Arriva dal Belgio la soluzione per “il caso” di corso Giolitti?
L’esempio di Mechelen potrebbe essere la strada da seguire per favorire l’integrazione e aumentare la percezione di sicurezzaPubblicato in origine sul numero del 7 luglio del settimanale Cuneodice - in edicola ogni giovedì:
“Gli abitanti sono passati dal mugugno alla protesta aperta. Erano in tanti l’altra sera: hanno gremito la sala e per oltre due ore si sono sfogati a denunciare i ‘guai’ della zona. Alcuni di questi, i più evidenti, erano già elencati in una specie di scheda referendum preparata dal comitato promotore dell’assemblea, altri - minori, ma non meno rilevanti - sono venuti fuori dai numerosi interventi. Aree verdi, viabilità e parcheggi, pavimentazione delle strade, disservizi, degrado ambientale, prostituzione e droga. Problemi di tante città di fronte ai quali Cuneo sembra del tutto impreparata”.
Corso Giolitti? Via Silvio Pellico? Via Meucci? No, a indire un’assemblea per denunciare le criticità del quartiere sono stati gli abitanti del centro storico. Per completezza d’informazione va detto che sono passati più di 32 anni (l’attacco dell’articolo è preso dall’edizione de “La Stampa Cuneo” del 18 maggio 1989) e che l’articolista concludeva con una considerazione: “La gente si sente abbandonata e il centro storico si allontana sempre più dall’altra Cuneo, quella che si spinge verso Borgo San Dalmazzo”.
Dopo tre decenni la situazione appare invertita. Dopo la pedonalizzazione di via Roma e il piano di recupero delle facciate la parte antica della città ha ritrovato lo smalto perduto, attirando investimenti e tornando ad essere il fulcro della vita sull’altipiano, mentre altri quartieri, che sino a qualche anno fa erano in rampa di lancio, hanno perso il loro fermento tra desertificazione commerciale e degrado urbano.
Un fenomeno che interessa parzialmente la parte alta della città - nella zona di corso Nizza alta e piazza della Costituzione -, che attende i benefici di un’opera costosa quanto impattante come il parco Parri, oltre alle migliorie alla viabilità e all’arredo urbano che hanno interessato corso Francia. Interventi che forse non saranno risolutivi, ma che abbinati ad altre proposte potrebbero rilanciare la zona. Più critica, per molti versi, la situazione nei quartieri intorno alla Stazione, caratterizzati da una forte presenza di cittadini stranieri. Qui il malessere dei residenti è più evidente e palesato in diverse occasioni. L’ultima il 12 giugno in occasione delle elezioni amministrative. Il candidato sindaco Giancarlo Boselli, che in campagna elettorale aveva puntato molto sull’evidenziare il disagio dell’area e la percezione di insicurezza che si respira nella zona, aprendo addirittura la propria sede elettorale in via Meucci, ha sfondato il 20% dei consensi.
Un canovaccio che si è ripetuto il 26 del mese scorso, in occasione del ballottaggio tra Patrizia Manassero e Franco Civallero. L’attuale sindaca ha sì battuto il suo avversario anche nel seggio in cui votano i cittadini di quell’area, ma con una delle percentuali più basse. Anche il centrodestra, nei giorni che hanno preceduto il secondo turno, ha proposto soluzioni radicali, parlando di “pulizia della zona” in riferimento allo spaccio di droga e al consumo smodato di alcolici sulle panchine di piazzale Libertà. Praticamente un residente su due - almeno tra quelli che si sono recati al voto, degli altri non abbiamo notizie - pensa che la situazione vada risolta in modo “muscolare”.
A dire il vero ad avere contezza del problema in fase di propaganda elettorale è stata anche la confermata maggioranza, tant’è che il Partito Democratico - per dare un segnale alla cittadinanza - ha candidato come capolista l’ex questore Pino Pagano. Per lui la prova delle urne non è andata benissimo - ha raccolto solamente preferenze (per entrare in Consiglio gliene sarebbero servite almeno quattro volte tanto, n.d.r.) -, ma è probabile che, al netto dello scarso consenso ottenuto dall’ex capo della Polizia, la GroBe Koalition della Manassero porti avanti le sue proposte: vale a dire l’istituzione di un osservatorio sulla sicurezza che coinvolga associazioni di categoria, sindacati e terzo settore, oltreché dei rappresentanti di quartieri e frazioni. Osservatorio o meno, è certo che l’azione della nuova sindaca di Cuneo, insediatasi lunedì scorso, dovrà passare per il cosiddetto quadrilatero della Stazione. Le soluzioni portate avanti nella prima consiliatura, al netto dei limitati strumenti in mano all’amministrazione comunale in questo campo, sono state apprezzate, ma pur migliorando la situazione - come testimoniato da una serie di interviste a cittadini e commercianti del quartiere pubblicata su queste colonne qualche settimana fa -, non sono state risolutive. L’apertura di una sede distaccata della Polizia Municipale e il forte investimento sul progetto La Boa, ovverosia l’aumento di un controllo “educativo”, più che sanzionatorio, e una serie di iniziative per favorire l’inclusività e l’integrazione sono state un tentativo ritenuto da alcuni troppo debole.
