Il cielo era sereno quella mattina e i rumori del traffico cittadino intorno all’altopiano giungevano attenuati. Siamo sul finire degli anni ’60 e un ragazzo di Genola, studente al liceo classico di Savigliano, sta passando davanti a Villa Tornaforte. È sul torpedone che, come ogni settimana, lo porta a Cuneo per andare in biblioteca, dove prenderà in prestito alcuni libri per i suoi studi. Ogni volta, passando da Madonna dell’Olmo, questo ragazzo ammira dall’alto dell’autobus la splendida villa nobiliare che si scorge tra gli alberi, circondata da un grande parco all’inglese. Quel ragazzo si chiama Domenico, ma oggi tutti lo conoscono con il soprannome che gli diedero da piccolo in famiglia, Nino. E Nino Aragno, tra le tante azioni da benemerito della cultura, quella villa l’ha acquistata. Non per farne un albergo o un ristorante stellato, ma per erigervi la sede di un centro culturale e artistico dal nome simbolico, “Humanities Forum”: con i suoi “Advanced Studies in Business Economics and Culture” sta portando a Cuneo alcuni tra i più importanti protagonisti dell’economia, delle arti e della scienza. “Per fare ragionamenti con la società civile - spiega l’editore - un laboratorio delle idee aperto a tutti e che, forse, potrebbe essere utile per la città”. Mentre lo dice traspare tutta la sincerità di un uomo che nella vita ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissato, ma adesso vuole mettersi al servizio di un’idea di società che sappia coniugare “valori civili e gusto per la bellezza dell’arte e della cultura”.
Ma andiamo per ordine. La villa, costruita su un antico convento agostiniano alla fine del XVIII secolo e utilizzata come residenza di campagna dai nobili cuneesi Tornaforte, è stata ceduta ad Aragno dalla famiglia Toselli solo nel 2020. Oggetto di vari passaggi di proprietà, compreso l’esproprio con l’arrivo delle truppe napoleoniche, l’edificio e il suo meraviglioso parco con laghetto erano in condizioni decadenti e solo grazie all’accurato e meticoloso restauro che Aragno ha seguito personalmente è tornata all’antico splendore. Le anonime pareti bianche hanno lasciato spazio agli affreschi con allegorie e scene di caccia, i pavimenti in cotto hanno recuperato la loro brillantezza originale e tante opere d’arte o arredi di design italiano valorizzano, nel rispetto dell’autenticità dell’immobile, le sale dei convegni.
Ma conosciamo meglio quel ragazzo che dopo gli studi in giurisprudenza a Torino, con professori di prestigio come Norberto Bobbio e Giuseppe Grosso, intraprende una carriera da manager nei settori della grande finanza e della sanità. Una professione preferita al più prevedibile destino da principe del foro perché, come dice lui stesso: “Per fare l’avvocato devi essere ricco di famiglia e io non lo ero. Quando l’ho capito ho cambiato percorso e ho scelto di diventare imprenditore”. Uomo schivo e riservato, elegante e cortese, Aragno ha accettato di incontrarci per raccontare i prossimi obiettivi del “laboratorio culturale” che, in punta di piedi, sta portando nel capoluogo della Granda importanti professionisti e intellettuali. Un filantropo conosciuto per l’intuito negli affari e per la sua grande cultura, ma che non ama l’ostentazione e per questo non si concede spesso alle interviste.
Da intellettuale appassionato delle arti, vede la cultura in collegamento col tessuto sociale di un territorio, come ci ha spiegato. Infatti, in pochi mesi a Cuneo, ha ospitato e fatto incontrare a chiunque fosse interessato, senza vie preferenziali, esponenti del mondo dell’economia e della politica come Domenico Siniscalco e Fabrizio Barca. E ancora l’imprenditore Antonio Gozzi, Antonio Patuelli, Stefano Quaglia, Camillo Venesio e Beppe Ghisolfi per il settore bancario, lo scultore Tony Cragg e il re del Barbaresco Angelo Gaja. Ma anche il mondo della medicina ha trovato spazio nelle sue sale con luminari di vari settori. Poche settimane fa si è svolta una tavola rotonda sulla televisione ai tempi di Angelo Guglielmi, con la figlia Annalisa, i nipoti e Piero Chiambretti, molto legato allo storico direttore di Rai3 scomparso solo pochi mesi fa. “Sono incontri aperti a tutti. Senza distinzioni - sottolinea Aragno -. Un’occasione per confrontarsi e per approfondire diversi argomenti. La sala accoglie al massimo 40 persone, è un luogo raccolto, un cenacolo culturale al quale dovrebbero partecipare solo quelli che nella vita si pongono domande. Ma non amo fare troppa pubblicità a questi incontri, non punto ai numeri. Punto al ragionamento”.
Un circolo letterario?
“Sì. In un certo senso. In molte città ci sono circoli culturali e di aggregazione, laboratori di idee aperti alla cittadinanza. Questo vorrei diventasse villa Tornaforte. E io mi ritengo semplicemente il custode, il manutentore della villa”.
Ma quali obiettivi si pone con questi laboratori?
“Queste attività non hanno nessun secondo fine, se non quello di far diventare questo luogo la casa degli spiriti liberi della città”.
Lei è un appassionato bibliofilo e raffinato cultore del bello in tutte le sue espressioni. Lo vediamo anche dalla cura dei dettagli e dall’arredo scelto. Sul fronte letterario ha fondato, nel 1999, la casa editrice Nino Aragno. Ha investito sulla carta stampata in anni nei quali l’editoria ha iniziato un lento e inesorabile declino. Coraggio o azzardo?
“L’amore e la passione per i libri sono il miglior terreno comune su cui far convergere, sensibilità diverse. Non è più l’epoca in cui si stampavano i libri per far soldi. Non era e non è questo il mio obiettivo. Conviene seguire la mia strada e fare soldi in altro modo, per poter stampare i libri. Pubblico pochi libri l’anno, volumi che amo curare nei minimi particolari e in maniera artigianale. Copertine sobrie e colori pastello. Non amo le copertine gridate. È un’attività culturale che amo definire ‘rinforzata’, perché il vero obiettivo che mi pongo è quello di recuperare il valore letterario e storico di un’opera senza pensare al profitto”.
Qual è allora il suo obiettivo?
“Qui invito la società civile per elaborare idee. Non voglio promuovere la casa editrice, intendo stimolare una nuova forma di cultura attiva e partecipata. Come le dicevo prima, vorrei che ad ogni incontro intervenissero solo persone realmente interessate ad approfondire certi temi, persone che si pongono domande e le pongono agli esperti presenti”.
Un libro che vorrebbe pubblicare e ancora le manca?
“Bobi Blazen, il più grande editore italiano occulto. L’uomo che ha permesso ad Adelphi di essere Adelphi”.
Il libro che ha sul comodino?
“Un libro irregolare ma elegante: Il sorbetto di Leopardi di Alberto Savinio. Un racconto molto divertente perché ironizza sulla golosità per i gelati di Leopardi e sulla morte per dissenteria. E poi ho alcuni libri che vorrei pubblicare, come gli scritti di Nikolaj Gogol e le lettere epistolari di Hegel”.
Perché ha scelto di realizzare questi importanti progetti creativi a Cuneo? E perché proprio in questa villa?
“Questo edificio ha quell’aria sobria, ineffabile e di mistero che mi ha sempre affascinato fin da quando studiavo al liceo di Savigliano. Il legame che ho con questo territorio è molto profondo, indelebile. Vorrei restituire alla mia provincia anche solo una piccola parte di quanto ho ricevuto”.