Caporalato nelle Langhe, Slow Wine: "Continuare a minimizzare non fa bene a nessuno"
Sul portale della guida che fa capo a Slow Food una presa di posizione dopo i recenti fatti di cronaca: "Che qualcosa di strano potesse accadere (ancora) in Langa lo avevamo purtroppo annusato"“Continuare a minimizzare e a dire che si tratta di poche mele marce non fa bene a nessuno. In primis ai vignaioli seri e capaci”. Si conclude così l’articolo firmato da Giancarlo Gariglio sul portale di Slow Wine, “costola” di Slow Food dedicata al mondo del vino che realizza e pubblica l’omonima guida. Una presa di posizione pubblicata ieri, martedì 16 luglio, sul tema del caporalato. Un commento ai fatti degli ultimi giorni, proprio mentre in piazza Risorgimento ad Alba andava in scena la manifestazione organizzata dai sindacati dopo l’inchiesta “Iron Rod” condotta dalla Questura di Cuneo, che ha portato alla luce casi di sfruttamento e violenze nei confronti dei braccianti in alcuni centri delle Langhe.
Si legge nell’articolo: “Che qualcosa di strano potesse accadere (ancora) in Langa lo avevamo purtroppo annusato. Per questo avevamo fatto qualche telefonata ai vignaioli per informarci, anche se un po’ tutti ci avevano assicurato che dopo i fatti legati al caporalato del 2015, la situazione era migliorata. L’impressione era che le aziende fossero in affanno, cominciando a scarseggiare la manodopera tra i filari, al punto che alcune di esse hanno scelto di uscire dal regime biologico, formalmente solo per problemi legati al clima impazzito e alla flavescenza. In seguito alla pandemia molti cittadini stranieri, in particolare macedoni e rumeni, hanno fatto ritorno ai paesi di origine, senza farsi più rivedere in Piemonte. Da non trascurare, poi, il fenomeno della concorrenza rappresentata da altre aziende tedesche e francesi, disposte a pagare di più e a offrire servizi migliori rispetto ai nostri”.
“Lo sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, il caporalato, la violenza delle aggressioni come quelle segnalate dalle forze dell’ordine in questi giorni – commenta Federico Varazi, vicepresidente di Slow Food Italia – non sono assolutamente giustificabili. Mai! Né laddove la produzione vitivinicola rende troppo poco, né tanto meno dove ettari di vigna spuntano prezzi spropositati come nei territori più pregiati delle Langhe. Ora, oltre che una rapidità nelle indagini e nel giudizio dei colpevoli, ci aspettiamo una levata di scudi da parte dei produttori di vino, che non devono più tollerare comportamenti di questo tipo che ledono la loro immagine, creano concorrenza sleale e ci riportano a pratiche medievali inumane e intollerabili. Chiediamo che i consorzi di tutela interessati prendano le distanze in via definitiva e irreversibile da tutte quelle cantine che verranno ritenute responsabili di questo ennesimo caso di vile sfruttamento lavorativo”.
Quella che serve, secondo l’autore dell’articolo, è una vera e propria “rivoluzione culturale” che ad oggi stenta a vedersi: “Negli ultimi dieci anni la viticoltura di Langa si è incredibilmente arricchita e soprattutto rinnovata, con investimenti importanti e un’attenzione maniacale nella gestione delle campagne, anche assumendo agronomi e consulenti di grido. Non ci pare che sia stato fatto molto, al contrario, per far sì che le persone che tengono in piedi la viticoltura di questo territorio, ovvero gli stranieri, siano maggiormente integrate nel tessuto economico e sociale di questo territorio. Insomma non è partita la rivoluzione culturale che tanto auspicavamo e che poteva (e doveva) ridisegnare l’intero settore”.
“Noi appassionati di vino abbiamo poi una responsabilità non di poco conto. Dobbiamo cominciare a valorizzare, al pari della bontà del prodotto e della sua sostenibilità, anche l’eticità delle cantine, premiando quelle che creano progetti sociali, offrono case ai dipendenti, incentivano l’assunzione degli stessi. La trasparenza in questo campo deve diventare un pilastro su cui fondare la viticoltura di Langa dei prossimi vent’anni”, conclude l’articolo.
Redazione
ALBA caporalato