Diageo, una ex dipendente: "L'azienda ci ha traditi. Santa Vittoria ripartirà dalla solidarietà rurale"
L'amara riflessione di una ex lavoratrice dello stabilimento albese: "A ferire e offendere sono i modi e le ragioni di questa decisione"Riceviamo e pubblichiamo.
Qual è il segreto di Santa Vittoria? Ce n'è uno raccontato in un film di Stanley Kramer del 1969 con un cast d'eccezione che annovera tra gli altri Anthony Quinn, Anna Magnani, Virna Lisi, Renato Rascel, Giancarlo Giannini e Leopoldo Trieste. Questa commedia si ispira a un episodio realmente accaduto nel piccolo paesino piemontese di Santa Vittoria d’Alba durante la Seconda guerra mondiale. Qui c’erano le cantine della Cinzano e questo lo sapevano anche i nazisti, che un giorno arrivarono in paese alla ricerca proprio del vino. Ma gli abitanti del posto, temendo l’arrivo dei tedeschi, riuscirono a nascondere un milione di bottiglie, dietro un muro costruito appositamente in una grotta, lasciandone solo una parte nella cantina sociale, da dare ai nazisti per non farli insospettire.
Perché questa storia mi torna in mente oggi? Perché rende onore alla solidarietà rurale. Tutti in paese sapevano del muro e di cosa nascondesse. Dal sindaco al parroco, dall’ostetrica al bidello. Ma nessuno parlò.
Santa Vittoria d'Alba e la ex Cinzano, ora parte del gruppo multinazionale Diageo, sono balzate di nuovo agli onori della cronaca. A fine novembre la multinazionale britannica operante nel settore delle bevande alcoliche ha annunciato la chiusura dell'unico sito italiano nonché unico stabilimento produttivo nel sud-Europa, lasciando a piedi almeno 349 persone e producendo a cascata effetti negativi sull'economia del territorio e sull’indotto che gira attorno a una realtà di queste dimensioni. Una doccia fredda per i modi e i tempi con cui tutto questo è avvenuto.
Ho lavorato per Diageo a Santa Vittoria d’Alba per quasi un decennio e per ragioni personali, qualche anno fa, ho lasciato il gruppo per perseguire un’altra opportunità lavorativa. Per me e per molti altri, rimane “casa”. La Cinzano è lì da oltre due secoli e ha saputo inventarsi, reinventarsi, tenere il passo con i tempi, nutrire e arricchire un territorio, innovare, essere eccellenza tecnica e produttiva. A sorprendere non è la scoperta che nulla sia eterno e che le crisi possano colpire anche i colossi multinazionali, ma a ferire e offendere sono i modi e le ragioni dietro a questa decisione. Non è una risoluzione sofferta e ormai inevitabile frutto di una lunga crisi, è una delocalizzazione. È una decisione “strategica” presa per minimizzare i costi e massimizzare il profitto, ancora una volta. Sorprende? Forse sì ingenuamente, perché questa volta è toccato a “noi”. Ma se mi fermo a riflettere, è quello che ho visto fare a Diageo dal giorno in cui sono entrata. Diageo riorganizza periodicamente, taglia, delocalizza, va dove costa sempre meno e non distingue tra costo dei materiali e costo del personale. Comprare un chilo di zucchero o la vita di una persona non fa differenza.
A Santa Vittoria d’Alba lavorano talenti, persone esperte, quella che chiamavamo con un sorriso la “vecchia guardia”, detentrici di saperi antichi e del saper stare al mondo. Da loro ho imparato l’etica del lavoro e un calore umano che ancora mi resta addosso, ma che ora lascia il posto a rabbia e delusione. Quando abbiamo permesso che ci abituassimo a logiche simili? A multinazionali che possono arrivare, prendere tutto quel che c’è, sfruttare senza restituire nulla ai territori e alle persone da cui hanno attinto? Può un’azienda lasciare dietro sé disastri scegliendo di andare via nel momento in cui non è più conveniente restare e si dovrebbero fare investimenti e scelte con un ritorno a lungo? Che modo di fare impresa è? Un’azienda sana dovrebbe creare valore e ricchezza capaci di durare nel tempo e dovrebbe essere culla per diversità, cultura e innovazione. Come si può fare distinzione tra lavoratori e consumatori? Come si possono prendere decisioni affidandosi prevalentemente a consulenti esterni o a stategy team che sanno proporre un’unica soluzione, spesso miope: tagliare i costi per massimizzare il profitto a breve. Quali basi si stanno gettando, come comunità, per rendere solido e inclusivo il futuro? Una incapacità della classe dirigente aziendale unita a una mancanza di coraggio e a un piano a lungo hanno prodotto e produrranno ancora mostri. La chiusura di un sito produttivo che era fino all’altro ieri un’eccellenza premiata più volte a vari livelli è un fallimento dirigenziale il cui conto lo pagheranno 350 famiglie.
Diageo, tu ci hai insegnato a essere "proud of what we do", hai predicato "diversity and inclusion", hai introdotto il "parental leave" anche per i padri, la cultura del "people at the heart", e poi? E poi le tue scelte non assomigliano neanche un po’ agli slogan con cui ti sei riempita la bocca.
Se un minimo potere è lasciato nelle nostre mani, questo è il potere di acquistare, di far sentire la nostra voce attraverso le nostre abitudini di consumo. Si consuma per sostenere e finanziare o si sceglie di non consumare determinati prodotti per boicottare un’idea di business. Diageo, a malincuore, ma da domani non mi annovererai più tra i tuoi consumatori e non mi farò più ambasciatrice dei tuoi prodotti. Sarà uno sciopero silenzioso, un boycotting in piena regola. Noi siamo figli di una terra difficile e aspra, la terra della malora, di una tradizione antica e lenta di contadini. Siamo abituati a seminare e curare un raccolto di cui probabilmente non coglieremo i frutti. Abbiamo i piedi ben piantati nella terra e la testa rivolta al futuro, a chi verrà dopo di noi. Viviamo nella culla dello slow food, siamo cresciuti chiedendoci se quello che facciamo e consumiamo sia buono, pulito e giusto. Ci hai feriti, traditi, umiliati. Fa male. Ma da qui ripartiremo, dalla solidarietà rurale. Questo è il segreto di Santa Vittoria.
Una ex dipendente dello stabilimento Diageo di Santa Vittoria d'Alba
Redazione
SANTA VITTORIA D'ALBA Diageo