Multiplo Giochi Preziosi” è l'ultimo lavoro di Gec Art, al secolo Giacomo Bisotto, affermato street artist italiano originario di Boves ma torinese d'adozione, che a Torino condivide lo studio con il collega Br1. L'opera consiste in una scuderia di 25 modellini di auto delle forze dell'ordine bruciate, dalle classiche volanti della polizia fino al Defender dei carabinieri diventato un simbolo della storia italiana recente. 25 multipli tutti diversi in quanto, anche quando il modellino è lo stesso, l'azione del fuoco lo rende unico e diverso dagli altri. Un percorso artistico quello di Gec, classe 1982, una laurea in architettura del paesaggio, che l'ha portato ad essere un artista riconosciuto con esposizioni dentro musei, gallerie, fiere e spazi istituzionali. Gec fin dagli inizi, quando nella Torino post Olimpiadi usciva di notte e rivestiva le strade con i suoi poster di carta in bianco e nero, cifra stilistica che, insieme ad una grafica immediata e essenziale, l'ha reso riconoscibile, lavora su immagini iconiche per raccontare la contemporaneità. Decontestualizzando e mettendo insieme immagini conosciute Gec crea immagini nuove e stranianti che diventano icone del fallimento di una generazione e della sconfitta dei nostri tempi moderni, che si tratti di quadri, poster incollati in giro per la città o interventi urbani. Opere in cui l'ironia gioca con la drammaticità contenuta al loro interno. Essenziale la partecipazione attiva del pubblico, senza la quale molti suoi interventi nello spazio urbano, di solito non autorizzati, non esisterebbero, persone che l'artista coinvolge tramite l'uso dei social network lanciando delle call chiamate "Tentativi". Un nome che è già una dichiarazione del potere del pubblico sulla realizzazione e sul destino dell'opera. Opere che sono un megafono per parlare di comunicazione pubblicitaria, di tecnologia e del suo rapporto con la natura e di temi come ludopatia, lotte di classe e precariato.
Come nasce “Multiplo Giochi Preziosi”?
“L'idea è nata passando davanti a un negozio di giocattoli. Avevo già realizzato '1312', un cassonetto in fiamme che sembra andare a fuoco, con il suo impianto di luci e areazione, ma che posizionato in uno spazio interno perde il significato di simbolo di lotta e diventa oggetto d'arredamento, e volevo continuare a trasformare un'immagine iconica, un simbolo del contemporaneo, in un oggetto di design da mettere in casa. In quel negozio ho trovato il mio primo modellino, la classica volante blu della polizia, che ho comprato, smontato e bruciato. Quando l'ho rimontato per metterlo nella scatola, mi sono reso conto subito della potenza estetica del nuovo oggetto, ed ho deciso di esporlo alla mostra 'Illusione Collettiva', mostra di arte urbana con le migliori ricerche di street art attuali. L'ho esposto all’interno di un'installazione come modellino da collezionismo, una riproduzione fedele e originale di una volante della polizia ma bruciata. È stato un successo, il giorno dell’inaugurazione molti lo volevano e così ho deciso di fare un multiplo tirato a 25 pezzi tutti diversi, perché è giusto che questo lavoro possa andare nelle case di tutti”.
25 multipli di modellini d'auto delle forze dell'ordine, che hai bruciato. Tra questi il Defender dei carabinieri, simbolo del G8 di Genova. Qualcuno potrebbe pensare che ci sia un intento di denuncia.
“Non c'è nessun intento di denuncia. Il mio 'Multiplo' racconta la contestazione, che ormai è stata chiusa in una scatola. È semplicemente un simbolo contemporaneo che ha perso la sua funzione originaria diventando oggetto di design. Anche quest'opera, come tutti i miei lavori, gioca con immagini che abbiamo già visto da qualche parte, che la nostra mente riconosce, decontestualizzandole per creare un effetto nuovo, spiazzante e destabilizzante. La macchinina è un oggetto con cui tutti abbiamo giocato da bambini, il fatto che sia bruciata e sia rientrata nella sua scatola originaria crea un'esperienza estetica nuova e straniante. Contemporaneamente richiama alle immagini trasmesse dai media (l'auto incendiata, come il cassonetto in fiamme, è una delle prime immagini che vedi in tv quando c'è una sommossa). L’associazione di un immagine violenta con un oggetto ludico per bambini genera un oggetto decontestualizzato, spiazzante e nuovo".
