un motivo: stai andando là per difendere i principi democratici, per liberare un popolo o riconoscere i diritti di una parte della popolazione sfruttata”.
Qualcuno ha detto “esportazione della democrazia”? Ma anche quella è una storia cominciata molto tempo prima. Discorsi non dissimili circondavano la spedizione in Crimea nel 1853 - non troppo disinteressata, tant’è che l’impero ottomano finì in bancarotta per ripagare i prestiti dei britannici. Quasi mezzo secolo dopo venne la guerra anglo-boera, motivata dalla scoperta di un giacimento d’oro che era in grado di coprire circa il 40% delle estrazioni mondiali all’epoca. Per cacciare i coloni boeri da quelle terre, gli inglesi non lesinarono in ferocia. Anzi a loro si deve un’invenzione che avrà una straordinaria fortuna nel Novecento: i campi di concentramento. “Non li ha inventati Hitler, e hanno funzionato talmente bene che non se ne parla mai” spiega Verga, menzionando le donne e i bambini lasciati a morire di tifo e di fame: “Il tema base è che non esistono i buoni e i cattivi: buono e cattivo, giusto e sbagliato, anche questo fa parte dei sogni”.
Quando nel XX secolo l’impero di sua maestà britannica tramonta sorge l’astro degli Stati Uniti, appannatosi via via dal Vietnam in avanti. È proprio con l’idea di vendicare quella sconfitta - patita anche per colpa dei sovietici - che Zbigniew Brzezinski inventa la strategia antisovietica in Afghanistan, la cosiddetta “trappola di Brzezinski”: gli americani addestrano i mujaheddin, adottano la stessa “tattica del sanguinamento” che si sta portando avanti in Ucraina. All’epoca funzionò: “La Russia perse 50 miliardi di dollari in quel conflitto e gli storici ritengono che ciò sia stato alla base della caduta dell’Urss. Oggi si sta cercando di fare qualcosa di simile, alcuni hanno suggerito a Zelenski che a forza di tener testa alla Russia, la Russia si potrebbe perfino frammentare: fantascienza, a mio giudizio”.
Poi però arrivarono i talebani. La storia nascosta della loro ascesa l’ha raccontata Hollywood in una sorta di “commedia bellica” con Tom Hanks e Julia Roberts, La guerra di Charlie Wilson. È l’avventura del semisconosciuto deputato texano che inventò la più grande operazione segreta della Cia per armare e foraggiare i talebani, con oltre un miliardo di dollari: “Sono stati dei grandi e hanno cambiato il mondo… e poi abbiamo mandato tutto a puttane” dirà lui stesso, anni dopo. La grande stampa e il cinema - il terzo Rambo ne è l’emblema - celebrarono l’epopea di quei “combattenti per la libertà”.
Già, i media. Verga gli dedica il capitolo finale del libro, con un titolo che è tutto un programma: “Fidati dei giornali, a volte ci prendono”. Si parla di algoritmi, di guerra cognitiva, del Washington Post di Jeff Bezos, ovvero il signor Amazon. A Dronero si menziona anche un’altra vicenda, poco nota: la storia di come l’Arabia Saudita abbia pagato 9,6 milioni di dollari a una delle più rispettate agenzie di comunicazione strategica, la Edelman, per ripulire la propria immagine in Occidente. In gergo si chiama whitewashing: il risultato è che oggi, per esempio, ben poco si sente parlare della condizione delle donne in Qatar o Arabia Saudita. “Eppure - ricorda Verga - le iraniane votano da una vita, in Qatar e Arabia ci stiamo arrivando solo adesso. Il Qatar è anche il primo finanziatore di Hamas, poi c’è la Turchia”.
Non può mancare un accenno alla guerra in Ucraina, che a suo modo è “pionieristica” quanto lo fu il conflitto anglo-boero: “È la prima guerra della nuova generazione. In questa guerra sono stati sdoganati i droni per uccidere gli uomini”. Putin ha invaso l’Ucraina, premette l’autore, “ma nessuno dice che un mese prima l’Ocse denunciava violazioni della tregua tra gli indipendentisti e il governo: quante volte, in due anni di guerra, si è sentito parlare delle violazioni pre-conflitto?”. Ancora una volta, è tutta questione di sogni, soldi e sangue.