Cinque anni dal Covid, Del Bono: "Abbiamo una grande sanità, lo dimostrammo anche allora"
Il primario di Malattie Infettive del "Santa Croce e Carle" ricorda le prime fasi della pandemia: "Un'esperienza umana fortissima e tragica"Cinque anni fa, in questi giorni, anche la Granda iniziava a toccare con mano gli effetti dalla pandemia da Covid-19. Il 6 marzo i primi casi in provincia, il 10 la prima vittima. Nel frattempo, la sera del 9, era entrato in vigore il decreto “Io resto a casa”: entravano a far parte del vocabolario quotidiano termini oggi ricordati sinistramente come “quarantena”, “distanziamento”, “lockdown” e altri ancora. Mentre l’Italia era chiusa in casa, negli ospedali gli operatori sanitari si ritrovavano a combattere contro un nemico nuovo, sconosciuto: una battaglia da condurre talvolta “a mani nude”, considerate la carenza di dispositivi di protezione e le incertezze sulle giuste terapie da seguire.
“Furono giorni indimenticabili, per certi versi. Eravamo alle prese con qualcosa di sconosciuto, con un clima di incertezza e con notizie che si susseguivano in maniera caotica. Un’esperienza umana fortissima, ma anche tragica, per tutti i morti che ci sono stati”, ricorda il dottor Valerio Del Bono, primario di Malattie Infettive dell’ospedale “Santa Croce e Carle” di Cuneo, allora “in trincea” nella lotta contro il virus. Il racconto parte dalle vittime: a pandemia conclusa, i morti accertati con tampone positivo al Covid sono stati 1.600 in tutta la provincia. In generale, secondo i dati Istat nel 2020 nella Granda morirono 8.595 persone, il 19,6% in più rispetto alla media 2015-2019 (nel 2019 i decessi complessivi furono 7.171, lo scorso anno sono stati inferiori ai livelli pre-pandemia, ovvero 6.810).
“Tralasciando la parte medica, era tutto difficilissimo anche dal punto di vista umano. - dice il dottor Del Bono - I contatti con i pazienti erano filtrati dai dispositivi di protezione e dal tipo di malattia: in molti avevano bisogno di caschi per respirare, così le persone non riuscivano nemmeno a comunicare ciò che sentivano. Anche per il personale medico e infermieristico era tutto più complicato. Posso dire che gli operatori si sono spesi in tutti i modi per affrontare la situazione, con implicazioni umane impensabili. Venivano meno alcune consuetudini tipiche dei momenti in cui termina la vita. Tutto il personale ha sofferto molto questa mancanza forzata di comunicazione con pazienti e anche con le famiglie. Tra le immagini più frustranti, quelle delle salme che andavano messe in questi sacchi neri”.
Il momento più complicato, però, secondo il dottor Del Bono sarebbe poi arrivato solo alcuni mesi più tardi, alla fine del 2020, con la cosiddetta “seconda ondata”: “Durante la prima ci fu molta solidarietà, c’era nell’immaginario collettivo la figura dell’operatore sanitario ‘eroe’, poi tramontata in breve tempo. Inoltre era paradossalmente stimolante per noi mettersi alla prova con una situazione del tutto nuova. I mesi tra ottobre e dicembre del 2020, invece, furono i peggiori, con numeri molto più elevati: la seconda ondata arrivò in maniera quasi inaspettata per le sue dimensioni, in più il personale si portava dietro la stanchezza per i mesi precedenti. La prima ondata fu complicata, si trattava una malattia nuova e anche grave, non così banale, ma affrontare la seconda fu ancora più difficile. Solo dopo le vaccinazioni abbiamo potuto respirare”.
Un’esperienza dura, ma formativa: “Abbiamo imparato ad essere flessibili e saperci adattare a situazioni particolari. - prosegue il primario - Questa, per una nuova ipotetica pandemia, è un’esperienza che ci sarà molto utile. Abbiamo imparato che forse non tutto è possibile, ma che molte cose potevano essere fatte in poco tempo con la massima elasticità. Non significa che la prossima volta, se ci sarà, andrà tutto perfettamente bene, ma in qualche modo saremo più preparati".
La chiusura del dottor Del Bono è una constatazione amara. La figura dell’operatore sanitario “eroe”, citata in precedenza, per molti oggi non c’è più: “A cinque anni dallo scoppio della pandemia l’approccio verso di noi è quasi peggiorato: non mi illudo che questa esperienza abbia migliorato l’opinione che le persone hanno degli operatori sanitari, e questo mi dispiace. Sono convinto che abbiamo una sanità di grandissimo livello, e anche in quella occasione l’abbiamo dimostrato”.
Andrea Dalmasso

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