Il tuo percorso è quello di un giovane street artist che è riuscito a entrare dentro gallerie, case di collezionisti e spazi istituzionali. Per la tua carriera di artista è stato significativo un viaggio nella grande mela, documentato nel libro "Cartacce" della fotografa Ramona Vada.
“Nel 2005, un collezionista mi acquistò un quadro a patto che usassi il denaro per andare a New York. Sono partito con Ramona che conoscevo perché eravamo due giovani artisti cuneesi alla ricerca della nostra dimensione, con il sogno di visitare New York. Tornato a Cuneo l'impatto è stato talmente forte che vivere in provincia non è stato più possibile. Mi sono trasferito in una Torino in piena olimpiade, una città internazionale su tutti i livelli in quel momento storico, e da quel momento mi sono dedicato sempre di più al mio lavoro. Ho avuto molti incontri importanti con mecenati, collezionisti e curatori. Forse il più importante di tutti, quello che mi ha fatto decidere di voler fare sul serio e provare a diventare artista di professione, è stato l'incontro con un noto produttore musicale torinese che mi contattò per realizzare la grafica di un album in produzione. In quel periodo di giorno lavoravo come grafico e di notte attaccavo poster e facevo i quadri su commissione (iniziavo ad essere conosciuto e le richieste erano tante): quell'incontro fu decisivo così mi licenziai da un giorno all'altro. Il giorno dopo, a 25 anni, mi sono ritrovato in casa a San Salvario, con il mio computer, a domandarmi come guadagnarmi da vivere. Ho iniziato a vendere i poster su MySpace e parallelamente portavo avanti la mia ricerca artistica. Poi a 'Paratissima' ho conosciuto un importante collezionista italiano che ha comprato un quadro e mi ha proposto di organizzare una mostra di street art di alto livello. È nata così 'Strada facendo', forse la prima mostra istituzionale di street art a Torino. Da quel momento in poi si sono aperte le porte di mostre, gallerie e fiere”.
Cosa ti ha spinto a uscire in strada, di notte, per attaccare i tuoi poster?
Quando sei giovane non hai nessuna possibilità di farti notare quando ti proponi alle gallerie. La strada era l'unico posto dove potevo fare quello che volevo e lì mi sono accorto che, in quel momento, c'era un movimento artistico mondiale in forte espansione. Per certi versi era una corrente simile al punk rock, dove non era necessario saper suonare la chitarra: vai e la suoni. Un movimento che 20 anni dopo ha anche fatto la stessa fine del punk rock perché, ad un certo punto, il mercato dell'arte l'ha inglobato nel sistema e ci siamo resi conto che non tutti erano i Sex Pistols”.
La street art invade la città e si insinua nelle sue architetture ma anche la città interagisce sui tuoi lavori. Come il tempo, gli agenti atmosferici o le persone.
“Ogni intervento è sempre studiato in base al contesto, che è, a tutti gli effetti, parte dell'opera. I miei lavori in esterno hanno un carattere effimero, vengono deteriorati dall'azione del tempo e delle persone, dal writer che ci fa sopra una tag, a chi li strappa o li ruba. Quando incollo un lavoro non lo considero più mio ma di tutti. Mi interessa seguire le sue dinamiche e i cambiamenti che documento fotografandolo”.
Nei tuoi interventi urbani è centrale la partecipazione attiva del pubblico che coinvolgi nella realizzazione dell'opera con i social network.
