Altro che “modello Cuneo”: “Questa città non è un capoluogo”
L’ex sindaco Menardi vede una città senza più ambizioni, così come i suoi vecchi “nemici” Boselli e Sturlese: “La politica è sparita, insieme ai partiti”Tre antichi avversari attorno a un tavolo, a parlare del “come eravamo” ma anche di dove stiamo andando. Un paio d’ore di confronto politico, cosa che, tocca ammetterlo, a Cuneo e non solo a Cuneo non capitava da un sacco di tempo. Forse perché sulla politica, appunto, c’è rimasto proprio poco da dire.
E allora tocca riavvolgere il nastro. Lo hanno fatto in un uggioso lunedì pomeriggio l’ex sindaco e senatore Beppe Menardi, nato come democristiano di rito sartiano e poi passato alla destra, l’ex vicesindaco (di un’altra giunta) Giancarlo Boselli, socialista lombardiano in gioventù, poi pidiessino, sostenitore deluso di Borgna e oggi leader degli Indipendenti, e l’inossidabile Ugo Sturlese, dodici anni da consigliere e capogruppo del Pci tra gli anni Settanta e Ottanta, poi il ritorno alla medicina ospedaliera, ora - a quasi 85 anni - la seconda giovinezza tra i banchi dell’opposizione di sinistra, quella di Cuneo per i Beni Comuni. Il rischio di cadere nell’amarcord puro e semplice, in questi casi, è sempre presente: a rimettere un po’ in riga gli oratori c’era perciò il principe dei notisti politici della Granda, Giampaolo Testa, in veste di moderatore.
“Cuneo è ancora capoluogo di provincia?” era il tema di partenza. Domanda retorica, si capisce subito: “Cuneo ha perso tutte le occasioni per diventare capoluogo” dice sconfortato Menardi, e aggiunge che “nessuno dei cuneesi si è impegnato per mantenere il ruolo che istituzionalmente gli è stato conferito”. Da sindaco, nei primi anni Novanta, il suo sogno era quello della “Grande Cuneo”, che poi avrebbe dato il nome alla lista civica: “Avevamo un’ambizione grandiosa, certo superiore alle nostre possibilità: volevamo che Cuneo, insieme a Nizza, diventasse il riferimento non solo di questa provincia ma delle Alpi Marittime”. Cuneo come “retroterra della Costa Azzurra”, anche economico: “A Nizza c’è una realtà come Sophia Antipolis che crea più di mille nuovi posti di lavoro all’anno e ha un Pil da 6 miliardi: lì hanno sede le più grandi multinazionali del pianeta. All’epoca queste sedi si sarebbero potute aprire anche a Cuneo, ma c’era bisogno di collegamenti sicuri”. Che non arrivarono mai, tant’è che adesso rimpiangiamo anche la vecchia e tortuosa strada del Tenda: “Cuneo era il luogo ideale, ma quel presidente che parlava di ‘modello Cuneo’ mi chiedeva cosa andassi a fare a Nizza, dove non potevo prendere voti”. Il nome del presidente Menardi lo tace, ma la stoccata a Giovanni Quaglia arriva in punta di fioretto.
Già, il famoso “modello Cuneo”: che fine ha fatto? Qui l’ingegnere ci va giù senza sconti: “È uno slogan retorico che è stato utilizzato da molti perché faceva gioco: una fantasia che si è riusciti a far passare all’opinione pubblica”. Ma il problema non è Alba, assicura, anzi. Anche l’idea della provincia a due velocità, secondo Menardi, va riconsiderata: “Alba non è mai stata prevalente, sia economicamente sia culturalmente, rispetto a Cuneo ma anche ad altre realtà. Ha il traino straordinario della Ferrero, ma se si spacchetta il pil provinciale ci si accorge che, tolta la Ferrero, il suo apporto è molto ridotto”.
Su quali siano le colpe più gravi degli attuali amministratori, tutti i presenti concordano: troppi progetti col respiro corto, pensati per dare un ritorno “qui e ora”, pochissima voglia di programmare. Troppe sagre e poca presenza nelle stanze dei bottoni, anche. Non sarà un caso, azzarda Testa, se una volta estinte le sezioni dei partiti sono rimaste solo le pro loco come bacino da cui attingere candidati. “C’è una disgregazione totale tra lo Stato e la politica, una discrasia diventata enorme perché i partiti non ci sono più” dice il “bianco” Menardi, trovando in perfetto accordo la sua nemesi, il “rosso” Sturlese: “Il tema è anche quello della forma che ha assunto la politica: una governance ibrida, dove la struttura dei comuni si è molto indebolita e governano quelle che chiamo le reti del consenso”. Queste “reti” sono le lobbies del mattone, della grande distribuzione, della cultura: “Lo si vede in vicende come Tettoia Vinaj, piazza Europa o l’ospedale”. Questa, aggiunge l’ex primario, “è la struttura della pseudodemocrazia in cui viviamo: fondata su rapporti diretti ma tutti personali, non politici”.
Sul passato Sturlese è anche meno indulgente degli altri: “Che Cuneo sia mai stata capoluogo di provincia effettivamente è discutibile. Probabilmente c’è stata un’egemonia di Cuneo a livello di partiti che avevano il governo, con i Sarti e i Mazzola che erano personaggi dominanti in provincia. Ma l’ente locale in quanto tale non è mai stato dominante”. Boselli, allo stesso modo, mette insieme la crisi del comune e quella della politica: “Cuneo sta via via perdendo il suo ruolo di capoluogo di provincia: il fatto avviene in parallelo a una crisi fortissima dei partiti. Alle ultime elezioni amministrative, su 100 elettori cuneesi solo 30 hanno votato i partiti nazionali”. Il fondatore degli Indipendenti cita a riprova della crisi il tema del controllo politico sulle società partecipate, dall’Acda all’Acsr al Miac: “Il sindaco dovrebbe dettare la politica a queste società che invece sembra vivano vita a sé. Sull’acqua, nella gestione di Cogesi, ATO e Acda ci sono tre segretari di partito che stanno rischiando la perdita di finanziamenti da 15-20 milioni di euro per la città”.
Poi c’è la partita sul biodigestore di Borgo San Dalmazzo: “Noi non siamo contrari a quella tecnologia in sé, ma se a una città con un bacino da 10mila tonnellate si vuole dare un biodigestore che, per essere in pareggio, dovrebbe smaltirne 60mila, è evidente che qualcosa non va”. E i rapporti con il territorio circostante? Di male in peggio, per l’ex vice di Valmaggia: “Quando Menardi era sindaco il rapporto col comune di Nizza era importantissimo. Quest’anno ci sarà il sessantesimo del gemellaggio e non se n’è ancora parlato”.
Andrea Cascioli
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