Riceviamo e pubblichiamo:
Egregio Direttore,
sì, lo dico da ex avversario politico: non si celebra così l’on. Adolfo Sarti. Sono intervenuti a Cuneo due professori universitari per rievocare la sua figura in occasione della pubblicazione della seconda parte dei suoi diari. Il primo ha svolto un esame delle vicende storiche della Democrazia cristiana di quei tempi; il secondo ha citato frasi lapidarie del Diario di Sarti sulla crisi generale dell’Italia, senza fornire alcun commento, senza alcuna considerazione a supporto.
L’on. Sarti appare quasi un fanatico, anziché un uomo politico intelligente e profetico. Meno male che il prof. Giovanni Quaglia, presidente della Fondazione C.R.T., intervenuto per un saluto ha accennato quale bella figura di uomo e di politico è stato Sarti. Il curatore dell’edizione del Diario ha ribadito l’“ossessione” continua di Sarti per la crisi incombente in Italia, per la crisi della DC che non rappresenta più i valori del Paese, per il rischio del crollo del sistema e delle istituzioni, per la crisi economica e la destabilizzazione dell’Europa, per la sua preoccupazione per la proposta di compromesso storico fra DC e PCI. Arriva a scrivere della DC: “Che c’entro io con questo partito?”, e teme che si stia preparando la “comunistizzazione” dell’Italia. Quindi ben venga la crisi di questo Stato, ma - avverte Sarti - non voglio fare il “becchino della Prima Repubblica e della mia azione di governo”.
Fin qui la celebrazione asettica. Ma io vorrei almeno dire che l’on. Adolfo Sarti oltre ad essere un uomo politico di grande cultura, è stato anche un acuto ricercatore storiografico. Io l’ho scoperto leggendo un suo articolo sul quotidiano romano “Il Tempo” del 22 novembre 1989. In esso rivela una pagina di storia inedita ed istruttiva relativa all’entrata in guerra dell’Italia nella prima guerra mondiale nel 1915: “Del saluzzese Camillo Peano, immagine speculare del presidente del Consiglio Giolitti, la Treccani ricorda il ‘parecchio’”. Ma sì, perché è proprio lui il ‘caro Peano’ destinatario della lettera con la quale Giolitti, fuori dal governo come Peano, alla vigilia della guerra, fa sapere agli Italiani (ci penserà, con lievi ritocchi, Malagodi padre a pubblicare la lettera al ‘Caro Peano’ sulla ‘Tribuna’) che ‘parecchio’ si può ottenere dall’Austria-Ungheria per vie diplomatiche, senza ricorrere ‘all’inutile strage’, già preconizzata da un grande Papa. ‘Parecchio’? Mi sono letto tutto il leggibile per un’intera stagione della mia vita parlamentare, preparando una relazione sul trattato di Osimo, che chiude la seconda guerra mondiale e riconsegna per sempre Trieste all’Italia, ma rende definitivo il passaggio della Zona B alla Jugoslavia; e ho fatto lo stesso seguendo come sottosegretario, alla Camera, il travaglio del ‘pacchetto’ altoatesino. E solo per induzione, mi sono convinto che Giolitti intendeva proprio quello: Trento fino alla stretta di Salorno, cioè il Trentino italofono, e Trieste e l’Istria e la Dalmazia sarebbero venute a noi per sagace trattativa diplomatica, se l’Italia fosse rimasta ferma all’idea giolittiana della neutralità”.
Mi fermo qui. Grazie per l’ospitalità.
Paolo Chiarenza (Busca)