CUNEO - “Palé": un crowdfunding per il docufilm di Marco Ghezzo e Andrea Fantino

Racconterà la storia di Marco, violinista e trovatore del XXI secolo e di alcune famiglie rom della Transilvania

Francesca Barbero 24/12/2022 09:05

Lanciato il crowdfunding per "Palé", il docufilm di Marco Ghezzo e Andrea Fantino. Racconterà la storia di Marco Ghezzo, violinista freelance e "trovatore del XXI secolo", cuneese ora a San Francisco, e di alcune famiglie rom della Transilvania. Co-regista l'antropologo e documentarista, di Roccavione, Andrea Fantino, da poco premiato al "Potenza Film Festival" con "La voce di chi non ha voce", e attualmente impegnato, insieme a Andrea Ceraso, nelle riprese del documentario "L'Isolato" dove si raccontano vite e trasformazioni del quartiere intorno alla stazione.
 
Per sostenere il crowdfunding: https://www.indiegogo.com/projects/pale-a-top-beetween-continents-documentary/x/31161636#/.
 
Che storia racconta “Palé”?
 
Andrea: “Palé in lingua rom significa 'indietro', perché ad un certo punto Marco si volta e va indietro nel tempo per raccontare un viaggio che gli sta particolarmente a cuore. In generale, oltre che per raccontare le peripezie di Marco, il progetto nasce anche per raccontare l’apparente paradosso del 'gadjo'  (non Rom) che vive nomade e dei 'Rom' che invece sono sedentarizzati da generazioni. Nel film si racconta la realtà di Marco, un violinista freelance italiano che dopo una lunga tournée nelle Americhe si ritrova perso tra i continenti. Diversi progetti tra Europa, Messico e Stati Uniti, amici da tutte le parti, un figlio nicaraguense-californiano-italiano”.
 
Marco: “Durante la mia ricerca di un equilibrio tra una vita ormai nomadica e le necessità della famiglia e del suo nuovo membro, la relazione che avevo da più di vent’anni con una famiglia rom, una relazione nata da un viaggio musicale, ha costituito per me una solida ancora emotiva. Appena maggiorenne, durante i peggiori anni di persecuzione mediatica in Italia verso i Rom, avevo visitato per anni il quartiere rom di Csavas, un paesino della Transilvania Centrale famoso
per la qualità dei suoi violinisti. Avevo stretto un legame forte con Benki, un ragazzo sedicenne, e mantenuto questo legame vivo negli anni fino a diventare il padrino di Dragos, il secondo figlio. Proprio mentre comincia a presentarsi sempre più evidente una certa preoccupazione per far conciliare la mia recente paternità con la mia vita di musicista in perenne tour, ricevo dal Messico un invito a suonare in Transilvania con un gruppo messicano con cui avevo passato tre
stagioni in Tulum, Messico. Gente che appartiene a quello che io chiamo il mio 'villaggio sparso'. Questa notizia ha avuto veramente un forte impatto emotivo su di me”.
 
In “Palé” la storia di Marco si intreccia con quelle di alcune famiglie rom della Transilvania.
 
Andrea: ”Palé è una una storia del terzo millennio , di un tempo in cui spesso un biglietto di aereo può costare meno che un affitto, e musicisti e artisti ostinati scelgono una vita scomoda piuttosto che spegnersi in un lavoro ordinario e nella routine. Palé prova a ritrarre la realtà rom in Transilvana cosi come è oggi senza romanticismi con i suoi problemi e il suo incanto, adottando il punto di vista amoroso di Marco, non rom, ma in un senso parte di una famiglia rom. Racconta i sogni, le aspirazioni di due mondi considerati marginali, non solo la realtà rom in Romania, ma anche quella dei musicisti giramondo, i trovatori del XXI secolo, un mondo che ancora sopravvive semi nascosto, lontano dal mainstream nell’epoca di Spotify”.
 
Marco: “È un racconto sull’umanità che resiste più vitale nella periferia dell’Europa che nella Baia di San Francisco dove sono finito a vivere perché ho deciso di fare il padre e dove faccio fatica a ritrovare le emozioni e la estemporaneità che mi fanno sentire vivo”.
 
Andrea: “Riuscirà Marco a gestire la sua paternità, la sua vocazione di performer e ponte interculturale e ritrovare quella pienezza che sembra rarefarsi nella aria fresca della Baia di San Francisco? La domanda si mantiene aperta ma questa storia già merita di essere raccontata”.
 
