Riceviamo e pubblichiamo la lettera di una neomamma.
Gentile redazione,
mi chiamo Francesca e sono mamma di una bellissima bimba che è nata all'ospedale di Cuneo domenica 7 marzo. Scrivo questa lettera a Cuneodice per raccontare il mio primo parto, un momento delicato per qualsiasi mamma, ma che in questo periodo difficile per tutti dovrebbe avere un trattamento di maggior riguardo rispetto al solito.
Purtroppo la mia esperienza non è stata felice, almeno non per tutta la durata del travaglio.
Ho rotto le acque il venerdì sera alle 23. Il compagno ed io ci siamo dati il tempo di prepararci e dopo una chiamata al pronto soccorso di ostetricia, abbiamo deciso verso le 3 di recarci in ospedale. Arrivati al Santa Croce il personale ha mandato via il mio compagno e mi ha fatto salire in Ostetricia, dove mi è stato assegnato un letto.
Una volta in reparto mi hanno detto che se non avessi partorito entro 24 ore sarebbe stata necessaria l’induzione farmacologica del parto: le contrazioni c’erano, abbastanza dolorose ma irregolari. Di certo la presenza di mamme con i loro figli appena nati nella stessa stanza non mi ha fatto sentire a mio agio. Spesso ho sofferto in silenzio per paura di svegliare i bambini.
Arrivate le 23 del sabato nulla si era mosso quindi hanno dovuto indurmi il parto. Sono state le 8 ore più brutte della mia vita, ma purtroppo ho dovuto affrontarle da sola. Mi avevano spiegato che con questo sistema mi sarebbero venute le contrazioni in maniera graduale per aiutare la dilatazione, invece mi hanno fatto prendere un farmaco che mi ha fatto partire delle fitte incredibili alla schiena che sono durate tutta la notte. Avrei avuto bisogno del mio compagno, allontanato al momento dell’arrivo in ospedale: invece ha dovuto attendere fuori in macchina aspettando la chiamata. Ancora oggi mi chiedo il perché. Se gli è stato fatto un tampone quando è entrato in sala parto tanto valeva verificare prima di modo che potesse starmi vicino durante il travaglio. Mi sarebbe bastato avere qualche parola di conforto, una carezza, un semplice abbraccio per aiutarmi a capire che non ero sola e che sarei riuscita a sopportare il dolore.
Dicono che la tribolazione del parto si dimentica perché sovrastata dalla gioia della nascita. Confermo, è proprio vero. A distanza di dieci giorni non ricordo quasi più niente del dolore che ho provato, ma rimembro benissimo le parole di quell'ostetrica "Pensavi di fare una passeggiata? Questo è un parto, si chiama travaglio!”. Invece di starmi vicino mentre stavo piangendo dal dolore mi ha sbeffeggiato perché supplicavo di far salire il mio compagno.
Ho passato veramente un incubo, in qualche modo quelle ore mi hanno segnato. Ho provato un male talmente forte alla schiena che ancora adesso quando mi alzo dalla sedia e sento una piccola fitta mi metto a piangere e supplico il mio compagno di aiutarmi per paura di rimanere paralizzata. Forse sono stata traumatizzata dell’abbandono. Da una persona che ogni giorno lavora a contatto con le partorienti mi aspettavo qualche parola di conforto, che non è arrivata. Anzi. A un certo punto mi hanno frettolosamente appoggiato sul letto una borsa dell'acqua calda dicendomi "prova con questa”. Poi mi hanno fatto fare una doccia (fredda) per rilassarmi, ma mai una parola o un gesto gentile.
Per fortuna sono arrivate le 7 del mattino e al cambio turno è arrivata Selene, un’ostetrica che dopo otto ore di incubo è riuscita a farmi vedere la luce. Mi ha visto esausta, mi ha parlato, massaggiato, coccolato, mi ha dato colazione, mi ha portata in sala parto cosi abbiamo provato ad entrare in vasca per provare a rilassarmi, hanno deciso di far entrare il mio compagno e da li è veramente cambiato tutto. Mi hanno fatto l'epidurale per farmi passare il dolore e alle 17.07 di domenica è nata la mia principessa.
È grazie a lei se nonostante tutto ho un bellissimo ricordo del momento del parto. Tutti i lavori sono importanti, ma quello dell’ostetrica lo è in modo particolare, specialmente se dall’altra parte c’è una donna al primo parto e soprattutto in questo periodo difficile, dove i futuri papà non possono stare vicino alle mamme durante il travaglio. In questo lavoro non servono solo algidi professionisti, ma gente di cuore, persone che nel momento giusto sappiano dire una parola di conforto.
Ho scritto questa lettera come spunto di riflessione per chi lavora in ospedale, ma anche per ringraziare Selene ha alleviato le mie sofferenze e ha dato alla luce la mia bambina. Vi ringrazio anticipatamente per la pubblicazione,
Francesca
Dopo aver dato spazio alla lettera di Francesca abbiamo ricevuto la risposta di Andrea Puppo, direttore di Ginecologia e Ostetricia all'ospedale Santa Croce di Cuneo: a questo link le sue parole.