Il “partigiano Oscar” visto da Report: dall’ascesa di Eataly al flop annunciato di Fico
Nel servizio della trasmissione di Rai Tre le interviste a Livio Berardo, Carlo Petrini e Pierino Sassone. Farinetti risponde e confessa: “Le ho sempre sparate grosse”Un ritratto in controluce di quasi un’ora, dai natali partigiani nelle Langhe alla vendita di Unieuro, dalla nascita di Eataly alla cavalcata a fianco di Matteo Renzi, fino al progetto - fallito - di creare una “Disneyland del cibo” alle porte di Bologna, la ex Fico ora ribattezzata Grand Tour Italia.
Report dedica nell’ultima puntata un servizio a Oscar Farinetti, intervistando anche diversi cuneesi. Il primo è lo storico Livio Berardo, ex presidente dell’Istituto Storico della Resistenza, che rievoca un episodio della storia familiare dei Farinetti. Si tratta della famosa rapina del 23 maggio 1946 all’autoambulanza che trasportava, di nascosto, le buste paga degli operai della Fiat Ferriere. Per quella vicenda vennero condannati tre partigiani matteottini, esecutori materiali del “colpo”, e il loro commissario politico, accusato di ricettazione. Quell’uomo era il “comandante Paolo”, all’anagrafe Paolo Farinetti: “Fiat - ricorda Berardo - chiese una restituzione del denaro entro dieci anni. Tenendo conto che l’inflazione in quel periodo fu quasi del 100%, sostanzialmente si trattò di un prestito a fondo perduto”.
L’ombra della speculazione immobiliare sui terreni di Fico
È l’unico fatto, per la verità, su cui il figlio di Farinetti rifiuta ogni commento. Per il resto l’imprenditore non si sottrae a nessuna delle domande poste dagli autori del servizio, intitolato “Il partigiano Oscar”. Tra battute e saggi pratici di furbizia langhetta, l’ex patron di Eataly racconta la sua verità anche su Fico. Doveva fare sei milioni di visitatori all’anno, non c’è mai andato vicino: “Io le ho sempre sparate grosse” ammette. “Un investimento da 180 milioni che si reggeva su una bugia” commenta Sigfrido Ranucci, il conduttore della trasmissione d’inchiesta di Rai Tre. “Non ho convinto nessuno a investire, non mi sono mai occupato di quello. Mi hanno chiamato diverse volte a gasarli, questo sì” dice Farinetti. Giura anche che nessuno ci ha messo denaro pubblico, ma non è proprio così.
La “fabbrica italiana contadina” apre i battenti nel 2017 su centomila metri quadrati di terreno concessi gratis dal Caab (Centro Agroalimentare di Bologna), società partecipata all’80% dal Comune di Bologna. Il Caab, indebitato con l’amministrazione cittadina, sistema i bilanci grazie alla supervalutazione dei terreni (valutati quasi 60 milioni di euro). Un investimento di 15 milioni arriva da Coop Alleanza 3.0, la maggiore realtà italiana della grande distribuzione. Poi ci sono i soldi degli investitori privati, arrabbiatissimi. Daniele Ravaglia, capocordata degli investitori bolognesi, dice: “Il grande imprenditore Farinetti ci ha messo pochissimo. Dal punto di vista finanziario ha impegnato un milione di euro su 100 milioni e rotti. Ha fatto il progetto e poi ha detto andate avanti, che a me scappa da ridere”. Anche l’ex rettore dell’università ed ex presidente di Carisbo Fabio Roversi Monaco ammette che quei soldi sono arrivati perché c’era stata una forte spinta politica dal Partito Democratico. Il leader, all’epoca, era Matteo Renzi, che presentò così Farinetti alla platea della Leopolda nel 2013: “Oscar è uno di quelli che ci indicano la strada”. Lui non rinnega l’amicizia col rottamatore: “Mi è stato utile? Per nulla. Si potrebbe dire paradossalmente che mi ha danneggiato”.