Quale potrebbe essere il modello a cui guardare per dare una svolta ed evitare il tracollo forse sperato dagli uccelli del malaugurio? Da qualche settimana nelle chat dei gruppi di maggioranza circola un servizio di qualche anno fa sulla città di Melenchen, in Belgio, considerata un esempio virtuoso in Europa e nel Mondo per la capacità di integrazione dei “nuovi cittadini”. Intendiamoci, la capitale dei Paesi Bassi nel Cinquecento, nota anche con il nome francese Malines, pur non essendo molto più grande di Cuneo (ha circa 80 mila abitanti, n.d.r.) all’inizio del secolo è stata interessata da problematiche ben più gravi di quelle che si respirano dalle nostre parti, come il proselitismo delle organizzazioni terroristiche islamiche e un alto tasso di microcriminalità.
Inoltre ha un tessuto particolare: nella città belga convivono 136 nazionalità, si parlano 69 lingue diverse e ci vivono circa 20mila musulmani, più che in Ungheria e Slovacchia messe insieme. Un dato di fatto è che nel giro di vent’anni Melenchen ha cambiato volto, tant’è che il tasso di reati di strada è calato dell’84%, e la città è passata dall’essere una delle più sporche delle Fiandre a una delle più pulite. Com’è stato possibile? Molto del merito è da attribuire al sindaco Bart Somers, che ha saputo trasformare la città in un luogo chiuso su se stesso e ostile al diverso in un vero e proprio modello di integrazione. Eletto nel 2001, constatò che gran parte della cittadinanza aveva una serie di pregiudizi nei confronti degli stranieri, visti prevalentemente come spacciatori o come ladri. Alle elezioni in cui fu premiato Somers, da noi inquadrabile politicamente come un liberista di centro (è anche leader nazionale del partito Open Vlaamse Liberalen en Democraten, che in Europa aderisce all’ALDE, n.d.r.), il partito identitario di estrema destra Vlaams Belang prese il 32% dei consensi.
Che cosa ha fatto il primo cittadino belga? Somers è riuscito a puntare sull’integrazione facendo sì che le persone si incontrassero e si conoscessero tra loro, convinto che quando si frequenta quotidianamente qualcuno diventa difficile identificarlo come un “nemico”. Per concretizzare quella che potrebbe apparire come una soluzione all’acqua di rose, il sindaco ha puntato molto sulle soluzioni abitative, incentivando il trasferimento delle persone più giovani e all’inizio della propria carriera lavorativa in aree più periferiche della città, tradizionalmente abitate da immigrati. Una serie di misure sono state applicate facendo sì che gli stranieri che vivevano in quei quartieri potessero acquistare più facilmente casa piuttosto che stare in affitto, incentivandole a restare e integrarsi. Nei quartieri più periferici della città, insomma, la mescolanza tra popolazione immigrata e popolazione autoctona è stata in qualche modo obbligata, “forzando” la convivenza. Nella cittadina belga c’è un programma per cui ad ogni persona immigrata viene affiancato un abitante locale, così da entrare in sintonia con il modo di vivere del posto e imparare la lingua, aspetto, quest’ultimo, ritenuto fondamentale per l’integrazione.
Tutto qui? Non proprio. Alla carota, come vuole la tradizione, è stato abbinato il bastone. Somers ha investito molti soldi nella polizia, assumendo più personale, e nella videosorveglianza - Mechelen è ora la città del Belgio con il più alto numero di telecamere a circuito chiuso. L’assunzione di nuovi agenti non è però stata volta a dare prova di securitarismo. Al contrario il sindaco ha chiesto agli agenti di polizia, ove possibile, di non presentarsi per strada armati o con i giubbotti antiproiettili, ma di integrarsi nel tessuto sociale della città puntando più sulla prevenzione che sulla repressione. Fermo restando che “quando ce vo’, ce vo’”.
Resta un’incognita. Il modello Melenchen può essere importato a Cuneo per risolvere problematiche sì minori, ma che creano disagio ai residenti di un quartiere della città? Va detto che in Italia i sindaci hanno poteri limitati rispetto agli omologhi del Belgio e riproporre in toto il programma attuato da Somers sarebbe forse eccessivo dato il contesto. L’esperienza belga può però rappresentare un punto di partenza per ispirare la nuova sindaca Patrizia Manassero a porre in essere politiche che possano risolvere in maniera definitiva il “caso” del quartiere della Stazione di Cuneo.
Samuele Mattio
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