Che cos'hanno in comune la storia di un “trovatore del XXI secolo” che viaggia per il mondo con il suo violino e quelle di alcune famiglie rom della Transilvania?
 
Marco: “Sono due mondi che possono avvicinarsi ma sono innanzitutto due realtà opposte. Ovviamente la musica e il piacere della convivialità e condivisione sono il grande collante che permettono talvolta a questi mondi di incontrarsi e fanno sì che questo progetto di documentario possa esistere. La maggior parte dei Rom vivono in una condizione di emarginazione sociale e precarietà economica. I trovatori del XX secoli arrivano da un mondo comunque privilegiato. A volte, come nel mio caso, arrivano perlopiù da un contesto in cui uno può prendersi il tempo di tirare un respiro e pensare a che direzione vuol dare alla sua vita. E questo va riconosciuto. Poi, nella maggioranza dei casi ci troviamo presto pure noi in una condizione di precarietà economica, ma questa arriva come conseguenza di una scelta non come una condanna ineluttabile. Se avessi voluto diventare un professionista con un lavoro ben remunerato, avrei potuto provarci, questa è la sostanziale differenza con i miei amici rom”.
 
Il violino è un elemento centrale del documentario. Marco, per te cosa rappresenta?
 
Marco: “Il violino è la mia coperta di Linus, il personaggio dei fumetti Peanuts. Qualcosa da cui non mi posso separare. A volte (raramente) mi capita di partire e di sapere che mi sto recando in un luogo in cui non avrò tempo di suonare, ma il violino me lo porto comunque… È andata così l’ultima volta che sono andato in Nicaragua e mi si è aperta una crepa per l’umidità. Il violino è la principale fonte delle mie soddisfazioni e del mio stress. È anche stato il mio passaporto, il
mio lasciapassare nel mondo”.
 
Come vi siete conosciuti?
 
Andrea: “Nonostante siamo un cuneese e un roccavionese ci siamo conosciuti a Palazzo Nuovo a Torino studiando Comunicazione Interculturale, e abbiamo approfondito questa conoscenza ai tavoli di Alfredo, una piola vicino all’università. A quei tempi Marco aveva appena cominciato ad appassionarsi di musica rom avendo ascoltato un gruppo di Rom romeni che suonavano tutti i giorni per strada vicino all’università. Io ero appassionato di fotografia e nel giro di pochi anni avrei scoperto il mondo dell’antropologia visiva e del documentario. In breve Marco ha avuto un contatto per visitare Csavas, il paese di Benki, famoso per la sua tradizione di violino e qualche anno dopo io l’ho seguito con la camera. Negli anni successivi abbiamo condiviso tanti progetti e spazi artistico-musicali: 'Rom Cultura Aperta' (2010, in collaborazione con la Chambra d’Oc), 'Carovana Balacaval' (2011), 'Circo Zoé' e la nascita dell’associazione-collettivo 'Zaratan'. 'Palé' in fondo nasce proprio da questa storica amicizia, dalla voglia di condividere passioni e idee”.
 
Perché avete deciso di lanciare un crowdfunding?
 
Andrea: “È la mia terza campagna crowdfunding in pochi anni. Aldilà della raccolta dei fondi, trovo questo strumento importante e determinante per produzione culturali indipendenti come la nostra. Ti permette di avviare un vero e proprio progetto di comunicazione per raccontare chi sei e cosa fai, e di fatto per formare il tuo futuro pubblico”.
 
Marco: “Con Andrea abbiamo investito molto filmando in Romania, Italia e California, abbiamo avuto la pazienza di aspettare che la storia tracciasse da sola le sue linee intersecate tra i continenti. Ora abbiamo bisogno di un aiuto esterno per poterla raccontare. Lo sentiamo come un piacere condito con una certa dose di dovere, anche per i venti politici che tirano non solo in Italia. Il crowdfunding a parte una richiesta di un aiuto materiale è anche una scusa per ravvivare il contatto con la nostra comunità sparsa per il mondo e trovare nuovi amici e menti che aderiscano a questo progetto a altri futuri. Davvero pensiamo sia importante raccontare questa storia di cosmopolitismo in un momento in cui la comunicazione è cosi accelerata e inflazionata e la comprensione profonda dell’alterità paradossalmente sempre più rarefatta”.
 

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