Il sindaco Matteo Lepore, che era assessore quando il progetto cominciò a raccogliere adesioni, si giustifica ricordando gli oltre 200 giornalisti stranieri convocati per la presentazione negli Stati Uniti. Nessuno aveva fatto la domanda fondamentale, ovvero: come mandare avanti la baracca? E anche gli enti pubblici hanno scommesso le loro fiches e perso: l’azienda pubblica di trasporti dell’Emilia Romagna aveva realizzato apposta la linea F, una navetta dalla stazione centrale a Fico. Un investimento da 4 milioni, tre dei quali a carico della Regione: in media salivano sei persone, su un mezzo che ne poteva contenere centocinquanta.
Ora il sospetto è che l’ex Fico si possa convertire in un’enorme speculazione immobiliare. Alleanza 3.0 ha ceduto a Farinetti - al prezzo simbolico di 1 euro - le sue quote di Fico, pari al 50%. Ma è rimasta nel fondo Pai che è proprietario dei terreni: la “cassaforte” dell’intera operazione. Il fondo è governato da Prelios, colosso della gestione immobiliare con un patrimonio di oltre 40 miliardi finito di recente nella galassia di Andrea Pignataro, il secondo uomo più ricco d’Italia. “Su questi terreni confluiti in un fondo di investimento - sostiene Report - si trova la chiave per la salvezza degli investitori che hanno bruciato i capitali con Fico: in quest’area sarebbe prevista un’importante operazione immobiliare, con la costruzione di 2.500 nuovi alloggi. Nella stessa zona verrà costruito lo stadio temporaneo del Bologna, così il valore immobiliare potrebbe nuovamente schizzare alle stelle”.
Il “caso” Expo 2015, Sassone accusa: “Indagini dopo l’esposto contro Farinetti”
Ci sono anche due vicende con risvolti cuneesi, già note, tra quelle ripercorse dai cronisti di Rai Tre. Una riguarda l’acquisizione di Acqua Lurisia da parte di Coca Cola, nel 2019. L’origine di un dissidio non più ricomposto tra Farinetti, artefice dell’operazione, e il suo ex mentore Carlo Petrini: “Metto la Coca Cola tra le multinazionali più etiche che ci sono” assicura il “partigiano Oscar”. “Eataly non ne ha mai venduto una bottiglia nei suoi supermercati” ribatte Ranucci.
Un po’ diverso è il caso dell’Expo 2015 di Milano, per il quale Farinetti si aggiudicò la gestione dei venti ristoranti nel Padiglione Italia senza nessuna gara: il presidente del consiglio era Matteo Renzi, il commissario straordinario Giuseppe Sala, futuro sindaco di Milano. Gli anni della sinistra “expottimista”. “Hanno fatto i bandi e sono andati tutti deserti, a questo punto ci si siamo parlati noi” dice l’ex patron di Eataly nell’intervista. Ricorda male: ci fu anche un richiamo ufficiale dall’autorità nazionale anticorruzione di Raffaele Cantone all’allora commissario Sala, dove si lamentava che Expo si fosse sottratta alla gara informale prevista dalla legge nonostante fosse stata puntualmente invocata dal consiglio di amministrazione. La vicenda si è poi conclusa con un’archiviazione da parte del gip, resta però un fatto: “Sala - ricorda Ranucci - ha assicurato a Farinetti condizioni particolarmente vantaggiose, soprattutto se paragonate a quelle imposte agli altri ristoratori a cui si chiedeva il 12% sugli incassi. A Farinetti solo il 5%”.
Tra gli altri ristoratori c’era il saluzzese Pierino Sassone, presidente della scuola di cucina Icif e titolare del Le Quattro Stagioni. Durante l’Expo aveva curato i padiglioni di Bahrein, Angola, Argentina, Colombia, Israele e Messico. Avrebbe voluto concorrere anche per la gestione dei ristoranti del Padiglione Italia, dice a Report, ma non gli fu concesso. Per questo presentò un esposto all’autorità anticorruzione: “A pochi mesi dalla fine dell’Expo ci siamo trovati con una verifica fiscale a tappeto”. Nell’indagine, durata due anni e finita nel nulla, si parlava di “attività soggettivamente inesistenti”: “Come fossimo stati una grande cartiera”. Poi arrivò una contro indagine della Procura di Asti e la verità fu ristabilita. Anche su Expo Farinetti ha la sua verità: “Abbiamo fatto 40 milioni e pagato due milioni di euro di affitto: è andata bene per l’Expo, è andata bene per me, è andata benissimo per i ristoranti”.
Andrea Cascioli
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