Riceviamo e pubblichiamo la lettera postuma che Anna Maria Ghibaudo ha scritto lo scorso dicembre. L’aggravarsi della malattia l’ha poi portata alla morte, ma la sua famiglia ha deciso di diffondere ugualmente la lettera: “Per noi il messaggio che contiene è molto importante e le informazioni che i lettori possono desumere dalle sue parole potrebbero anche servire per fare chiarezza a chi sta vivendo oggi una situazione di malattia grave, come è successo a noi”, spiegano i parenti della signora Ghibaudo.
Buongiorno Direttore,
Le scrivo per lasciarle alcune riflessioni, sperando che a lei e ai suoi lettori siano gradite. Mi chiamo Anna Maria, anche se tutti mi conoscono come Anna; sono una mamma, una nonna, ho delle sorelle ed un fratello, sono una zia, una cugina e sono anche una nipote. Sono una amica, una vicina di casa, sono stata una insegnante, poi pensionata ed ora sono una ammalata. Non tutti sanno che la sanità in Italia, come la viviamo oggi, è stata istituita dal governo Andreotti IV su proposta del Ministro della Sanità Tina Anselmi. Grazie a lei veniva istituito il Servizio Sanitario Nazionale basato sulla visione solidaristica nell’erogazione delle prestazioni in cui la copertura sanitaria veniva estesa a tutti. Penso che sia importante ricordarla: poche strade, piazze o strutture sanitarie sono a lei dedicate. In questi ultimi mesi ho dovuto fare parecchie volte ricorso alle cure mediche, riscontrando alcune difficoltà dovute anche alle restrizioni vigenti per la pandemia Covid-19 in corso. Penso che la tutela degli ammalati sia importante e per questo sono d’accordo che siano presenti limitazioni negli accessi, nelle visite, ma tutto ciò non toglie che il Covid non può essere una scusa per togliere personalità ai pazienti, per isolarli totalmente dalle informazioni mediche e dall’affetto dei familiari.
Vorrei che gli ammalati fossero informati della presenza di liste di attesa, così da poter scegliere dove essere curati, vorrei che venissero istituiti dei protocolli di urgenza, così da gestire le situazioni gravi come la mia, d’altronde non penso che ogni ammalato possa essere uguale ad un altro e che ogni malattia possa essere uniformata, ogni persona reagisce in maniera diversa. Vorrei che le cure per il mio tumore non fossero eseguite solo un giorno a settimana, le malattie non possono essere seguite secondo dei cluster del genere. Il tumore d’altronde è una malattia tempo dipendente. Si immagini se si operassero le persone colpite da infarto solo il martedì. Vorrei che fossero istituiti servizi di supporto per i pazienti ed anche per i familiari che devono intraprendere delle strade complesse di cure, di dolore e di fatica. Insomma, vorrei che fosse restituita dignità alle persone ammalate: doversi curare non vuol dire accettare di dover perdere la propria intelligenza o i propri diritti.
Ma caro direttore vorrei anche dirle che in questo difficile percorso ho incontrato degli angeli: il primo, di nome e di fatto, è il dottor Angelo Cifariello, che con fare professionale, ma anche molto umano, mi ha seguito per alleviare il mio dolore ogni volta che ne avessi bisogno. Anche l’infermiere Giovanni Chiurazzi dell’ambulatorio di Urologia mi ha permesso di gestire un catetere birichino che spesso faceva le bizze. Non voglio dimenticare l’infermiera Ilenia Carle delle cure domiciliari che con grande pazienza mi ha medicato ogni giorno, accompagnata dalla tirocinante Annalisa Summino. E poi la dottoressa Catia Lovino, direttore sanitario della casa di cura Monteserrat – Caraglio, che con onestà medica e comportamento gentile ha accolto me ed i miei figli, insieme al medico Belli, alla dottoressa Spittalugo ed alla dottoressa Martini, al capo infermiere Giuliano Simone. Tutti loro voglio ringraziare per l’immensa disponibilità e comprensione.