BENE VAGIENNA - In un libro i misteri di palazzo Perrone di San Martino, “cuore” della Fondazione CRT

Il volume è stato presentato dagli Amici di Bene, insieme al presidente Giovanni Quaglia: “Il rilancio del Piemonte passa per la valorizzazione della bellezza”

Andrea Cascioli 19/12/2021 17:57

Da quasi centoquarant’anni la splendida dimora gentilizia che fu dei Perrone di San Martino ospita il cuore pulsante della Cassa di Risparmio di Torino e, nell’ultimo trentennio, della fondazione bancaria succedutale.
 
Il palazzo sorge in via XX Settembre, a pochi passi da piazza San Carlo, ed è ricordato anche per essere stato sede dell’ambasciata di Francia presso la corte sabauda tra il primo Ottocento e l’unità d’Italia. Ora, per volontà della Fondazione CRT, un libro edito da L’Artistica di Savigliano ne omaggia la storia e le peculiarità artistiche. Il volume si intitola Palazzo Perrone di San Martino, da dimora nobiliare a sede della Fondazione CRT ed è stato curato dall’associazione culturale Amici di Bene, presieduta da Michelangelo Fessia. Proprio a Bene Vagienna si è tenuta sabato 18 dicembre la presentazione dell’opera, che si avvale dei contributi di Attilio Offman, Laura Facchin, Massimiliano Ferrario e Luca Mana, nonché di un suggestivo repertorio d’immagini raccolto dal fotografo di architettura Pino Dell’Aquila.
 
Il presidente di Fondazione CRT ed ex presidente della provincia di Cuneo, Giovanni Quaglia, ha portato agli organizzatori del convegno i saluti e il ringraziamento dell’ente: “Fa piacere che il libro venga presentato in questi giorni perché proprio in questo fine settimana il logo di Fondazione CRT illumina la Mole antonelliana, celebrando i trent’anni di vita dell’istituzione. Le fondazioni di origine bancaria sono 86 in tutta Italia, 11 si trovano in Piemonte: tra queste c’è la seconda a livello nazionale che è Compagnia di San Paolo, la terza ovvero Fondazione CRT e la settima che è Fondazione CRC. Credo che il Piemonte abbia potuto avviare tante operazioni di recupero del patrimonio culturale grazie a questo tessuto fondazionale. Il rilancio passa anche attraverso la valorizzazione di cultura e bellezza, un bene preziosissimo che aumenta tanto di più quanto più si suddivide”.
 
La pubblicazione ha richiesto agli autori un paio d’anni di ricerche, complicate dalla pandemia. Grazie alle indagini condotte dall’araldista Attilio Offman è stato possibile appurare che l’edificio, acquistato nel 1707 dal barone Carlo Filippo Perrone, era appartenuto in precedenza al casato mercantile dei Galliziano che lo abitarono tuttavia solo per un paio d’anni. Per ordine del duca Vittorio Amedeo II, infatti, i proprietari avevano dovuto affittare la dimora per ospitarvi gli emissari del re di Francia, fino alla rottura dell’alleanza con i Savoia. Solo un anno dopo l’assedio di Torino, episodio culminante della guerra di successione spagnola, il palazzo viene acquistato da una famiglia con radici nell’Eporediese e in valle d’Aosta, protagonista di un’importante ascesa economica in quel periodo: i Perrone, appunto.
 
Il loro emblema gentilizio riproduceva in origine uno scoiattolo, chiamato in piemontese pron. È ciò che si definisce un’“arma parlante”, ovvero uno stemma che allude al nome del casato. A partire dall’epoca del conte Carlo Francesco Baldassarre questa insegna verrà sostituita con quella dei San Martino, a significare l’avvenuto ingresso dei Perrone in un consortile della più antica nobiltà piemontese. Con Carlo Francesco Baldassarre, diplomatico e poi reggente degli affari esteri sabaudi, la residenza vive tra gli anni Trenta e Sessanta del XVIII secolo il suo massimo splendore. A lui si devono i principali lavori, curati dall’architetto doglianese Giovanni Battista Borra, un allievo del Vittone che il conte Perrone aveva conosciuto in Inghilterra negli anni Quaranta: oltremanica l’intraprendente emissario della monarchia subalpina cercherà perfino di creare una pionieristica associazione per la commercializzazione del vino piemontese.
 
L’ultimo passaggio di proprietà dell’immobile avviene nel 1883 quando la Cassa di Risparmio di Torino acquisisce l’immobile dalla famiglia Perrone. A partire dagli anni Settanta dell’Ottocento, la banca fondata nel 1827 è ormai cresciuta nel panorama finanziario tanto da inaugurare filiali in tutta Italia. Nella nuova sede il pianoterra viene rifunzionalizzato con l’apertura degli sportelli, ma a cavallo della prima guerra mondiale c’è chi pensa a un nuovo trasferimento in una sede costruita ex novo. Il palazzo però è ormai divenuto parte integrante della storia della banca, così la proposta viene rigettata. Nel 1929 si opta per una ricostruzione completa “in stile”, cui sovrintende l’architetto Chevalley: la ricostruzione viene completata nel 1933, con la ricollocazione degli elementi originari del palazzo.

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