Un bilancio di 17 morti e 88 feriti, quattro inchieste, un processo durato 36 anni, nessun vero colpevole. Sono i numeri della strage di piazza Fontana, l'attentato dinamitardo che il 12 dicembre del 1969 colpì la Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano sconvolgendo l'Italia e che per molti segnò l'inizio dei cosiddetti “Anni di piombo”. Se n'è parlato ieri, venerdì 15 novembre, nella sala Blu del Centro Incontri della provincia di Cuneo, in uno degli appuntamenti di “Scrittorincittà” 2019: ospiti dell'incontro moderato da Gianfranco Maggi i giornalisti e scrittori Benedetta Tobagi e Gianni Barbacetto, che hanno presentato i loro libri su quello che è considerato da molti come l'evento simbolo della “strategia della tensione”. Un attentato che come detto è rimasto quasi impunito: nel giugno 2005 la Corte di Cassazione ha stabilito che la strage fu opera di un gruppo eversivo costituito a Padova nell'alveo di “Ordine nuovo”, capitanato da Franco Freda e Giovanni Ventura, che però non erano più perseguibili in quanto precedentemente assolti con giudizio definitivo dalla Corte d'assise d'appello di Bari. Gli esecutori materiali sono invece tutt'ora ignoti.
Ad introdurre l'incontro è stato il giornalista de “Il Fatto Quotidiano”, autore di “Piazza Fontana. Il primo atto dell'ultima guerra italiana” (Garzanti): “Oggi siamo quasi abituati, ahimè, ai grandi attentati, nel caso di piazza Fontana, invece, era la prima volta: l'Italia non aveva mai vissuto nulla del genere dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Per questo e per quello che venne dopo, dalla strage di piazza della Loggia a quella di Bologna, piazza Fontana lasciò un segno profondo in un'Italia che stava attraversando un momento particolare, fatto di rinnovamento economico, cambiamenti culturali e lotte operaie”. Benedetta Tobagi, figlia di Walter, giornalista assassinato da un gruppo terroristico di estrema sinistra nel 1980, ha invece presentato “Piazza Fontana, il processo impossibile” (Einaudi), un libro-inchiesta che entra nelle pieghe di un processo complesso, caratterizzato da continui depistaggi fin dalle prime battute: “Se leggeste libri stranieri sull'argomento, notereste che la parola “stragismo” non è tradotta, ma è riportata in lingua italiana. Questo perchè lo stragismo italiano ha avuto caratteristiche uniche, anche per quanto riguarda la copertura istituzionale e il coinvolgimento di apparati dello stato. Nel caso di Piazza Fontana l'Ufficio Affari Riservati del Ministero dell'Interno creò da subito una falsa pista “rossa” per ricondurre l'attentato a gruppi terroristici di estrema sinistra, mentre invece oggi sappiamo che la strage fu di matrice neonazista e neofascista. Le finalità erano politiche, si voleva evitare uno slittamento a sinistra della politica italiana. Anche per questo le indagini e i processi incontrarono percorsi tortuosi. Inoltre all'epoca negli “ingranaggi” dello stato, dalle Procure alle Questure, ancora lavoravano persone che si erano formate in epoca fascista. Furono tanti, tantissimi gli ostacoli, i depistaggi e le ingerenze che i vari magistrati incontrarono durante le indagini”.
Perchè a cinquant'anni dalla strage è ancora doveroso parlarne? “Per quanto mi riguarda – spiega Barbacetto – è importante smontare la retorica dei “Misteri d'Italia”. E' vero, nel nostro paese ci sono tutt'ora molte verità negate, ma questo a volte ci impedisce di dire anche le cose che in realtà sappiamo, come nel caso di piazza Fontana e delle altre stragi fino al 1980, che furono opera di gruppi neonazisti in stretto contatto con apparati dello stato. Piazza Fontana, piazza della Loggia, Italicus, Bologna: ritroviamo sempre gli stessi nomi, che poi tornano negli elenchi della P2”. Un'epoca, quella delle stragi e degli “anni di piombo”, che si inseriva in un quadro internazionale di una guerra “non ortodossa”, la Guerra Fredda: “Già negli anni '50 sui documenti delle organizzazioni di sicurezza americane si parlava chiaramente della volontà di arginare il comunismo, e l'Italia era uno dei paesi in cui il comunismo avrebbe potuto affermarsi democraticamente. In questo contesto si inseriscono le stragi da Piazza Fontana in avanti”.
Una pagina di storia controversa, insomma, inserita in una delle epoche più complesse dell'Italia repubblicana: a meno di un mese dal cinquantesimo anniversario della strage, come scrive Barbacetto nell'introduzione al suo libro, “raccontare resta un dovere per non dimenticare”.