Pubblicato in origine sul numero del 30 giugno del settimanale Cuneodice - in edicola ogni giovedì:
Sylvia Elena Violino è cantante, vocal coach e anima della “Voice Art Academy”, una scuola di musica molto particolare che mette al centro la persona e la sua voce, strumento per portare alla luce emozioni e interiorità.
Quando nasce il tuo amore per il canto?
“Tardissimo. È nato quando avevo 28 anni ed ero appena uscita da un percorso di depressione, psichiatria e psicofarmaci. La passione per la musica, invece, ce l’ho dentro fin da quando ascoltavo un jingle pubblicitario e volevo riprodurlo su una tastiera giocattolo. I miei genitori non hanno mai assecondato le mie passioni e le mie scelte musicali, per loro era importante trovare un lavoro ‘normale’ o il classico posto fisso. Le cose sono cambiate quando sono entrata in Conservatorio per studiare pianoforte. Dopo lo studio del pianoforte ho capito di amare Bach, sopra ogni cosa, e mi sono laureata in organo classico con Gianfranco Agamenone”.
“Nel canto lo strumento musicale siamo noi, l’unico strumento con cuore e cervello”. In queste parole c’è l’idea del canto come espressione delle emozioni che abbiamo dentro. Cantare è cercare se stessi?
“Sì, assolutamente. Tutti gli esseri umani nascono con un accordo pneumofonico perfetto e poi accade che, crescendo, genitori e insegnanti ci dicano di abbassare la voce e di non disturbare o gli amici che abbiamo una brutta voce. Così, per questi condizionamenti, tendiamo a nasconderla dentro di noi e a imitare quello che ci circonda, per non stonare troppo rispetto agli altri. Ma insieme alla nostra voce c’è la nostra identità, nasconderla vuol dire nascondere noi stessi. Il mio lavoro di vocal coach è diverso con ogni persona e non ha valutazioni o piani di studio. Quello che è essenziale è l’empatia per poter scoprire la voce che si nasconde nella persona che ho di fronte e aiutarla a tirarla fuori. Chi inizia il suo percorso nella nostra scuola, quando arriva, si registra nello studio di registrazione per poi ripetere la registrazione dopo qualche mese. In questo modo analizziamo e guardiamo la voce per capire cosa ci piace e cosa no, e per valutare le modifiche tecniche che vogliamo apportare. Ma prima dobbiamo tirarla fuori, non si può lavorare su una voce che è dentro”.
La “Voice Art Academy” è conosciuta per questo metodo di ascolto e attenzione alla persona?
“No, è una cosa che non si sa. A volte ricevo telefonate in cui mi dicono che sanno che con il canto e la musica guarisco i ragazzi. Rispondo che non sono un medico e non guarisco nessuno, i disturbi e le patologie vanno affrontate con gli specialisti. Quello che faccio è insegnare a lavorare con la propria personalità e con la propria voce, e a far uscire quello che abbiamo dentro. A non avere paura della nostra voce e identità e a valorizzare il nostro talento”.
Il canto non è la cura. Ma è indubbio che la musica abbia un potere terapeutico.
“Assolutamente. Le persone fanno un’ora di lezione e in quell’ora tirano fuori tutte le loro emozioni. Escono di qui che sono felici. Tra i nostri allievi abbiamo anche diverse persone con disturbi psichiatrici, ragazze bullizzate, ragazzi in sedia a rotelle, persone autistiche o con altre difficoltà. Per chi vive difficoltà di questo tipo, il potere terapeutico è ancora più forte. Poi spingiamo molto sugli inediti e sullo scrivere per comunicare, altro aspetto dal potere terapeutico incredibile, avendo lo studio di registrazione interno con un arrangiatore, e pianista, come Massimo Celsi”.
Hai detto di essere Asperger. Cosa comporta sul piano musicale?
“Quello che cambia è soltanto il tipo di apprendimento che è legato anche al tipo di autismo che può essere più o meno grave. Quando lavoro insieme a ragazzi Asperger è essenziale creare nuovi stimoli in quanto l’attenzione si perde facilmente. Non potendo lavorare un’ora intera sulla stessa canzone inseriamo esercizi di ginnastica e equilibrio. Tutto questo rientra nel discorso di un vocal coaching personalizzato sulla persona”.