"Nel 2008 nasceva Facebook e nel 2010 ho avuto l'idea di utilizzarlo non come vetrina ma come
strumento per produrre opere di arte pubblica. Lancio, così, la mia prima call chiedendo a tutti di inviarmi dei mouse da computer, che ho poi abbandonato e fotografato in giro per Parigi, la città con più ratti d'Europa. Nel mio condominio arrivarono così tanti pacchetti da non entrare nella buca delle lettere al punto che il portiere mi chiese: 'Ma lei che lavoro fa? Non sapevo cosa rispondere ma quella partecipazione mi ha fece capire di avere in mano una novità davvero potente. Nel 2011 ho chiesto ai giovani studenti italiani di inviarmi le dispense dell'esame più difficile per '89.24.24-Generazione senza miti'. Da lì è nata la Marilyn, una ragazza struccata che lavora in un call center, realizzata non su una carta qualunque ma sulle speranze e sulla fatica delle dispense universitarie: un'icona generazionale del precariato. Con un'altra call, nel 2012, ho raccolto 12.000 'gratta&vinci'. L'idea di lavorare con questo tipo di carta l'ho avuta all’ufficio postale, quando un'impiegata mi ha chiesto se preferivo il resto in contanti o in 'gratta&vinci'. Ho realizzato 'La ruota gira', una serie di girandole sparse a Venezia durante la Biennale, simbolo di una felicità e spensieratezza spiazzanti perché contengono la disperazione di chi spera di svoltare la sua esistenza ma perderà, e 'Cala la notte', una città al crepuscolo su cui scende lentamente un velo nero come la chiusura di un sipario. Erano anni in cui non si parlava ancora di ludopatia e sono stato contattato da un gruppo di matematici che faceva informazione nelle scuole dicendo, già allora, che sarebbe stata una malattia contemporanea. Questi matematici 'Fate il nostro gioco' hanno contato tutti i 'gratta&vinci' e realizzato un resoconto sul valore dell'opera e sulle probabilità, quasi nulle, di vincita. Un elemento che ha dato grande forza al progetto e che non potevo prevedere all’inizio, come altre dinamiche che accadono quando lancio i 'Tentativi' sul web, che dipendono esclusivamente dalla risposta del pubblico. Con le call nasce ogni volta un gioco tra realtà e virtualità, amplificato dalle fotografie, che raccolgo, di chi si fotografa vicino alle opere”.
Dalla strada agli spazi istituzionali. È come se fossi passato dalla notte al giorno.
“È un'interpretazione a cui non avevo mai pensato. Ora siamo nella fase in cui tutto è stato accettato e digerito, si è persa quell’adrenalina delle prime uscite notturne. Oggi spesso la domanda è: come gestisci il rapporto con il mercato dell’arte? Non esiste una risposta univoca e ogni artista deve fare i conti con il proprio passato. Alcuni hanno deciso di non fare mostre e continuare esclusivamente ad operare in strada, altri hanno scelto di aprirsi al mercato. Il patto che ho fatto con me stesso è di non snobbare il mercato, ma al contempo di continuare a fare lavori in strada. Se smettessi forse non mi divertirei più e le mie opere ne risentirebbero, diventando un prodotto puramente estetico. Oggi faccio pochi pezzi, molto più studiati nel rapporto con la location e nei dettagli, non mi interessa la quantità, l’importante è che ogni nuovo lavoro sia migliore di quello precedente".
A Cuneo hai fatto i tuoi primi lavori. Prima di trasferirti a Torino, la città in cui ti sei affermato conquistando un posto tra i migliori street artist italiani.
"20 anni fa i giornali locali del cuneese naturalmente raccontavano i miei primi interventi come atti vandalici riportando le lamentele di parecchie persone. Cuneo ovviamente era il posto sbagliato per fare street art, fare graffiti a Cuneo è come fare il contadino a Milano: anche se avessi potenzialità incredibili, non potrai fiorire, sei come un seme nel vaso sbagliato. Cuneo offre altri grandi vantaggi come la tranquillità, il senso di comunità, e poi trovi sempre parcheggio!".
Nel cuneese sei tornato in veste di artista ormai riconosciuto. A Monforte d'Alba per la Fondazione Bottari Lattes hai realizzato "Wine in progress".
"Ho lanciato una call in cui si chiedeva alle persone del territorio delle Langhe di aprire i loro album di famiglia e cercare le foto storiche che raccontassero la vita nei campi, la fatica dei contadini e degli anziani del luogo, di chi si è sporcato le mani davvero per quelle terre. L'idea era raccontare il territorio trasformando la memoria privata delle famiglie in memoria collettiva. Sono arrivate centinaia di foto di contadini al lavoro, due delle quali sono diventate grandi disegni sulle pareti del centro storico del paese. Con questo lavoro i giovani hanno aperto i vecchi album di famiglia, hanno scansionato la foto del nonno o del bisnonno, per poi ritrovarle riprodotte sui muri del centro, che hanno prontamente fotografato e ripubblicato sui social. Un lavoro sulla fotografia dal cartaceo al web”.
Sono passati 20 anni da quando hai attaccato i tuoi primi poster. Per tornare alla similitudine del punk rock possiamo dire che in quei primi momenti sicuramente non ti mancava la verve ma che adesso, da street artist affermato, hai acquisito la tecnica e imparato a "suonare"?
"Nel mondo dell'arte il solo talento non basta. Oltre all'unicità o all'originalità è necessario studiare, affinare la tecnica e lavorare tanto”.